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martedì 23 gennaio 2018

I censori

L’aria contegnosa e il volto corrucciato, il sopracciglio perennemente arcuato in segno di  disapprovazione, gli illuminati conducono la loro crociata in difesa della verità assoluta agitando la bandiera della superiorità morale e predicando l’obbedienza al politicamente corretto, la bibbia che è obbligatorio osservare se si vuole evitare la scomunica. Questi sacerdoti dell’intolleranza ideologica, seppure in minoranza, riescono a soggiogare con l’arroganza delle proprie ragioni la grigia maggioranza silenziosa priva di qualsiasi ancoraggio ideale e incapace di ribellarsi alla colonizzazione delle coscienze. Imperversano, linciano, macchiano reputazioni, incitano le masse all’odio, gonfiano il petto indignati contro la corruzione e il malaffare, invocano la condanna all’emarginazione, fieri del loro pedigree immacolato. Ma la superiorità morale rivendicata in esclusiva dai nostri Torquemada non sempre odora di bucato, essa, quando è in buona fede, è  il volto ingenuo e velleitario degli onesti che urlano la loro rabbia alla luna, ma il più delle volte è la facciata perbenista dei sepolcri imbiancati che digrignano i denti per conto dei padroni del vapore, la maschera imbellettata dei servi al guinzaglio di interessi occulti in cambio di prebende e carriere. Quando dalle colonne della testate giornalistiche e dai salotti dei talk-show addomesticati tuonano contro i mali del mondo, in verità questi piazzisti del pensiero unico si prestano ad essere, vuoi per calcolo, vuoi  per cieco furore moralistico,  strumenti più o meno consapevoli degli oligarchi annidati nei santuari del potere che, sotto mentite spoglie, mentre si propongono quali modelli di virtù morali in sintonia con gli umori della piazza, perseguono una tirannia economica, politica, finanziaria e persino giudiziaria parallela al potere dello Stato. Pupi e pupari, insieme appassionatamente, hanno buon gioco perché si misurano col vuoto, perché alla loro arroganza culturale e morale fa da triste contraltare l’assenza di una solida coscienza civica, la mancanza di una proposta alternativa che non sia quella di una certa parte politica impresentabile la quale farnetica di valori liberali con una spudoratezza pari all’inadeguatezza con cui li tradisce. Ma salire in cattedra e pontificare sulle magnifiche sorti e progressive della loro centralità morale non assolve i nostri demagoghi dalla responsabilità per i rischi cui espongono la nostra civiltà, la civiltà del diritto, la libertà dal ricatto morale, la libertà di scegliere secondo principi piuttosto che secondo il verbo del pensiero dominante, la reputazione di chi è sfiorato dal sospetto, gli stessi principi fondamentali della Costituzione tradita dai medesimi che la celebrano. In questo quadro ci avviamo verso la consueta sceneggiata elettorale apprestandoci a ripetere un déjà vu e a consumare il solito rituale con cui consegneremo gli eletti nelle mani di chi ne farà uso per i propri fini. Alla schiera dei talebani del moralismo si oppongono le falange degli imbonitori che vantano la bontà della propria mercanzia, entrambe  offrendoci, dopo la bisboccia che ha prosciugato le risorse del Paese, la sbornia delle panzane e facendo a gara a chi le spara più grosse pur di portare a casa i risultati utili alla loro parte. Godiamoci questa fiera dell’inganno da qui al 4 marzo.