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venerdì 27 giugno 2014



Spoleto 24-06-2014

Santità,
i mafiosi sono stati scomunicati e in conseguenza di questa damnatio non avranno più accesso alle funzioni religiose né potranno accostarsi all’eucaristia.
La Santità Vostra, con una furia accecata dall’ira, ha iscritto contesti differenti ad una medesima terribile categoria del male e ha posto fuori dal gregge della Chiesa i mafiosi allo stesso modo in cui lo Stato italiano li dichiara cittadini indegni e qualche politico, in cerca di una facile visibilità, ne auspica la morte in carcere in virtù del loro status, anche se hanno già scontato le pene per i reati che hanno consumato. Un’alta istituzione religiosa si è mischiata con le crudeli necessità della giustizia terrena alla stregua di un qualsiasi Stato laico.
Mi ricordo di quando studiavo il catechismo e mi sono imbattuto con emozione nelle sette opere di misericordia, fra esse: visitare i carcerati. Sono opere che si fondano sull’amore che von Balthasar definiva “accordo incondizionato con la volontà di Dio”, e mi riesce difficile pensare che la volontà di Dio sia contenuta in un anatema che si priva dell’amore e lo sostituisce con una intransigenza senza misericordia, con la chiusura al perdono nei confronti di uomini che hanno sbagliato ma che con la scomunica sono relegati definitivamente fuori dal recinto della redenzione.
I sacerdoti, i missionari, i diaconi, che operano dentro le carceri, cosa diranno ai detenuti condannati per mafia? A scanso di mortificanti discriminazioni io, per esempio, domenica non sono andato a messa. Mi sono detto: vuoi vedere che il sacerdote mi nega la comunione?
E non sono il solo. Sono testimone della costernazione di tanti compagni che vivono questa scomunica come una inaccettabile espropriazione della loro fede sincera, altro che ritualità pagana la quale in alcuni casi, lo ammetto, viene ostentata.
Che facciamo noi mafiosi (veri o fasulli) in carcere e fuori? Al disgusto che suscitiamo nei bravi e virtuosi cittadini che prendono le distanze da noi come si fa con gli appestati, dobbiamo aggiungere da oggi in poi la clandestinità nella nostra fede nascondendo al prete l’identità mafiosa con cui siamo stati marchiati?
E la Santità Vostra, così intransigente nei confronti dei mafiosi, lo è altrettanto nei confronti di chi pratica la tortura, allorché la condanna con parole sdegnate, senza però puntare il dito contro i nostri governanti che non si fanno scrupolo di infliggere l’ergastolo e il 41bis, un regime differenziato inumano e crudele che non fa onore a un Paese civile? Non dovrebbe questa vergogna far vibrare di indignazione il Suo cuore e suscitare l’ira? E invece la Santità Vostra aggiunge alla tortura la scomunica!
Mi perdoni, ma ho l’impressione che la Santità Vostra non sia severo in maniera equanime, che veda il male, brandisca la severità dell’Antico Testamento e condanni a vagare nel deserto il popolo infame dei mafiosi, ma non sia capace di vedere il male quando a praticarlo sono i farisei che spacciano la tortura per giustizia.
Il male è male, Santità, dovunque alberghi e non è un male minore quello praticato da personaggi  paludati che si annidano all’ombra delle istituzioni.
Il Papa, a mio avviso, deve sapere snidare i farisei e cacciarli fuori dal tempio, e deve sapere esercitare il perdono nei confronti di chi ha sbagliato, come ci insegna la parabola del figliol prodigo.
Ho la sgradevole sensazione che il Suo anatema vada nella direzione opposta.
Con amore immutato, un Suo figlio, nonostante tutto.
Nino Mandalà.