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venerdì 18 novembre 2016

L’onestà intellettuale

Ho partecipato alla presentazione di un libro e ho ascoltato l’introduzione dell’autore. Lo conoscevo per averlo letto e apprezzato nella sua veste di giornalista che sa stare, come si suole dire, sul pezzo e, ascoltandolo nella veste di romanziere, ho avuto la conferma della sua onestà intellettuale. E uno che non si nasconde dietro un dito e ha il coraggio di fare le pulci anche in casa sua senza fisime da casta. E’ inoltre un profondo conoscitore del fenomeno mafioso ma ne parla con laica cautela mettendo in guardia contro le facili semplificazioni di chi ricorre a stereotipi scontati mettendo tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra. Parla di un fenomeno complesso che va analizzato passando attraverso l’esame di quella che egli chiama cultura mafiosa annidata nelle pieghe della zona grigia che indulge a un certo fascino perverso. Giustamente sostiene che, se la mafia si limitasse solo ad una accolita di criminali priva di ancoraggi con la cultura diffusa che la sostiene, sarebbe già stata sconfitta da tempo, e si rammarica perché ad essa si oppone un’antimafia di maniera che si produce, con i suoi tic giustizialisti, in linciaggi di piazza appollaiandosi su rendite di posizione. Lamenta il pressapochismo di certi suoi colleghi che sposano comode verità senza preoccuparsi se reputazioni più o meno innocenti vengono sporcate a causa di quella che qualcuno, non ricordo chi, ha definito macelleria mediatica. Denuncia inoltre il lassismo delle istituzioni che, negando una carcerazione dignitosa a chi è in carcere e non offrendo chances a chi esce dal carcere e ha bisogno di essere aiutato a non ricadere nella recidiva, vanificano ogni tentativo di recupero. Parafrasando Brecht, si rammarica del fatto che la nostra democrazia abbia bisogno di misure d’emergenza crudeli quali il 41 bis. Lamenta l’incapacità della cosiddetta società civile di cogliere certe sensibilità sincere che provengono da quel mondo terribile e complesso. Competente e onesto non è però consequenziale. Perché se è vero ( ed è vero ), come egli sostiene, che da quel mondo arrivano dei segnali, arriva l’eco del travaglio di coscienze confuse che si interrogano sulle proprie colpe e danno voce a testimonianze di un percorso pieno di insidie che aspira alla redenzione, che descrivono come possono un contesto drammatico e sbirciano nella speranza di stringere una mano che si protenda verso di esse, è altrettanto vero che il nostro onesto e sensibile giornalista ( sia detto senza ironia ) non ha mai provato a tendere quella mano.

sabato 12 novembre 2016

Referendum Si, referendum No

Perché votare Si al referendum costituzionale del 4 dicembre è considerato dai sostenitori del No l’anticamera di una deriva autoritaria solo perché esso prevede il rafforzamento del potere dell’esecutivo? Forse che la volontà del popolo espressa attraverso un referendum indetto secondo le regole costituzionali, è un attentato alla Costituzione, ed è al contrario onesto il tentativo di manipolare la realtà prospettando scenari improbabili? Non è vero invece che la nostra Costituzione, ingessata da 60 anni, blinda i privilegi di alcuni mentre condanna all’irrilevanza il ruolo del Presidente del Consiglio costretto ad arrancare in balia di limiti che gli impediscono di essere padrone persino a casa sua ( non può neanche licenziare i suoi ministri ), e degli umori di parlamentari inadeguati? La verità è che la pretesa dei poteri dominanti, campioni di una intransigenza a difesa dei loro interessi, di attestarsi su volontà ideologiche e fare del terrorismo abbandonandosi a proclami apocalittici e condannando attraverso interpretazioni arbitrarie qualsiasi tentativo di modificare lo status quo, nasconde la paura di perdere il potere conquistato grazie alla “Costituzione più bella del mondo”, la stessa Costituzione nata da accordi consociativi, che ha permesso l’erezione di santuari inviolabili e vede riaffiorare in difesa della sua inamovibilità le antiche diverse anime che l’hanno fondata. Una buona volta dobbiamo avere il coraggio di dire, senza temere di essere tacciati di conservatorismo, che c’è un tentativo di dare la libertà individuale in pasto alla dittatura del pensiero unico che non tollera dissensi e si appalta in esclusiva il diritto di stabilire cosa è giusto e cosa non lo è. L’arroganza di esso è all’origine del disamore della gente comune nei confronti delle istituzioni, della voglia di abbattere tutto, della reazione istintiva di chi si mette sulla difensiva come può contro la potenza di fuoco di chi ha le armi per affermare la propria supremazia, e reagisce mettendo in quarantena la ragione e buttando a mare assieme all’acqua sporca il buon senso. Perché solo l’assenza di buon senso può spiegare il paradosso di una crociata che vede affiancati sulle stesse barricate il diavolo e l’acqua santa, personaggi emergenti dalle retrovie della prima repubblica, beneficiari delle incrostazioni stratificatesi negli anni e contestatori dell’ultima ora nelle cui vene sono stati inoculati a loro insaputa i valori dei primi, tutti assieme appassionatamente all’insegna di una battaglia che nel nome del nuovo conserva il vecchio. E’ il qualunquismo suicida di coscienze confuse e avvelenate che, per paura e spirito di vendetta, scelgono il tanto peggio tanto meglio e si abbandonano a scelte avventate, come è accaduto in Inghilterra con la Brexit e negli Stati Uniti con l’elezione di Trump.