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lunedì 26 settembre 2011

Le diverse morali

Eravamo convinti che la morale fosse una costante severa che non guarda in faccia a nessuno e non fa sconti.
Abbiamo imparato invece che essa è una variabile che va applicata a seconda dei casi.
Ce lo ha insegnato la vicenda del deputato PDL Milanese che, graziato dalla Camera, ha evitato di finire a Poggiorreale a fare compagnia al suo collega Papa. Due storie uguali ( o forse quella di Milanese è un tantino meno uguale ), due morali diverse, che confermano una consuetudine ormai consolidatasi nel nostro Parlamento, la consuetudine all’incoerenza.
Non è chiaro che cosa abbia indotto i nostri parlamentari a votare contro la carcerazione di Milanese, visto che da una superficiale lettura delle accuse che gli vengono rivolte le responsabilità contestate al nostro sono molto più gravi di quelle contestate al povero Papa, spedito in carcere per molto meno! Ci riesce difficile pensare che essi facciano così poco onore al loro titolo di Onorevoli da lasciarsi guidare, in una decisione che riguarda la sorte di un uomo, da motivi di bottega invece che da motivi dettati dalla loro coscienza. Ma, ahimè, pare che dobbiamo arrenderci all’evidenza: la Lega ha mercanteggiato la propria coscienza al banco pegni della Camera e ha riscattato l’on. Milanese reputando che le sue quotazioni valessero più di quelle dell’on. Papa ai fini dei risultati da portare a casa!
Tanto cinismo è però stato mitigato dalla delicatezza d’animo dell’on. Paniz il quale ha rivolto un pensiero commosso all’on. Papa ricordando che questi è da due mesi agli arresti preventivi e che questo accanimento è una vergogna. A chi gli ha obiettato che altri cittadini corrispondenti al 40% della popolazione detenuta sono nelle stesse condizioni da anni, senza suscitare il suo sdegno, ha risposto che Papa è un’altra cosa, rappresenta le Istituzioni. Giusto on. Paniz, a patto che i rappresentanti delle Istituzioni siano degni delle loro guarentigie, e sennò è troppo comodo.
Non spetta ai comuni cittadini entrare nel merito delle accuse rivolte dai magistrati ai parlamentari, ma gli spetta, e come, fare le pulci al grado di credibilità che i parlamentari si sono o no conquistata.
E’ credibile una Lega in preda a convulsioni moralistiche a singhiozzo che obbediscono a calcoli di ragioneria spicciola piuttosto che a obiettive considerazioni di carattere morale, in una vicenda in cui la morale dovrebbe essere l’unica categoria alla quale ispirarsi?
E’ credibile un Presidente del Consiglio che, vicende pecorecce a parte di cui può non importarci, (anche se qualcuno ha obiettato che a quel livello il privato si intreccia col pubblico per il discredito e il calo di credibilità che si abbatte sulle Istituzioni) ha determinato un tale declino dell’Italia che Obama si può permettere impunemente e ingiustamente di ignorare il ruolo fondamentale avuto dal nostro Paese nella vicenda libica senza che le nostre Istituzioni abbiano un sussulto d’orgoglio e, oltre a evitare preventivamente i soliti comportamenti ondivaghi all’italiana che poi determinano uscite infelici come quella del signor Obama, sappiano reagire con dignità rivendicando i nostri meriti in Iraq, in Afganistan e nella stessa Libia e pretendendo una maggiore considerazione da un alleato che non ci stima a tal punto da mortificarci davanti a tutto il mondo? E’ credibile un Presidente del Consiglio che è ridotto ad annaspare elemosinando la stampella dall’On. Scilipoti, pur provenendo dalla più ampia maggioranza mai realizzata nella storia parlamentare italiana, pur avendo avuto la possibilità di realizzare quella famosa rivoluzione liberale per la quale era stato votato, e che ha sperperato tutto mostrando il suo vero volto di magliaro che ha ingannato un popolo, di velleitario arrogante che ha enfatizzato le sue capacità di far fronte ad una fase storica della vita del nostro Paese calcolando, a voler essere indulgenti, con superficialità le sue doti?
E’ credibile un PD che non è capace di proporre una strategia degna di questo nome in alternativa a quella del governo, che si barcamena senza prendere una decisione definitiva tra le diverse ed opposte anime della fronda al governo, senza disegnare una sua identità credibile che non sia il solito logoro antiberlusconismo, che si impanca in improbabili crociate moralistiche, prigioniero dell’antica pretesa di superiorità morale di berlingueriana memoria, che oggi non può permettersi come dimostra la sberla rimediata con la vicenda Penati?
E’ credibile un Di Pietro che evoca scenari apocalittici ipotizzando strumentalmente la prospettiva di un selciato sporco di sangue allo stesso modo in cui con la sua nota disinvoltura seminò tangentopoli di imputati più o meno innocenti e provocò tante tragedie, il quale, mentre tuona contro il nepotismo e il malaffare, non dimentica che i figli sono “pezz’e core” e catapulta il suo di figlio in politica?
E’ accettabile lo spettacolo di quest’Italia che, pur in un panorama di comune rovina economica che attanaglia l’intera Europa, ha il discutibile ruolo di cenerentola presa per mano dai vertici della finanza europea, bacchettata come si fa con degli scolaretti indisciplinati, messa sotto tutela e comandata su quello che va fatto o no, con buona pace del nostro orgoglio di popolo adulto che dovrebbe sapere provvedere a se stesso?
E’ accettabile un’Italia della quale i suoi cittadini impegnati nei vari settori all’estero, non possono andar fieri, che suscita risolini di compatimento alle spalle dei nostri connazionali impegnati a portare nel mondo il buon nome del loro Paese, che vanifica gli sforzi dei nostri imprenditori alle prese con la concorrenza di imprenditori di altre Nazioni che mettono in campo ben altro prestigio?
E’ accettabile un’Italia che è ormai allo sbando per i mille difetti irredimibili e i mille problemi irrisolti dei quali si ha ormai la nausea di parlare, il futuro dei nostri figli, il presente dei nostri anziani, la corruzione nei vertici dello Stato, il giacobinismo di chi dovrebbe adottare equilibrio, una autoreferenzialità tanto tronfia quanto incompetente che poggia sul nulla, la mancanza di solidi ideali, la disinvoltura nella gestione della giustizia, la separazione e l’equilibrio dei poteri andati in malora sotto l’attacco di caste egemoni che hanno realizzato una conquista strisciante e invasiva dello Stato, l’assenza di una qualsiasi certezza del diritto? Un’Italia siffatta ha ridotto al minimo quella famosa qualità della vita per la quale eravamo famosi nel mondo e, contrariamente a ciò che pensano alcuni sulla nostra mitica capacità di adattamento, ha prodotto uno scoramento che sta sostituendo le capacità camaleontiche del nostro popolo con la rassegnazione.
Qualcuno ha detto che uno Stato senza regole, è uno Stato di briganti. E’ ancora valido il patto che lega i cittadini con lo Stato italiano e possiamo ancora considerarci una Nazione?
L’ostracismo


Frequento qualche circolo. Giochicchio senza tanto entusiasmo a burraco ma soprattutto accontento mia moglie che, poverina, ne ha viste tante standomi accanto e merita molto di più la mia condiscendenza per le sue debolezze di gioco che non la mia idiosincrasia per i rapporti col mondo esterno. In qualche caso sono stato più o meno gentilmente invitato a togliere il disturbo quando è emersa la mia identità di imputato di mafia e so che mi espongo continuamente a questo rischio grazie ad una notorietà della quale farei volentieri a meno. Ho scoperto che la natura umana sa essere particolarmente crudele quando deve infliggere sofferenza. Dunque il rischio di essere messo alla porta è sempre in agguato e forse, quando declino le mie generalità, dovrei far presente chi sono. Ma mi sono detto che in definitiva contano i comportamenti, che ho sempre incassato i complimenti per il mio tratto signorile, e che dunque non è il caso di scoprire le carte e beccarmi l’ostracismo privando mia moglie della sua innocente passione e me di un minimo di relazioni di cui necessita anche il più incallito dei misantropi.
E’ vero, sono un imputato di mafia e forse dovrei avere maggiore lealtà per chi mi ospita e può sentirsi ingannato dalla mia intrusione, ed anche, a dire il vero, per me stesso alla mercé della mia passione ludica al punto da non avere riguardo per il mio amor proprio in una città che ormai non perdona, che ha da sempre trescato con la mafia ma che adesso ha scoperto una verginità un tempo impensabile, difende questa sua nuova identità, più o meno sentita sinceramente, con la intolleranza tipica delle vergini rifatte e sa essere crudele. Tutte le volte che sono stato riconosciuto, ho avvertito su di me sguardi allarmati che mi hanno seguito con circospezione, controllando ogni mio passo nel timore di chissà quale misfatto, frenando a stento l’ira repressa per la mia sfrontatezza nel mescolare la mia sporcizia morale al candore di tanti galantuomini.
Dunque occorrerebbe una maggiore cautela e, se non ne sono capace, non mi posso lamentare per le umiliazioni alle quali mi espongo a causa dalla mia avventatezza, anche se essa va giudicata con indulgenza considerando che, oltre ad essere un imputato di mafia, sono anche un uomo che non può accettare a cuor leggero di restare imbucato nella propria tana per tredici anni pur di non turbare i sonni dei Saint-Just che con il ciglio sollevato inorridiscono di fronte alla mia pretesa di mescolarmi a degli onest’uomini, ma non stanno tanto a sottilizzare sul trascurabile dettaglio che la mia vita è appesa da tanti anni ad una sentenza che dica finalmente chi sono, se mafioso o no.
La vita di un uomo è ben poca cosa al confronto del buon nome del circolo e non è tollerabile che la frequentazione di un imputato di mafia, anzi di un mafioso tout-court, ne metta a repentaglio la rispettabilità, c’è un ordine di valori e il perbenismo li precede tutti, senza stare a spaccare il capello in quattro riflettendo sull’ovvietà che sono un innocente in attesa di giudizio!
Ed allora, stando così le cose, inganno i benpensanti, sfido la sorte dicendomi che non sono peggiore dei tanti che mi vogliono privare del mio diritto ad un minimo di spazio vitale e che, magari, chissà, anche loro qualche scheletro da nascondere ce l’hanno anche se non hanno la mia notorietà. Sfido la sorte pregustando il piacere nell’immaginare il panico dei delatori mentre sussultano nel riconoscermi e si precipitano, tremando di sdegno e di indignazione, a denunciare al riparo della loro viltà la mia presenza. Li immagino mentre, in preda al terrore, squittiscono scandalizzati invitando i compagni di merenda a serrare le fila e a difendere, nel fortino di un circolo in cui si gioca a carte, la morale comune e il loro diritto a ingannare, in tutta tranquillità e senza presenze ingombranti, i compagni barando.

mercoledì 14 settembre 2011

La verità

Sul concetto di verità si sono cimentate le più belle menti della storia del pensiero umano. Esiste la verità parmenidea e quella protagoriana, quella assiomatica che vive nell’iperuranio e quella aristotelica che va sottoposta a verifica. Da sempre l’uomo si è interrogato sull’autentico significato della verità nella presunzione che la verità esista. E, grazie a questa presunzione, ha provato via via a impegnarsi in una ricerca così ardua. La filosofia ha fondato il cosiddetto senso comune su principi universali, l’”episteme”, pretendendo di fissarli in una dimensione immutabile. Ma i principi universali non sono forse essi stessi il risultato di quello che è stato convenuto nel corso dei secoli dall’uomo e non hanno dunque la precarietà propria dei limiti dell’uomo? La nostra presunzione ci porta ad avventurarci laddove non è possibile scoprire niente di certo dimenticando la lezione di Pitagora che, nonostante predicasse di non sapere nulla, aveva capito tutto più degli altri.
Giustamente Emanuele Severino ci ricorda che la natura, come hanno convenuto persino filosofi di diversa impostazione ideologica come i realisti e gli idealisti, esiste indipendentemente dalle singole coscienze degli individui umani e che la sua sola dipendenza è legata alla coscienza trascendentale. Ha avviato inoltre con il suo solito acume una riflessione sulla nascita di un nuovo concetto di verità dei nostri giorni. Ha illustrato il nuovo realismo che si rivolge alla scienza moderna e che non è più il senso comune dell’episteme, ma ha giustamente fatto notare che “la realtà, che per la scienza esisterebbe egualmente anche se l’uomo non esistesse, è per definizione ciò che non è osservato dall’uomo, ciò di cui l’uomo non fa esperienza”. Non essendoci esperienza umana di ciò che esiste, conclude Severino, affermare che la realtà esiste indipendentemente dall’uomo è un atto di fede. Ed ecco dunque che anche il realismo della scienza moderna ci rimanda alla coscienza trascendentale.
Mentre riflettevo sulla “lezione” di Severino mi sono imbattuto nella lettura di quell’autentico contenitore di buon senso che è Ostellino. E’, questo concretissimo intellettuale, un liberale che ha un senso humiano della realtà e che ancora una volta non si è smentito. Egli scrive: “ Guardo al mondo con gli strumenti della cultura liberale: verificabilità, nella realtà, delle asserzioni politiche (teoria empirica della conoscenza); convinzione che nessuno possieda la Verità, e tanto meno la possa imporre ad altri, ma che le “tante verità” siano disperse fra milioni di uomini che, perseguendo i propri interessi, realizzano, “inconsapevolmente”, un beneficio comune ( pluralismo di valori e loro mediazione attraverso il processo politico democratico); fiducia nelle libertà e nell’autonomia dei singoli individui ad esercitarle, in un quadro di regole la cui sola funzione sia di evitare che si arrechino danno l’un l’altro (Stato di diritto)”. Ecco, Ostellino ci indica le sole verità di cui possiamo disporre, le uniche adatte a governare la nostra vita, seppure con il dubbio costantemente accucciato ai piedi della nostra ragione. Di queste verità ci ha parlato Aristotele con la sua virtù dianoetica, la “phronesis”, la saggezza protesa a ispirare le virtù necessarie per realizzare il giusto mezzo della vita, lo stesso Aristotele che ci ha parlato anche di un’altra virtù dianoetica, la “sophia”, la sapienza che ci proietta verso una dimensione trascendentale alla ricerca di una realtà divina attraverso l’unico mezzo che si può permettere l’uomo nella sua ricerca di verità: la fede. Purché sia chiaro che quella che cerchiamo con la fede è una verità che non imponiamo a nessuno e che non pretende di essere assoluta se non nell’ambito dello spirito di ciascun individuo coltivato attraverso le imperscrutabili vie dell’anima.

mercoledì 7 settembre 2011

Un cane randagio

In un vecchio post intitolato “Il rovistatore”, descrivevo il personaggio di un vecchio indigente dall’aspetto dignitoso costretto dal bisogno a rovistare nel cassettone dell’immondizia alla ricerca di ciò che potesse essere ancora riciclato. Quell’uomo, nonostante la mortificante necessità cui era costretto, aveva un suo ritegno che lo fece avvampare di vergogna quando il mio sguardo sorpreso e imbarazzato si posò su di lui. Ricordo che, gli occhi pieni di lacrime, si sottrasse alla mia vista correndo col capo chino a nascondersi dove io non potessi raggiungerlo. Non ho mai più dimenticato quella scena e quell’uomo che, discendendo negli inferi della condizione umana, nel mentre si abbassava all’ umiliazione di quell’atto estremo, manteneva paradossalmente una sua dignità grazie al pudore della sua reazione. In quel vecchio c’era ancora la voglia di sentirsi uomo, di non abdicare alla sua natura, rovistava, si, nell’immondizia ma, venendo scoperto, avvertiva la vergogna del suo gesto e si ritraeva consapevole della miseria alla quale la sorte lo costringeva e alla quale aveva ancora la forza di ribellarsi con quel suo gesto di pudicizia, quasi a rivendicare che in lui era rimasta traccia della sua antica dignità.
Ho ricordato con dolore questo episodio allorché, a distanza di mesi, ho assistito ancora ad una scena analoga.
Mi sono reso conto che siamo destinati a fare i conti con il retaggio della dissennatezza umana che fatalmente ci consegnerà ad una fine ingloriosa, non dissimile da quella delle bestie. E’ sotto gli occhi di tutti l’incapacità dell’uomo di provvedere a se stesso e al proprio futuro e non è difficile preconizzare che in un tempo più o meno prossimo, molto prima che poi, man mano saremo in numero sempre maggiore alle prese con i nostri cassonetti dell’immondizia, protesi su di essi e intenti a contenderci gli avanzi con nostri simili sempre più numerosi e affamati.
Ieri ho visto il paradigma di quello che saremo in un barbone intento a rovistare dentro un cassonetto dell’immondizia alla ricerca di ciò che era commestibile e che portava alla bocca con aria famelica ingurgitandolo con voracità. Tuffato dentro il cassonetto piuttosto che chino su di esso, non si curava di chi lo guardava sconcertato e, privo di qualsiasi pudicizia, lercio, in preda ad una sorta di bramosia incontenibile, si abbandonava a quel banchetto immondo con avidità, quasi temendo che qualcuno gli contendesse quei miserabili avanzi. Si guardava attorno con aria inquieta, gli occhi stretti in una fessura iniettata di diffidenza, non sfiorato da alcuna vergogna ma determinato a difendere ad oltranza il suo prezioso ignobile pasto.
Ho trattenuto a stento la voglia di cacciarlo come si fa con le bestie e ho rivisto come in un flash la scena di qualche mese fa, di quando un vecchio indigente frugava anch’egli in un cassonetto, l’ho ricordato con tenerezza e affetto mentre fuggiva in preda al suo pudore conservando la sua condizione umana per se stesso e per noi e riflettevo sconsolato su come il tempo ci ha messo poco a trasformare quella dignità nella sconcezza di un barbone che digrigna i denti difendendo la sua preda come un cane randagio.