I giornali del 6 agosto hanno dato notizia del sovraffollamento delle carceri italiane e dell’ennesima condanna che la Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha inflitto all’Italia per “trattamento inumano e degradante”.
Non illudiamoci che la condanna della Corte Suprema impensierisca più di tanto i nostri governanti nè che le iniziative, pur lodevoli, dei parlamentari e delle associazioni che sono solite combattere sul fronte di una maggiore dignità della detenzione, possano sortire alcun risultato.
La stessa stampa che riporta di volta in volta l’ultima notizia dell’emergenza carceri, lo fa giusto per l’obbligo che il dovere dell’informazione le impone, ma già il giorno dopo archivia l’argomento.
La verità è che l’universo dei detenuti non sensibilizza le pruderie solidali della cosiddetta società civile la quale anzi è stata educata a guardare con sospetto a questo universo. E sennò qualcuno dovrà spiegare perché una condizione di indegnità morale e fisica qual è quella della detenzione in Italia ha potuto sfidare le ricorrenti condanne che la comunità europea ormai ci infligge da diversi decenni a questa parte, senza che si sia pervenuti alla soluzione di tanta vergogna.
Probabilmente alla gente non è stato spiegato a sufficienza ciò che accade nelle carceri italiane e il direttore del DAP, Franco Ionta, può tranquillamente affermare che “la situazione è assolutamente sotto controllo mentre il sovraffollamento particolare cui si riferisce la sentenza della Corte Europea è durato un periodo molto limitato”. L’affermazione secondo la quale il sovraffollamento si riferisce a un solo periodo molto limitato evidentemente risente del singolare criterio di valutazione del Dottor Ionta secondo il quale vanno considerati “un periodo molto limitato” tre dei miei sei anni di detenzione patiti nell’angustia di una cella dieci metri quadrati da spartire con altri due compagni.
Ha invece ragione il dottor Ionta quando afferma che la situazione è assolutamente sotto controllo, perché è vero che è sotto controllo ferreo ogni tentativo dei detenuti di sottrarsi a questa condizione, così come è sotto controllo la condizione anestetizzata di uomini che vivono venti delle ventiquattro ore della loro giornata rinchiusi in cella facendo a turno per aggiudicarsi lo spazio disponibile in cui muoversi e per il resto sostando stravaccati nelle brande, lo sguardo perduto nel vuoto, in attesa che si faccia sera per rifugiarsi nelle realtà costruite dai loro sogni.
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