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giovedì 28 marzo 2013

Battiato


Non voglio unirmi a quanti danno addosso a Battiato, ci sono già tanti censori in giro senza doverne aggiungere altri che rischiano di far apparire il nostro eroe una sorta di Francesco Ferrucci alla mercé di Maramaldo.
Sia chiaro che Battiato non è difendibile, si può condividere il suo sdegno per i politicanti, ma le parole, quelle no. Qualcuno ha detto che le parole sono pietre e le parole dette da Battiato non hanno attenuanti, anzi sono la spia di un grigiore culturale che la sua storia di cantautore capace, pur con i limiti di una improbabile spocchia esoterica, di farci volare nell’etere di una qualche spiritualità e di incantare i nostri cuori, non lasciava sospettare. Ma guai ad addossare tutta la colpa a Battiato.
Guardiamoci dentro e, se siamo onesti, ammettiamo che egli è  il frutto di una tendenza alla piaggeria con cui creiamo i miti di una certa area. Di Battiato abbiamo fatto addirittura una icona della cultura e ce lo siamo coccolato come si fa con l’autore di capolavori del pensiero oltre che della canzonetta. Abbiamo equivocato con la sua figura ed abbiamo confuso i due piani con il risultato che egli ci ha creduto ed ha ritenuto di essere veramente un uomo di cultura al quale la statura concedeva il diritto di trasgredire. Stordito dagli effluvi con cui lo abbiamo incensato, egli ha ritenuto di considerarsi un oracolo al quale è consentito sproloquiare impunemente. La sua figura ieratica ce lo propone assiso in una dimensione siderale dall’alto della quale guarda con compatimento il resto del mondo e lo giudica con severità, forte della sua superiorità e della solita altezzosità morale che connota, guarda caso, chi sotto un cuore intransigente custodisce un portafogli ben fornito.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e fa male constatare come nessuno, specie tra quanti lo hanno celebrato, gli abbia concesso una qualsiasi attenuante. Lo abbiamo elevato sugli scudi senza avvertire il senso del ridicolo e della misura, e con la stessa improntitudine lo gettiamo nella polvere senza tanti complimenti.
Come Saturno fagocitiamo i miti che creiamo assolvendo le nostre colpe. 

martedì 26 marzo 2013

Dell’impresentabilità


Stamattina il mio amico Arnaldo col quale sono solito fare la mia passeggiata quotidiana, mi ha accolto con una espressione grave che lasciava trasparire una profonda irritazione. Saltati a piè pari i saluti, si è abbandonato ad una vera e propria filippica mulinando le mani contro immaginari interlocutori. Arnaldo è un tipo cheto e pacato, tocca a lui il più delle volte tenere a freno il mio carattere sanguigno durante le discussioni che ci vedono impegnati nel commento degli avvenimenti del giorno. Abbiamo entrambi un’età che scoraggia passioni, ne abbiamo viste tante e non ci stupiamo più di nulla. Stamattina invece Arnaldo ha abbandonato il suo solito aplomb per sostituirlo con una cascata di improperi. Urlava che è una vergogna dovere assistere alla violenza perpetrata da pochi unti dal Signore che credono di essere i soli depositari della verità e si arrogano il diritto di disprezzare l’opinione degli altri. Non riuscivo a capire e mentre lui continuava nella sua tirata, mi veniva in mente Don Ciccio Tumeo che, sfogando la sua rabbia col Principe di Salina, imprecava: “….quei porci s’inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco….”.
Tentavo di calmare il mio amico mentre, come un fiume in piena, egli proseguiva: “ Io non ho votato per Berlusconi, ha tradito le mie attese e non gliela perdono, dunque la mia non è una difesa d’ufficio. Ma ci sono tanti miei amici che hanno votato per lui assieme a 9.000.000. di elettori e non sopporto che quattro arroganti sfigati che pretendono di avere il monopolio della moralità e che sono gli ultimi epigoni di una stagione fallita, che hanno sempre maramaldeggiato con la reputazione della gente, se ne fottano dell’opinione di un terzo degli italiani reclamando l’ineleggibilità dell’uomo da essi votato ripetutamente da vent’anni a questa parte. Che cosa sono degli imbecilli questi italiani, mentre quattro gatti che non riescono a mandare un loro uomo in Parlamento hanno l’arroganza di dettare legge?  Detesto questi moralisti da strapazzo che mi costringono a difendere la mia libertà attraverso un uomo che non amo”.
Il buon Arnaldo probabilmente senza saperlo scomodava addirittura Voltaire ed io  capivo finalmente che egli ce l’aveva con la manifestazione organizzata da MicroMega e dal suo vate Flores d’Arcais con cui, tanto per cambiare, è stata rimarcata l’assolutezza del male rappresentato da Berlusconi e se ne è chiesta la rimozione attraverso la scorciatoia della legge e, nel caso specifico, di una legge poco chiara e dalla applicabilità controversa. Ma tant’è, legge o non legge, il salotto buono dell’Italia del bon ton e di una minoranza ossessionata dal mito della propria superiorità morale e intellettuale che pretende di esercitare il suo potere di interdizione, mosca nocchiera di una borghesia prona e dal perbenismo di facciata, non può tollerare che un’altra Italia vista come rozza e impresentabile vi si contrapponga e ne ha negato da tempo il diritto di esistere ed avere un suo ruolo. Convertita questa Italia e sparito Berlusconi, i guai dell’Italia, come d’incanto, si dissolverebbero, specie se la guida del Paese venisse affidata agli uomini d’oro di platoniana memoria. Riuscii finalmente a calmare il mio amico e gli spiegai che non c’era niente di nuovo sotto il sole, che nell’iperuranio dell’intellighentia italica svettano le menti degli allievi di qualcuno che prima di loro si è  inventata l’etica, il ginevrino J. J. Rousseau che parlò di volontà generale, ovvero di interesse collettivo, cui è doveroso ubbidire: “Chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo, il che non significa altro che lo si forzerà ad essere libero.” Strana contraddizione in termini la costrizione alla libertà e peccato che la volontà generale non coincida con la volontà di tutti ma solo con quella dei magistrati vagheggiati da Rousseau i quali, nel nostro caso, hanno stabilito che 9.000.000. di elettori non contino in confronto alla raffinatezza delle loro menti, le sole autorizzate a pensare per conto di tutti e decidere quale è l’interesse collettivo.  

giovedì 21 marzo 2013


Dell’indecenza

In questi giorni ricorre spesso la parola “indecenza”.
E’ indecente, secondo Bersani, la proposta del PDL di candidare un suo uomo alla presidenza della Repubblica.
E’ indecente, secondo Grillo, che D’Alema possa aspirare a diventare lui il Capo dello Stato.
Non ha usato il termine indecenza ma non si discostano molto dalla scandalizzata denuncia di lesa maestà i toni usati da Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, nel bacchettare Ostellino che ha osato definire la magistratura un organismo amministrativo anziché un Potere dello Stato.
E’ indecente, secondo alcuni grillini , che i loro eletti non possano esprimersi secondo coscienza disobbedendo ai diktat dei capi e, al contrario, sempre secondo altri grillini, è indecente che si pretenda autonomia dall’ortodossia del capo.
E’ indecente, secondo l’uomo della strada che imperversa in rete, che vengano riconosciuti i diritti fondamentali a chi ha sbagliato e in particolare che sia riconosciuto il diritto alla pietà.
Potrei elencare all’infinito i casi lamentati di indecenza, c’è tanta voglia in giro di dare la stura alle proprie frustrazioni! Voglio invece cimentarmi nel tentativo di smascherare l’ipocrisia dell’ indecenza, ponendo una serie di domande.
Non amo Berlusconi e non mi sognerei mai di fare una sua difesa d’ufficio. Ma è decente che Bersani definisca indecente la proposta del PDL di esprimere il nome del prossimo Presidente della Repubblica, nello stesso momento in cui trova decente che PD e SEL si siano aggiudicate presidenza della Camera e del Senato, pretendano di guidare il governo e di mettere cappello anche sulla poltrona più alta delle Istituzioni? Siamo o non siamo in presenza di una occupazione che premia eccessivamente PD e SEL votati dal 29% degli elettori ed esclude dai giochi PDL e Lega che hanno una uguale consistenza di suffragi e dunque sono legittimati in pari misura ad avere una loro rappresentanza nelle Istituzioni? Non siamo al solito vizietto della sinistra di demonizzare l’avversario politico disconoscendo ai parlamentari votati da 9.000.000 di elettori di centro destra il diritto di avere un loro ruolo nella dialettica politica e destinandoli alla marginalità, in nome della decenza e dunque con la solita arroganza etica di chi pretende di avere il monopolio della superiorità morale? Parlare di golpe è esagerato, ma di indecenza si può.
E’ decente che Grillo definisca D’Alema una specie di avventuriero privo dei requisiti per aspirare alla carica di Capo dello Stato preconizzando un settennato di inciuci? Va bene il dissenso ma perché l’insulto gratuito?
E’ decente che il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati rivendichi per la magistratura la denominazione, che, sia chiaro, le compete, di Potere dello Stato respingendo con sdegno la denominazione che parimenti le compete di struttura di servizio che amministra la giustizia ubbidendo al corpo delle leggi? Quando il dr. Sabelli giustamente pretende che la magistratura sia un Potere autonomo e indipendente a garanzia per tutti i cittadini della tutela dei loro diritti, si  domanda se al privilegio dell’indipendenza corrisponda sempre il dovere del servizio e se questa indipendenza sia stata sempre ben spesa? Trova decente il dr. Sabelli che in Italia si siano verificati casi come quello di Tortora, come quello dei sette innocenti condannati all’ergastolo per la strage di via D’Amelio, come quello di Stefano Cucchi morto in carcere in circostanze oscure, come quello di Ottaviano Del Turco arrestato ed esposto alla gogna in una tronfia conferenza stampa del Pubblico Ministero con accuse che, dopo tanti anni, non sono state provate ma anzi cominciano a sgretolarsi, come quello di Angelo Rizzoli che sta morendo in carcere perché non si trova un giudice capace di assumersi la responsabilità di farlo morire a casa nonostante sia affetto da “sclerosi multipla con emiparesi spastica emisoma destro, ipertensione arteriosa, grave insufficienza renale cronica prossima alla dialisi, diabete mellito, tre vasi coronarici compromessi da una pregressa angina, mielopatia compressiva del midollo cervicale” secondo quanto ci riferisce l’on. Luigi Manconi?  E’ in grado il dr. Sabelli di informarci sulle iniziative prese dal Consiglio Superiore della Magistratura contro i magistrati responsabili di questi torti nei confronti di cittadini inermi che hanno solo nella legge la loro tutrice e che proprio dal tradimento dello spirito della legge non sono stati tutelati? E’ decente che, in assenza di una severa attività di controllo dell’organismo di autogoverno della magistratura ed anzi in presenza di un arroccamento su posizioni di difesa ad oltranza dei torti di essa, il Terzo Potere assuma le connotazioni di una corporazione autoreferenziale e traduca la sua indipendenza in insindacabilità, in impunità e arbitrio?
E’ decente che i grillini, prima cavalchino la deriva populista del gran capo conoscendone i limiti e accettandoli pur di introitare un seggio in Parlamento e, a bottino incassato, lo disconoscano con la pretesa della libertà di coscienza e di decisione? E d’altra parte è decente che Grillo pretenda di decidere per tutti e di dettare le decisioni ispirate dal suo uzzolo a uomini e donne che hanno ricevuto un mandato dal popolo, disponendo egli di un consenso fondato più su anime variegate che su una piattaforma ideale comune dibattuta e decisa in un consesso formalmente costituito ed essendo dunque prigioniero degli umori altalenanti della democrazia diretta che non sempre ne riconosce il ruolo e che spesso lo scavalca? Gioie e dolori del populismo che per la sua stessa natura e perché non ha avuto il tempo di tradursi in una forte connotazione, sfugge al volere del capo e, di contro, apre le maglie all’ingresso nella sua cittadella di personaggi provenienti dalla militanza in formazioni politiche fortemente ideologizzate che, camuffati da grillini, ne condizionano le scelte per conto della vecchia casa madre. L’elezione di Grasso docet ed è solo l’anticipo di che cosa potrà ancora accadere quando ci sarà da formare il governo.
In tutto questo ad avere la peggio è, come al solito, il popolo bue.
Però, quando scorriamo i commenti sui social network e ci tocca sorbirci le disgustose performances delle tricoteuses sedute ai piedi delle disgrazie altrui a sghignazzare e insultare, quando leggiamo le demenziali sparate degli internauti rigorosamente anonimi e con licenza di sproloquiare, allora si, ammettiamo che il popolo bue merita di avere la peggio.   

martedì 5 marzo 2013

Disperazione


L’alienazione ci è sempre più compagna. Viviamo in una dimensione surreale che ci allontana dalla vita.
Ieri sera al cinema, durante l’intervallo fra un tempo e l’altro, ma persino durante la proiezione, ho visto una coppia di fidanzatini smanettare ciascuno sul proprio telefonino. Non una parola fra di loro, non un minimo di effusione, la complice oscurità della sala che un tempo incoraggiava una tenera e pudica intimità, sostituita dalla relazione morbosa con l’apparecchio oggetto di un amore raggelante.
Le nostre strade sono percorse da strani personaggi che vanno in giro come in trance alle prese con i tasti dell ipod, dell’ipad, del tablet e diavolerie elencando, che danno l’impressione di matti dialoganti con se stessi, stralunati campioni di una umanità disancorata dal contesto che la circonda.
A casa i nostri figli non appartengono più al nucleo familiare, li vediamo transitare di sfuggita, giusto il tempo di rifugiarsi nelle loro stanze a “farsi” di dialoghi virtuali, di burrachi on line, di esposizione in piazza delle loro intimità più recesse. Se volete sapere quello che i vostri figli non vi hanno mai detto, basta andare su facebook.
Persino a tavola, mi confida un amico sconfortato, suo figlio si porta appresso il tablet quasi fosse una proiezione di se stesso, e, fra una portata e l’altra, traffica con esso. Come l’etilico rifugio di una volta ci allontanava dai problemi, il computer di oggi ci dispensa dal dialogo e ci fa ignorare ciò di cui non discutiamo. Non cogito ergo non sum, la nostra gioventù, priva di coordinate che la guidino, se ne va per la discarica dei rifiuti umani. Adulti che in altri tempi avevano già costruito le basi del loro futuro, bivaccano a casa dei genitori, imbrocchiti dalla loro inutilità, assillati dai loro bisogni, avvelenati dal livore nei confronti dei padri che ne alimentano i vizi dopo aver loro negato un futuro.
C’è naturalmente dell’altro e non abbiamo motivo di rallegrarci. C’è chi non si accontenta della paghetta del genitore o non è nelle condizioni di disporre neanche di quella e in qualche modo risolve. Non certamente rivolgendosi agli ammortizzatori sociali o al mercato del lavoro asfittico e privo di risposte. Il tasso di disoccupazione dei giovani al 33,9% è l’unica risposta che il mercato riesce a dare a chi ha voglia di lavorare. Figuriamoci agli altri! Il problema oggi coinvolge nella stessa misura gli onesti e i disonesti. Il senso di inutilità genera disperazione e la disperazione è cattiva consigliera. Volete che anche gli onesti non si lascino tentare da espedienti che li aiutino in qualche modo a mettere d’accordo il pranzo con la cena? E’ così che la nostra società produce degli infelici che decidono di imboccare delle scorciatoie per sopravvivere incalzati dai sussulti della propria coscienza e dal timore di incappare nei rigori di uno Stato il quale ha gioco facile nel colpire l’illecito di piccolo cabotaggio senza alcuna indulgenza per la frustrazione in cui esso matura, e di contro si arrende ai grandi torti consumati al riparo di compiacenti connivenze. Animato da una doppia morale il nostro Stato si impegna nella lotta alla criminalità stracciona, laddove la morale andrebbe maneggiata con cautela, e trascura le scorrerie dell’illecito d’alto bordo nei cieli rarefatti delle élites lobbistiche. I boiardi di Stato, i soli che sanno muoversi nella giungla della pubblica amministrazione e, conoscendo le opportunità più appetibili di essa, sanno dove puntare per accaparrarsi fette importanti del bottino facendo incetta di incarichi e cumulando illegittimamente  laute prebende, che monopolizzano il funzionamento della macchina dello Stato e ne impediscono qualsiasi modifica piegandola ai propri interessi particolari, i corsari della finanza che cannibalizzano la nostra economia, i politici trombati  che rientrano in gioco imboscandosi nei sottoscala dei carrozzoni pubblici e sottraggono opportunità ai precari, sono quel campionario di umanità disonesta, zoccolo duro di un malaffare scudato dall’impunità, che irride alle tribolazioni del comune cittadino e, acquattato nei salotti felpati della inaccessibilità, provoca danni, se possibile, maggiori della criminalità comunemente intesa.
Anche nel mondo dell’illecito, come sempre, i piccoli finiscono sempre per pagare il conto.
Il mio solito amico mi ha confidato che si sentirà veramente tranquillo solo quando riuscirà a perdere i suoi figli convincendoli a fuggire dalla loro tentazioni disperate e da uno Stato iniquo, verso una patria più giusta.