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martedì 25 giugno 2013

La sentenza Berlusconi

Berlusconi è responsabile nei confronti di tutti noi per la deriva intransigente che la magistratura si è potuta permettere grazie all’alibi di dover perseguire le sue condotte disinvolte. Se Berlusconi non fosse stato così attaccabile, la magistratura non avrebbe potuto imperversare come ha fatto.
E’ vero che in un’aula di tribunale non si può punire il peccato ma questo dettaglio è trascurabile in un Paese in cui imperversano furori moralistici e si issano patiboli se appena un povero cristo è sfiorato da un’indagine. Diciamola tutta, il timore agitato a proposito di presunti attentati all’autonomia della magistratura è una impostura che serve a giustificare fughe in avanti di un corpo graniticamente consortile che si può permettere in tutta tranquillità sentenze come quella emessa contro Berlusconi. Altro che rischio di attentato all’autonomia della magistratura, qui il vero rischio lo corrono le garanzie fondamentali dei cittadini che la legge aggirata non riesce a tutelare.
Una sentenza può essere valutata pienamente solo leggendo le motivazioni ma la sentenza Berlusconi già da subito può essere valutata considerando alcune sue singolarità che suscitano perplessità.
Che significa infatti che il reato di concussione per induzione si è trasformato in quello di concussione per costrizione ex abrupto, in sentenza, senza che in dibattimento ne sia stata cambiata la natura in modo da consentire alla difesa di opporre le proprie ragioni? Si è condannato negando il diritto di difesa!
Che senso ha emettere una sentenza di condanna fidandosi della testimonianza di una minoranza di testi dell’accusa e non della maggioranza dei testi della difesa e per questi inviare le carte alla Procura chiedendo che vengano incriminati per falsa testimonianza? Dove è la garanzia delle pari opportunità tra difesa e accusa se i testi della difesa vengono in blocco spazzati via dal sospetto privo di riscontri della Corte ? O non è invece legittimo il sospetto che la Corte speri nell’assist della Procura per ottenere a posteriori un supporto alle motivazioni della sentenza e punire i testi della difesa? L’iniziativa della Corte ha l’aria di un messaggio che serve ad educare. Quanti altri testimoni infatti in altri processi saranno disposti a testimoniare contro le tesi della pubblica accusa, sapendo che così rischiano l’incriminazione?
Che senso ha emettere una sentenza di condanna per un reato in cui non c’è la vittima? Ruby rubacuori, a parte le dichiarazioni contraddittorie rilasciate alla stampa durante le indagini preliminari, alla fine ha affermato che non ha mai avuto rapporti sessuali con Berlusconi, di avere mentito sulla sua età dichiarando di avere 23 anni e di non essere stata sottoposta ad alcuna pressione per edulcorare le sue dichiarazioni. Come mai la pubblica accusa non ha chiamato sul banco dei testi la vittima del presunto reato e la Boccassini ha sostenuto, a proposito della minore età di Ruby, che Berlusconi non poteva non sapere? Un magistrato del valore della Boccassini che si arrampica sugli specchi di una formulazione che col diritto non ha nulla da spartire!
Perché accendere i fari sull’affidamento di Ruby e su di esso costruire una sentenza di condanna mentre invece decine di altri affidamenti sbrigati con le stesse modalità non hanno suscitato pari attenzione e provocato analoghe sentenze?  Le disposizioni del P.M. dei minori sono state disattese dai funzionari della Questura? Ma quante disposizioni del magistrato di sorveglianza in materia di diritti dei detenuti sono disattese dalla polizia penitenziaria senza che questo provochi sentenze di condanna, tanto che è dovuta intervenire la Consulta per porre rimedio a queste inadempienze?

Della sorte di Berlusconi potrebbe anche non interessarci niente, alla fine se l’è cercata con certe sue cadute di stile e con la mancanza del decoro necessario ad un governante che vuole intestarsi riforme “epocali”, il fatto è che la sua caduta travolge anche noi comuni mortali alla mercé di una magistratura che, dopo vent’anni di conflitto, con la sconfitta della politica, non conosce limiti al suo potere. 

giovedì 20 giugno 2013

I mostri

Nel mare di Formia una anziana signora russa, colta da malore mentre fa il bagno, ci resta secca e, esauriti i consueti sopralluoghi, consumato lo sciacallaggio dei cronisti con telecamera al seguito, il cadavere che non interessa più a nessuno, coperto da un lenzuolo, resta sulla spiaggia a lungo in attesa di chissà che cosa. Attorno la vita continua a scorrere come nulla fosse, i bagnanti giocano a racchettone, si scambiano effusioni, costruiscono castelli di sabbia, si esibiscono in piroette, indifferenti a quel corpo senza vita a due passi da loro.
Non sia mai che la morte interrompa i riti ludici!
In un supermercato una anziana signora di 80 anni viene sorpresa mentre ruba 20 euro di alimenti. La signora non ha di che vivere ed è ricorsa alla scorciatoia più naturale dell’uomo, quella in uso quando ancora la civiltà non ci aveva imposto le sue regole, prendere quello che serve alla sopravvivenza. La signora è stata trascinata in giudizio e condannata.
Non sia mai che le debolezze umane abbiano la meglio sulle regole di civiltà!
Il decreto “svuota carceri” proposto dal Ministro di Grazia e Giustizia Cancellieri subisce un improvviso alto là ad opera del Ministro degli Interni Angelino Alfano il quale oppone il suo rifiuto ad un provvedimento che minaccia di mettere in libertà dei delinquenti recidivi che attenteranno alla sicurezza dei cittadini. In carcere devono restare come in una stia a convivere in 65.886 invece dei 46.995 che possono esservi contenuti. Tra sicurezza e sofferenza Alfano non ha avuto dubbi su come schierarsi e non importa se anche lui è un membro del governo, anzi ne è il vice presidente e, oltre ad opporsi, dovrebbe proporre, specie considerando che, da Ministro di Grazia e Giustizia in un governo precedente, aveva solennemente promesso soluzioni al problema del sovraffollamento (rimaste puntualmente inevase). Quello che conta è fare la scelta che rende di più, la sicurezza dei bravi cittadini contro la sofferenza dei delinquenti. Vuoi mettere?
Non sia mai che, in quanto siciliano, l’ineffabile Angelino possa essere sospettato di essersi messo d’accordo con la mafia!
I mostri sono tra noi

lunedì 17 giugno 2013

Il libero convincimento

E’ di questi giorni una polemica tra Piero Ostellino, prestigiosa firma del Corriere della Sera, e il dottor Oscar Maggi, presidente della IV sezione del  Tribunale di Milano, che ha emesso la sentenza di condanna contro Paolo e Silvio Berlusconi per divulgazione di segreto d’ufficio nella vicenda Unipol. Ostellino accusa Maggi di avere emesso “una sentenza surreale……e che pur di condannare Berlusconi si sia arrivati ad inventarsi un’accusa ideologica” , Maggi replica che si è limitato ad applicare la legge in presenza di un reato. Dico subito che sto dalla parte di Ostellino precisando, come fa lui, che di Berlusconi non me ne può fregare più di tanto ma mi frega, eccome, se il dottor Maggi condanna i Berlusconi per un reato che non hanno commesso. I Berlusconi si sono limitati a pubblicare una notizia che proprio perché era giunta fino a loro era già stata privata della sua segretezza altrove e da altri. Il reato era già stato consumato e l’autore di esso andava cercato presso chi aveva fornito una notizia coperta da segreto istruttorio e nel luogo in cui il segreto era stato violato e cioè presso le stanze del Palazzo di Giustizia di Milano.
Si dice che le sentenze vanno accettate e sono d’accordo perché non ci si può sottrarre alla coazione della norma, ma accettarle non significa non poterne dissentire. In definitiva si tratta pur sempre di verità processuali e quindi di verità relative che nascono dal libero convincimento del giudice soggetto a fallire. Ne so qualcosa perché ho subito una condanna sulla base del libero convincimento del mio giudice il quale ha ritenuto attendibile un collaboratore di giustizia che un altro giudice, in altro processo, con altro imputato, ma in relazione a identiche circostanze, non ha ritenuto attendibile giungendo ad una sentenza di assoluzione. Uno dei due giudici evidentemente ha sbagliato ed io che non sono nato sotto una buona stella mi sono ritrovato dalla parte sbagliata.
La morale è che siamo costretti a fare i conti con l’anomalia di una giustizia che valuta in maniera strabica episodi analoghi, che assolve o condanna un imputato con sentenze che evocano scenari altalenanti, che emette una sentenza di condanna nei confronti dei Berlusconi per divulgazione di segreto d’ufficio ma non esercita pari severità nei confronti del dilagante costume di far apparire sui giornali notizie coperte dal segreto istruttorio che l’indagato apprende dai giornali prima che dalle fonti ufficiali. In questo modo la certezza del diritto spesso paga pegno all’ondivaga valutazione del magistrato che decide che cosa è reato o no in omaggio non alla legge ma “alle domande di giustizia diventate domande sociali” come acutamente osservato dal Presidente di sezione della Cassazione G. Maria Berruti.

Quando il giudice invece di ubbidire alla legge, ubbidisce alla propria rabbia, alla suggestione, al politicamente corretto, agli orientamenti della piazza e ideologici, ad un malinteso senso della propria funzione, può accadere che il pregiudizio prenda il posto del libero convincimento.

giovedì 6 giugno 2013

Solitudine

Una vita in solitudine può essere una dannazione oppure  no a seconda che essa sia o no accompagnata dalla voglia di vivere.
Può chiudersi in un delirio d’onnipotenza se si arrocca sulle proprie certezze e d’impotenza se insegue i propri fantasmi oppure può aprirsi al mondo ed essere fecondo di creazioni se decide di essere duttile e accogliente.
Riflettevo sulla mia solitudine seduto al bar di Francesco. E’ un piccolo bar di fronte a casa mia, con pochi tavoli all’aperto a mala pena protetti da una incerta copertura che traballa al vento, d’inverno e non basta a difendere dai raggi del sole, d’estate. E’ lì che mi rifugio quando ho bisogno di staccare la spina e accomiatarmi provvisoriamente dai miei pensieri,  lì vivo l’atmosfera ancestrale della piazza del mio paese, il cuore pulsante che ripropone da secoli la centralità dell’agorà greca. Ogni volta mi prende una emozione che mi commuove e mi rimanda ai luoghi dell’infanzia, ogni volta mi lascio cullare da un brusio che mi salva dalla solitudine.
Ascolto voci sussurrate che mi sfiorano appena e mi accarezzano concilianti e complici, e voci  urlate con una sguaiataggine gergale che affascina e respinge, respiro odori, osservo gesti e sguardi, mi calo nella fisicità del contatto con i miei simili quasi a volermi sincerare che sono vivo e partecipo della vita.
Il vecchietto tosto che con malcelato orgoglio tuona di avere raccomandato un parente nientedimeno che al prof. Veronesi, l’incallito militante di sinistra che, il volto paonazzo e sconvolto dall’ira, grida il suo odio contro Berlusconi, l’ascetico maestro di karate che ha abbandonato da tempo le arti marziali per prendere possesso tutti i giorni, dall’alba al tramonto, della sua postazione nel solito tavolino d’angolo e dedicarsi, indifferente a tutto e a tutti, alla navigazione virtuale in direzione di chissà quali siti alimentandosi di sola birra, una coppia di novantenni che inscenano con coetanei altrettanto onusti e battaglieri un’aspra disputa su temi che scelgono di volta in volta e concludono la recita della loro contesa con gagliarde bevute fingendo di litigare persino su chi deve pagare la consumazione, avventori occasionali che trangugiano velocemente il loro caffè con l’aria di commiserare l’umanità stanziale che bivacca nel bar e fuggono trafelati verso la loro giornata frenetica, è questa l’umanità con la quale convivo quasi ogni giorno.

A volte sorrido, a volte no, provo gioia e sgomento come succede a chi ha a che fare con la razza umana, ma tutte le voci, i gesti, gli sguardi, servono a scongiurare la mia impotenza e a ridimensionare la mia onnipotenza. Gli uomini di questa piccola comunità diventano linfa per la mia solitudine, si trasformano in pensieri che fisso su carta, sono il forcipe di idee che si trasformano in caratteri che prendono vita e forma, diventano scrittura e, se buona scrittura, l’unica felicità fine a sé stessa, come ebbe a scrivere Garcia Marquez.