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giovedì 31 dicembre 2009

La mistica della carne

La mistica della carne




Mi sono avvicinato con curiosità alla lettura del libro di Fabrice Hadjadj, "La mistica della carne", sperando di trovarvi quel che cercavo. E l'ho trovato! E' un libro in cui l'autore, filosofo arabo convertito al cattolicesimo, restituisce alla carne una dignità da sempre negata dal dualismo tra corpo e spirito e dalla fede cattolica secondo cui il piacere del corpo e l'amore carnale sono da considerare un peccato incompatibile con la fede in Dio e la spiritualità dell'anima.

Ebbene Hadjadj sostiene che non c'è incompatibilità tra spiritualità e sessualità e che tra Dio, Cristo e la carne c'è alleanza. Naturalmente Hadjadj parla di corpi che hanno un'anima e di sesso ricco di una propria sensibilità, di una propria coscienza, oseremmo dire, di un proprio progetto e di un fondamento anche teologico: l'incarnazione di Gesù Cristo, la resurrezione dei corpi, il sesso progettato da Dio per la procreazione degli eletti. E d'altronde Hadjadj è in buona compagnia. Prima di lui Fromm ha teorizzato l'amore come sentimento attivo, conquista e anelito verso l'alto, la più alta espressione di potenza e un filosofo francese contemporaneo, Jean Luc Marion, nel suo libro " Il fenomeno erotico " sostiene che l'amore, anzi l'amore erotico, è la base della conoscenza, sostituendo "cogito ergo sum" con "amo ergo sum": "l'uomo si rivela a sè stesso attraverso la modalità originaria e radicale dell'erotico", l'amore è inteso come carne che testimonia di essere accettata e "l'essere è oggetto di desiderio dell'altro" come prova che esiste.
Ho sempre pensato che la cesura tra res cogitans e res extensa operata da Cartesio il quale parla di due sostanze parallele destinate a non incontrarsi, sia artificiosa e che non ha senso tenere separati pensiero e materia.
Lo stesso Aristotele parla di sinolo di forma e di materia in cui la materia ha una sua funzione e una sua dignità, e Benedetto XVI, nella enciclica "Deus caritas est", parla di amore di possesso e amore oblativo, di eros e agape e li coniuga facendoli confluire e fondere in una sintesi appagante.
Con un pò di coraggio il cattolicesimo si potrebbe spingere a rivedere la sua morale sessuale, "questo topo morto che avvelena i pozzi" (Hadjadj), anche perchè i peccati della carne sono assai meno gravi dei peccati dello spirito, ed è riduttivo attribuire ai precetti cristiani il ruolo di mastino della morale sessuale che intende il sesso come disordine, dipendenza e riduzione dell'altro a puro oggetto anzichè espressione gioiosa e delicata di amore e di desiderio.
Immaginiamo il rapporto sessuale tra due amanti in cui l'uomo desidera l'amata e appaga il suo desiderio possedendola ma in cui a poco a poco sente che il desiderio di possedere si trasforma in desiderio di donare. Vede la sua generosità trasfigurare il volto dell'amata il cui sguardo estasiato e rapito diventa il sigillo di un percorso che si conclude nell'unità trovata, nel sinolo di forma e materia, nelle atmosfere rarefatte di mondi a lungo cercati.

martedì 29 dicembre 2009

Lettera a Gesù

L'indignazione con cui da più parti è stata accolta la lettera a Gesù di Di Pietro, stupisce ancora di più della improntitudine della lettera stessa. Perché indignarsi?
Ci indignamo forse perché gli uccelli cinguettano, perché la notte succede al giorno e la morte alla vita, perché gli alberi danno frutti, il sole sorge e la luna si staglia bianca nel cielo?
Sono categorie scontate che abbiamo imparato ad accettare senza alcuna discussione.
Di Pietro e il suo modo d'essere appartengono a queste categorie e dunque non ha senso scandalizzarsi leggendo le ovvietà contenute in una lettera che ricalca un copione stantio con il quale avremmo dovuto imparare da tempo a convivere.
Di Pietro ci ha abituati alla consacrazione della sua natura assoluta e pura e, se ci muoviamo a compassione per Tartaglia invocandone il ricovero in manicomio, dobbiamo essere capaci di nutrire altrettanta commiserazione per il delirante bardo del giustistialismo nostrano disperatamente impegnato a dare un contenuto morale alla sua politica stracciona.

martedì 22 dicembre 2009

Buon Natale

Ho vissuto parte della mia vita tra le mura di un carcere e non posso dire che di essa senta la mancanza.
E' un'esperienza drammatica che segna e fa vivere una condizione innaturale:
la mancanza di libertà.
Non c'è niente di peggio!
Tuttavia non avuto alcun dubbio, uscendo dal carcere, che si stava affacciando alla libertà un uomo nuovo, diverso e, per certi versi, migliore rispetto all'uomo che vi era entrato.
Non ho dubbi che, se scrivo come scrivo, se sento come sento, se amo come amo, se ho imparato a conoscermi, a esplorare la mia intimità e a viverla facendo di ogni momento una frazione di eternità, a goderne succhiandola avidamente con la sensazione di una proiezione verso orizzonti infiniti in cui tutto è ancora da vivere, debbo ciò alla mia detenzione.
La mia vita oggi è divisa tra la parte di me che ho lasciato in carcere e quella che vivo fuori dal carcere, ma a Natale le due parti si uniscono e vivono per intero con i miei compagni, con la loro nostalgia struggente, con il loro disperato desiderio degli affetti lontani.
Che Dio li assista!

mercoledì 16 dicembre 2009

Maîtres à penser

La vicenda dell’aggressione a Berlusconi è il conto salato presentato alla cultura liberale del nostro Paese. Ci compiacciamo che, in una democrazia compiuta, le minoranze siano tutelate ma, ahinoi, piangiamo le conseguenze della nostra tolleranza. Certe minoranze infide, annidate nel corpo della democrazia, tentano di corroderla con il tarlo della faziosità e della arroganza, rivendicando una loro superiorità morale e intellettuale. Questi improbabili filosofi che, rifacendosi a Platone, pretendano di ispirare la cosa pubblica con i loro talenti, sono i novelli maîtres
à penser che avvelenano la nostra democrazia, i cattivi maestri di masse incolte istigate all’odio e alla violenza.
Ha ragione Umberto Ambrosoli quando sostiene che, rispetto agli anni ’70, oggi non si possono invocare i fermenti sociali quali detonatori della violenza, c’è solo il frutto dei semi dell’odio sparsi da chi non tollera di essere minoranza ininfluente. E’ la sindrome da delirio di chi ritiene di essere ingiustamente emarginato e vive la propria sorte con la rabbia del torto subito, una sorta di stupore per essere stato leso nella propria maestà.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e Di Pietro è il volto livido di una minoranza autoreferenziale, astiosa e supponente.

mercoledì 9 dicembre 2009

Antonio...

Coltivo la corrispondenza con alcuni detenuti che sono stati miei compagni fino a pochi mesi fa. Sono lettere intrise di nostalgia nel ricordo di un rapporto che la mia conquistata libertà ha interrotto. Evochiamo passeggiate e dialoghi interminabili nei cortili delle carceri ripromettendoci solennemente di riprenderli in un futuro più o meno prossimo.
In tanti mi scrivono della sofferenza che patiscono senza darmene una motivazione che pure è intrinseca alla detenzione, altri lamentano che i rapporti con la direzione non obbediscono a quel minimo di buon senso che è ingrediente insostituibile nella gestione di una polveriera quale è il carcere. E’ difficile accettare la logica di regolamenti che non danno certezza di nulla e che vengono interpretati in maniera diversa in ciascun carcere in base all’insindacabile convincimento di ciascun direttore piuttosto che secondo una obiettiva lettura delle regole ed ecco che l’incidente in agguato dietro l’angolo di ogni giornata del detenuto rischia di materializzarsi alla prima occasione.
Ho ricevuto una lettera di Antonio detenuto a Voghera il quale, non avendo la possibilità di navigare in rete e di partecipare ai dibattiti che si svolgono in essa, mi chiede ospitalità nel mio blog. Pubblico volentieri la sua lettera e lo stesso farò con tutti i detenuti che me lo chiederanno.

Scrive Antonio:
“Ho letto le fotocopie dei file pubblicati nel tuo blog con i tuoi scritti e gli insulti che ti rivolgono i turpiloquianti i quali vorrebbero zittirti in nome di una loro pretesa superiorità morale e di una logica che certamente non si ispira ai principi di tolleranza. Vorrebbero carcerare il tuo pensiero come hanno carcerato per anni il tuo corpo non capacitandosi della tua condizione di uomo libero.
Osho Rajmeesh scrive ne “La grande sfida” : “La società sta andando a rotoli a causa del concetto di democrazia, poiché in una democrazia la norma è dettata dal denominatore comune più basso: è questo a decidere chi governerà ed è purtroppo l’elemento più ignorante e privo di intelligenza. Sono le masse a dare forma alla società.”
Oggi, con l’accesso da parte di tutti, tranne che da parte dei detenuti in carcere, alla tecnologia, le masse hanno la possibilità di scaricare le proprie frustrazioni contro tutto e tutti, magari proprio contro chi vorrebbe con tutta l’anima tentare di costruire un mondo migliore persino per i turpiloquianti ignoranti e beceri. Certo è che non saranno i dissensi irragionevoli di chi ha una visione della vita limitata al proprio ombelico a scoraggiarci, ti pare? Per cui scrivano tutti qualunque cosa vogliono, dichiarino pure, come ha fatto CIA, la loro speranza che il tuo blog sia presto chiuso, noi andremo avanti raccontando le storie di questo spicchio di mondo dove la sorte ci ha voluto relegare. Qui siamo e da qui leviamo il nostro grido al cielo e a chi vorrà ascoltarci.”

Risponde Nino Mandalà:
Antonio prende lo spunto da una banale vicenda di intolleranza in rete per accendere una antica diatriba su libertà o democrazia.
E’ vero che la volontà generale di Rousseau ha celebrato la nascita del dispotismo democratico in cui “le masse ignoranti e prive di intelligenza “ pretendono di “dare forma alla società”, ma non c’è motivo di sposare il pessimismo di Rajmeesh perché, grazie al cielo e alle conquiste del pensiero liberale, il dispotismo democratico si è evoluto nella moderna democrazia costituzionale che prevede la separazione dei poteri e la difesa delle minoranze. Semmai il pericolo si annida nella pretesa di alcuni rappresentanti dei poteri istituzionali di intendere la loro funzione come una missione legibus soluta che rischia di instaurare una nuova forma di dispotismo, quello cioè di uno Stato etico affidato al governo degli uomini d’oro di platoniana memoria.
Non mi preoccuperei più di tanto degli anonimi che invadono le reti “scaricando le loro frustrazioni” e li liquiderei con la lapidaria risposta data a questi galantuomini da Marina Salvadori nel suo blog: <>.