Visualizzazioni totali

giovedì 30 aprile 2015

Il bel Paese

Venerdì 24 aprile a Montecitorio, durante la seduta in cui il ministro Gentiloni ha riferito ai signori deputati sulla morte di Giovanni Lo Porto, volontario palermitano ucciso in Afganistan dai droni di Obama, sui 630 parlamentari di cui è composta la Camera, erano presenti in 40 di cui 3 siciliani. Al povero Lo Porto, già vittima di una sorte che non gli ha lesinato sofferenze, la misericordia divina, impietosita, ha voluto risparmiare la pantomima di una folla di manigoldi ipocritamente in gramaglie.

Nella notte di domenica 26 aprile, il dottor Francesco Menetto, medico pediatra tra i più stimati di Genova, padre di Marco Menetto farmacista accusato di aver trafficato in medicinali antitumorali rubati, non reggendo alla vergogna per l’infortunio giudiziario del figlio e pur non credendo alle accuse nei suoi confronti, si è tolto la vita lanciandosi nel vuoto da un ponte. Ha lasciato un biglietto: “La magistratura miope a volte uccide”. Commento del procuratore capo di Monza Corrado Carnevali, titolare dell’inchiesta che ha sconvolto il suicida: “Ormai dicono tutti così. Non c’è altro da commentare”. Quando si dice il delirio d’onnipotenza che ascende a culto di sé e annulla ogni traccia d’umanità.

Carlo De Benedetti, ai legali di Marco Tronchetti Provera che, nell’ambito del processo intentato a quest’ultimo per diffamazione, gli chiedevano se ricordava di essere stato condannato per aver falsificato i bilanci della Olivetti quando ne era presidente, ha risposto che no, non ricordava. In verità l’ingegnere, capofila dei duri e puri che detengono l’esclusiva della superiorità morale, ha patteggiato 3 mesi, convertiti in cinquanta milioni di lire di multa, in conseguenza delle responsabilità accertate a suo carico proprio in relazione alla vicenda Olivetti. Ma lui dice di non ricordare e deve essere vero, l’ingegnere è un uomo d’onore sicuramente in buona fede, alla sua età può capitare di avere dei vuoti di memoria.

Il Presidente del Consiglio, in una lettera aperta indirizzata ai circoli del suo partito, perentoriamente avverte che la legge elettorale al vaglio del Parlamento va approvata: “Avanti con l’Italicum, egli scrive, ne va della dignità del PD”. Dunque, pare di capire, l’onore del PD è legato all'approvazione della legge elettorale e una normalissima dialettica che può anche portare a dissentire dalla volontà del segretario del partito, è considerata immorale. Chi dissente da Renzi, e non parliamo solo della minoranza del PD ma anche delle altre forze politiche esterne al PD, non è considerato un interlocutore prezioso che con le sue idee offre un contributo ad una decisione importante quale è quella sulla legge elettorale, chi dissente da Renzi, ad avviso di quest’ultimo, è un indegno!


La Presidente della Camera, on. Laura Boldrini, in una lettera al Corriere della Sera, con toni accorati denuncia la contraddizione tra gli sprechi della produzione alimentare per un ammontare di 1,3 milioni di tonnellate e la fame che affligge una parte cospicua dell’umanità la quale agonizza sotto gli standard minimi di vita. Invita ad una crociata contro questa sperequazione immorale indicando diverse iniziative utili ad affrontare il problema. I toni son alti e l’invito alla solidarietà sincero perché proviene da una vocazione autentica di cui è testimone il vissuto della signora Boldrini. Colpisce soprattutto l’invito ai giovani a mettersi in gioco e partecipare alla battaglia per la soluzione di una delle questioni cruciali del nostro tempo. Non c’è che dire, tutto molto bello e nobile, ma una domanda si impone: l’appello della signora Boldrini, l’appello cioè di combattere per risolvere il problema della fame nel mondo, si rivolge a quegli stessi giovani (si fa per dire) che combattono ogni giorno la battaglia per sconfiggere la fame a casa loro e, ancora in età canonica, non trovano di meglio che continuare a convivere con i genitori mantenendosi alle loro spalle con l’incubo che, prima o poi, i genitori non ci saranno più? Oppure al 43% di giovani siciliani che non studiano e non lavorano e sono in attesa di decidere se debbono delinquere o ingrossare la pattuglia dei mantenuti?

Ma in che cavolo di Paese viviamo?

sabato 25 aprile 2015

L’impero della miseria

Il male ha una delle sue componenti più drammatiche nella ineluttabilità della miseria, una costante mai sconfitta nella vita degli uomini. Quanto sta accadendo in questi giorni, con la moltitudine di profughi che fuggono da condizioni di vita invivibili e sono inghiottiti dal mare, narra l’epopea miserabile di uomini che vivono sotto la soglia della dignità umana. E’una condizione che purtroppo abbiamo imparato a conoscere anche noi italiani incamminati ormai da anni, sempre più numerosi, verso la povertà assoluta. Quando i figli di quella che è stata una società opulenta, combattono la battaglia per sopravvivere cercando di inventarsi espedienti che spesso vanno oltre il lecito e il moralmente tollerabile e si dibattono tra le spire di una disperazione senza via d’uscita abdicando all’amor proprio e al rispetto di sé, in che cosa differiscono dagli ultimi del mondo? E dove è la nostra cultura cristiana? Perché di questo bisogna parlare, dobbiamo chiederci cioè se la stessa cultura cristiana non sia stata sconfitta. Come scrisse Croce, non si può non essere cristiani, perché quello che siamo è l’eredità di un messaggio lanciato duemila anni fa da un pacifico rivoluzionario di nome Gesù. L’uomo che ha preso coscienza della propria dignità cancellando l’istituto della schiavitù che prima di Cristo non costituiva scandalo, la donna che si affranca dal gineceo e guadagna gli stessi diritti dell’uomo, i vecchi e i malati non più abbandonati come esseri inutili, i bambini non più alla mercé di un padre che nella società contadina di un tempo poteva non accettarli e decidere di disfarsene come di una inutile mercanzia, i diritti fondamentali dell’uomo che hanno trovato solenne consacrazione in proclami e convenzioni in tempi relativamente recenti, lo stesso concetto d’amore considerato non solo come eros ma anche come agape, come donazione di sé, sono il risultato della cultura cristiana di cui l’Europa è stata permeata e che si è diffusa in tutto il mondo. Questa immensa eredità rischia di essere rimessa in discussione. Nietzsche, un nemico per eccellenza del cristianesimo, ha dovuto riconoscere: “Tutto quanto soffre, tutto quanto è appeso alla croce è divino…..e l’individuo non lo si poté più sacrificare”. Ma oggi è ancora vero ciò o non è l’uomo sacrificato tutte le volte che è lasciato alla crudeltà del mondo e alla mercificazione della persona? E non parliamo solo dei migranti che muoiono in mare, parliamo anche di quelli che riescono ad approdare nelle nostre coste e si prestano alle attività più mortificanti fornendo lo spettacolo di una umanità che ha rinunciato alla propria identità e contende il primato del degrado ai diseredati di casa nostra, in una gara di sofferenza ignorata da una società sempre più secolare ed endogamica (giusto quanto temuto da Claudio Magris) e abbracciata solo dall’abnegazione dei credenti in nome di una vocazione alla condivisione del dolore altrui alla quale li richiama il patibolo di Cristo. La loro fede però non può andare oltre, sconfitta dalla dimensione di un esodo biblico e dalla deriva di una economia asfittica che colpisce i più deboli e che la loro generosità non è in grado di affrontare. E’così che, mentre l’anima dei giusti, appagata dal suo spicchio di sofferenza, vola verso una prospettiva di santità, la dignità dell’individuo non riesce ad affrancarsi dalla morsa della miseria materiale e lo stato dell’uomo ritorna alle condizioni anteriori alla venuta di Cristo. E’ vero che, come sostiene la Chiesa, Cristo non è venuto a civilizzarci ma a santificarci ma è anche vero che, secondo Arnold Toynbee, “la democrazia è una pagina del Vangelo”. A Bruxelles sembrano avere dimenticato il lascito del Vangelo dal quale sono stati formati e, così come hanno abolito il crocifisso, hanno rinnegato le loro origini, in una corsa ad un relativismo morale che privilegia la logica miope e miserabile del piccolo interesse privato e ignora l’ecatombe epocale di uomini con un volto e un cuore come tutti, che parlano, mangiano, amano e hanno un loro discernimento esattamente come qualsiasi altro uomo. Ma, quel che è peggio, non hanno consapevolezza dell’ecatombe che ha falcidiato le loro coscienze.  

lunedì 13 aprile 2015

Il reato di tortura

In questi giorni si parla tanto del reato di tortura. Come al solito il Parlamento italiano, affetto da inguaribile provincialismo, ha avuto bisogno di essere bacchettato dalla Corte di Strasburgo, per precipitarsi ad approvare la legge che riconosce il reato di tortura nel nostro codice penale. I nostri governanti dalla faccia di bronzo, incalzati dall’Europa, hanno fatto a gara a chi proclamava con toni più o meno scandalizzati la loro costernazione a distanza di anni da quando si è consumata la violenza contro i giovani della scuola Diaz. Meglio tardi che mai, ma tant’è, questo passa il convento e questo dobbiamo prenderci. Siate certi però che, anche stavolta, all’insegna delle belle parole, il vitto del convento gabberà lo santo. Tanto per essere chiari, mi riferisco al pericolo dell’ennesimo raggiro ai danni dei soliti noti con i quali si può tranquillamente barare perché sono figli di nessuno e su di essi ogni scrupolo può essere eluso. E’ indubbio che non ci sono giustificazioni alla violenza subita dai giovani della Diaz, anche di fronte alle manifestazioni più provocatorie lo Stato deve saper rispondere con misura, ma non c’è dubbio neanche che quei giovani si sono resi protagonisti a loro volta di atti di violenza che una certa milizia ideologizzata tende a perdonare perché proviene da ”compagni che sbagliano” e, pur sbagliando, sono riscattati dalla nobiltà dei lombi dai quali sono stati generati e dei loro ideali. Agli altri, no, agli altri non si perdona nulla, ai rozzi frutti di lombi meno raffinati, che con la loro violenza ci hanno fatto inorridire, non spetta nulla perché alle bestie nulla è dovuto, men che meno la pretesa di essere considerati cittadini di uno Stato di diritto. E dunque c’è da scommettere che il 41 bis e la lunghezza dei processi non entreranno nella fattispecie del reato di tortura, nonostante le diverse pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia che hanno condannato l’inumana condizione in cui vivono i detenuti in regime di 41 bis la cui integrità fisica e psichica è a rischio, e la lunghezza del processo che condiziona la vita dell’imputato costringendolo a convivere col marchio di una imputazione non provata, con l’emarginazione e il disprezzo della gente, per un tempo non dovuto. Quando un imputato, in attesa della conclusione di una sua vicenda giudiziaria, è costretto a vivere il proprio calvario per un tempo infinito, quando un cittadino, in cerca di giustizia, vede il proprio diritto ad una sentenza vanificato da tempi interminabili a causa della inettitudine dello Stato, allora scatta la psicosi del diritto negato e può accadere di tutto. Può accadere che il cittadino viva la sua vicenda imboccando la via della frustrazione che si trasforma in disperazione che sfocia nell’autodistruzione e qualche volta nella distruzione altrui come è accaduto al Tribunale di Milano. Naturalmente non si può e non si vuole giustificare il gesto di un folle le cui motivazione non conosciamo e non possiamo valutare e tanto meno condividere, possiamo solo cercare di capire il contesto in cui è maturata una tragedia che si poteva evitare e che invece si tenta di strumentalizzare perché, tanto per cambiare, non perdiamo il vizio della disonestà intellettuale. Sulla vicenda infatti si sono fiondati i soliti pretoriani in servizio permanente gridando all’isolamento dei magistrati e alla loro esposizione al rischio di aggressioni a causa di un presunto clima di delegittimazione attribuito ad una sorta di “spectre” che trama nell’ombra, quando invece appare evidente che il discredito e la tentazione di rivalsa nei confronti dei giudici nascono dai vizi del sistema. Se c’è una cosa chiara in questa vicenda, è che le vittime di Milano sono un magistrato ma anche un avvocato e un cittadino comune nei confronti dei quali l’astio dell’assassino appare parimenti distribuito. Allora, perché l’enfasi dell’aggressione solo nei confronti dei magistrati? E torniamo al punto. Una logica manichea abbastanza diffusa distingue tra cittadini di serie A ai quali tutto è dovuto in nome di una loro pretesa superiorità antropologica, e cittadini di serie B ai quali nulla è dovuto. Con buona pace dello strabismo peloso, le vite dei cittadini comuni vessati dallo Stato, degli avvocati mortificati nel lavoro ed esposti all’ira dei clienti che spesso attribuiscono alla loro responsabilità la causa delle proprie traversie giudiziarie, degli sciagurati confinati nei sottoscala della società a causa della loro scelleratezza, da una parte, e quelle delle icone blindate e dei giovani massacrati alla scuola Diaz, dall’altra, sul piano del diritto si equivalgono. Purtroppo le prime non sono considerate alla pari delle seconde, perché figlie di un dio minore.



sabato 4 aprile 2015

Il giorno dell’autismo, il giorno dell’amore


I colori dell’arcobaleno dipinti nell’iride dei tuoi occhi guardano con ironia al mondo di noi esseri cosiddetti normali, estranei alla magia del mondo incantato di cui tu, chiusa nel tuo bozzolo, conosci il segreto. Ricordo quando sei nata e mi hai sorriso già allora con quella tua aria carica di mistero e di dolcezza che nascondeva il segreto della tua natura insolita e ammiccava a quel nonno confuso, incapace di percepire il miracolo di quella nascita. Con gli anni ho conosciuto il vero senso della tua esistenza e benedetto il regalo di te piovutomi dal cielo, che mi ha ripagato della miseria della mia natura dozzinale e dei torti inflittimi dalla sorte. Sei stata la mia via per l’al di là e mi hai preparato a conoscere anzitempo quello che mi aspetta. E’ grazie a te, ai muti dialoghi che intessiamo, alle galoppate che assieme facciamo nelle infinite distese fiorite di arabeschi dorati, alle fresche sorgenti alle quali ci dissetiamo guardandoci negli occhi, al fruscio festante delle ali degli angeli intorno a noi, è grazie a tutto ciò che vivo anzitempo il paradiso che mi attende. Ti debbo la mia salvezza, il tuo amore mi ha scelto quando sei nata, mi ha preso per mano e non mi ha più abbandonato.