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martedì 2 aprile 2019

La società giudiziaria


La società giudiziaria, figlia di un giacobinismo che ha alimentato una certa cultura giustizialista, sta conoscendo una nuova stagione sulla spinta del populismo imperversante. E' un fenomeno che Luciano Violante ha denunciato in una sua lectio magistralis temendone la deriva autoritaria. Essa ha dato prova di sé già all'epoca di mani pulite e non si è risparmiata tutte le volte che se ne è presentata l'occasione. Una delle battaglie che l'ha vista più impegnata è la lotta alla mafia condotta con un approccio fideistico talmente smaccato da eludere il diritto e ignorare i fatti punendo piuttosto che il reato lo status, una condizione nuova e infamante che marchia a fuoco definitivamente la pelle del malcapitato.
La società giudiziaria è dunque innanzitutto lo Stato che opera nei confronti dell'imputato mafioso una vera e propria sospensione dei diritti e crea la figura del reietto. E' una figura che viene costruita già in carcere con una detenzione punitiva e vendicativa che contravviene il dettato costituzionale secondo cui la pena non deve essere disumana e deve tendere alla rieducazione. Quanto invece essa sia disumana e diseducativa è testimoniato dal regime del 41 bis, una infamia che con l'alibi della sicurezza, nega al detenuto i diritti elementari dovuti ad un essere umano e ogni possibilità di riscatto. L'enormità di questa infamia è descritta nella lettera con cui un detenuto mi ha raccontato il suo colloquio con il figlioletto di pochi anni: “....questo dolcissimo figlio di tre anni non voleva saperne di lasciarmi dopo i dieci minuti durante i quali la legge mi consente di tenerlo in braccio. Il bambino si ribellò e l'agente, mosso a compassione, mi permise di tenerlo ancora un poco abbracciato al mio petto, dopo di che la madre riuscì a strapparmelo e ad attiralo al di là del vetro divisorio. Egli mi sorrise e tese le braccia verso di me, incontrò il vetro e batte le mani credendo in un gioco, sorrise ancora e ancora batté le mani, poi il sorriso si tramutò in singulto, le mani continuarono a battere e ancora a battere sempre più freneticamente contro il vetro fino a quando un pianto dirotto accompagnato dall'invocazione del mio nome sgorgò dai suoi occhioni sgomenti.”
La società giudiziaria siamo noi cittadini che diventiamo il luogo dell'intolleranza laddove il reietto, anche se non è ancora provata la sua colpevolezza, è sottoposto al giudizio del magistrato della porta accanto che lo condanna sulla base degli spifferi che fuoriescono dalle segrete carte della Procura. Siamo noi che neghiamo la possibilità di riscatto a chi ha scontato la pena e deve fare i conti con il sospetto, l'emarginazione e l'impossibilità di trovare un'alternativa che lo affranchi dalla tentazione del crimine. Ed è così che la legge del contrappasso finisce per presentare il conto. Con la legge sulla legittima difesa la Società giudiziaria ha intonato il canto del cigno e in una sorta di Termidoro ha ghigliottinato la magistratura non perché spaventata dalla spietatezza di Robespierre ma al contrario perché ha ritenuto che essa non si fosse sufficientemente dispiegata. Ha rivendicato a sé il diritto di fare giustizia e ha rivoluzionato il concetto di valore: il patrimonio vale una vita e va difeso anche a costo di essa. Ha operato una rivoluzione copernicana che ha invertito i valori e, mai sazia dei suoi eccessi, tenta ad ogni piè sospinto di soddisfare la sua bulimia alzando sempre più l'asticella dei suoi appetiti. Stiamo precipitando verso una inciviltà giuridica che ci fa tornare al Pentateuco, dimentichi del patrimonio dei lumi sciaguratamente relegati in soffitta.


sabato 23 febbraio 2019

I manettari


Il gesto dei polsi incrociati del senatore Giarrusso che evoca le manette, è l'odiosa espressione di un animo malvagio che non conosce la pietà e si realizza istigando alla gogna. Esso la dice tutta su come in casa grillina il senso della giustizia sia fatto coincidere con la voglia di linciaggio e con la pretesa di processare sulla pubblica piazza e condannare senza inutili lungaggini procedurali il malcapitato che ha il torto di militare nel campo avverso. Paradossalmente nello stesso momento in cui levano solennemente il grido in difesa della legalità, i grillini spodestano l'unico potere delegato a sovrintende al rispetto di essa, la magistratura, e si sostituiscono a quest'ultima emettendo sentenze in proprio che sono univoche: le manette per tutti coloro che sono sfiorati dal sospetto, secondo il dogma caro ad una certa cultura che considera il sospetto l’anticamera della verità, purché il sospetto riguardi gli avversari. La conferma di tale vocazione si è avuta nel caso Salvini con il ministro dell'interno graziato da un insolito approccio garantista anziché crocifisso dalla solita intransigenza forcaiola, e la magistratura scippata delle proprie funzioni. Certo sulle accuse della magistratura c’è da discutere e un dibattito si imponeva su come dovesse intendersi il comportamento del ministro, se reato o legittimo esercizio della propria funzione, ma questo dibattito avrebbe dovuto svolgersi nelle sedi competenti, non consultando in rete quattro gatti che sono stati spacciati per voce del popolo solo perché iscritti nella piattaforma della Casaleggio & C., e poco importa che non conoscessero la materia su cui erano chiamati a pronunciarsi. Altro che democrazia diretta, questa è usurpazione della democrazia ad opera di una olocrazia che manipola l'oclocrazia vociante. Ed è stato anche un escamotage che ha permesso all’universo grillino di uscire dalle secche in cui rischiava di incagliarsi il governo, nel segno dei peggiori maneggi della tanto deprecata prima repubblica. Altro discorso quello che riguarda gli avversari politici della compagine gialloverde, i quali anche loro in passato si sono attestati su posizioni giustizialiste salvo adesso reagire frignando contro il gesto del parlamentare grillino. Accade di essere investiti prima o poi dalla nemesi della storia quando è il proprio turno di incappare nel mostro giustizialista coltivato allorché faceva comodo alla propria parte. E non è indignandosi, come ha fatto buona parte dello schieramento politico, per la sorte di due settantenni finiti agli arresti domiciliari genitori, guarda caso, di Matteo Renzi, che si dimostra di avere a cuore una equa amministrazione della giustizia. E' questa una indignazione sospetta che dosa la propria sensibilità a seconda del censo, visto che non si è mai levata a favore dei tanti ultrasettantenni figli di un dio minore che in carcere ( quello vero non ai domiciliari con concessione del diritto di ricevere in casa chiunque e potersi relazionare con chicchessia ), ci marciscono per anni, alcuni in regime di alta sicurezza o addirittura di 41 bis, e scontano preventivamente la pena in attesa di sapere se sono innocenti o colpevoli. Alcuni di essi, ottantenni, in carcere ci muoiono!

venerdì 18 gennaio 2019

Cesare Battisti


Cesare Battista è sicuramente un personaggio negativo e non c’è nessuno che, per quanti sforzi faccia, possa ricavarne un profilo che meriti pietà. Uccidere a sangue freddo e in maniera vile degli innocenti nel nome di una ideologia che era solo una bandiera agitata allo scopo di spacciare per vocazione rivoluzionaria una miserabile vocazione al crimine puro, la dice tutta sulla caratura di questo delinquente. Cinico e calcolatore, è riuscito a darla a bere ai soliti “intellettò” salottieri inclini alle infatuazioni perverse, tra cui primeggia il solito Bernard- Henri  Lévy, che tanti danni hanno fatto e che, nella fattispecie, hanno fatto quadrato attorno al nostro giungendo fino all’improntitudine di riconoscergli una dignità letteraria. Sembra incredibile che mosche cocchiere assise sulla presunzione della loro infallibilità, siano potute cadere nel tranello del signor Battisti, ma tant’è, il dogmatismo ideologico che confonde il grano con il loglio fa brutti scherzi. C’eravamo illusi che la sorte avesse finalmente girato le spalle a questa primula in fuga sui due continenti. Salvato dai rigori della giustizia grazie ad una lunga latitanza protetta, nel momento in cui è stato arrestato ed è sembrato destinato ad una carcerazione ingloriosa, dimenticato come merita un comune malfattore, ecco che ci hanno pensato i nostri ministri dell’interno e della giustizia a dargli una mano producendosi in una performance degna dei migliori promoters e lanciando nel pantheon dei martiri questo galantuomo esibito come un trofeo di caccia ed esposto alla pubblica gogna in un clima che ci riporta agli scenari da suburra degli spettacoli circensi. Ci mancava solo che il signor Salvini e il signor Buonafede facessero pollice verso. In questo modo i nostri geni hanno ottenuto il bel risultato di consegnare un individuo simile ad una pietà che non merita. Se oggi il Web brulica di proteste sulla dignità calpestata del signor Battisti, lo dobbiamo ai nostri ineffabili ministri. Senza considerare poi la sconcezza in sé di due uomini delle istituzioni che fanno passerella competendo nella gara a chi è più visibile a spese di un uomo, sia esso il peggiore degli uomini. Spettacolo avvilente di un provincialismo culturale espressione di una società malata che non sa offrire niente di meglio.

giovedì 17 gennaio 2019

Comandano i terroni


Il titolo di Libero, “Comandano i terroni”,  con riferimento alle tre alte cariche dello Stato , Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio, Presidenza della Camera, occupate da tre meridionali, ha suscitato, come c’era da aspettarsi, reazioni indignate. Il titolo è certamente un insulto gratuito che offende non solo la forma ma anche la sostanza. Esso infatti non solo ci regala uno scampolo becero della penna al vetriolo del solito Feltri ma agita un problema che non esiste. Da che mondo è mondo, i posti di potere della politica in Italia sono stati sempre appannaggio dei proconsoli insediati a nord di Roma, e non c’è motivo di gridare al lupo solo perché  in questo momento tre meridionali siedono ai vertici delle istituzioni.  Forse che questa “colonizzazione” delle alte cariche dello Stato mette in pericolo la condizione di supremazia del nord che da sempre connota la scena politica italiana? Sembra quasi che nei nostri allarmati concittadini del nord, abituati a considerare il sud serbatoio di voti e i terroni subalterni agli interessi del nord, scatti una sorta di tic pavloviano che li fa insorgere preoccupati. Tranquilli signori del nord, non correte rischi, a dispetto delle tre alte cariche dello Stato, il potere, non solo quello economico, è saldamente in mano vostra e continuerete come sempre a comandare voi, altro che i terroni!  Detto questo però, c’è un però, ed è che, tanto per cambiare, noi meridionali non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione per piangere sulla nostra condizione, secondo un’antica tendenza al vittimismo, chiamando in causa altrui colpe anziché le nostre. E’ così che alcune penne indignate si sono prodotti in una sorta di chiamata alle armi lamentando la nostra condizione di subalternità al nord, rivendicando il nostro orgoglio e lanciando un invito a pretendere che la questione meridionale sia posta al centro dell’agenda politica del Paese come se questa fosse la panacea dei nostri mali! Ma dov’è l’originalità della proposta?  Da quando sono nato non sento parlare d’altro che di questione meridionale senza che ai buoni propositi e alle roboanti promesse siano seguiti i fatti, e ciò non per colpa d’altri ma per i nostri vizi, per l’inadeguatezza di noi meridionali. Di quale orgoglio parliamo infatti e dov’è l’orgoglio di un popolo che per buona parte non sa produrre, che non conosce l’etica della responsabilità, che ha fatto della propria inefficienza la cifra della propria identità e si è consegnato alla sua sorte di sottoprodotto sociale dedito alla questua e impegnato a ricorrere ad espedienti? E’ sempre stato così e non vedo perché dovremmo lamentarci degli sbracamenti di coloro che abbiamo incoraggiato a trattarci da paria. Certo non è il massimo sentirci dare del terrone, ma cosa possiamo aspettarci da gente che ha nel proprio DNA la rozzezza del sangue celtico e alla quale peraltro noi offriamo lo spunto per dare la stura al solito, logoro razzismo? E, a proposito di razzismo, sicuramente non è indice di una visione alta della politica ritenere di ridurre il sud ad una provincia residuale staccata dall’Europa. Con buona pace dei signori leghisti è una visione che non porta lontano. Così come non porta lontano illudersi, come ha fatto qualcuno, che l’orgoglio del sud sia ben rappresentato da epigoni del calibro di Orlando e De Magistris. Questi signori hanno già dato prova di sé e non è il caso di rimpiangerli.

martedì 25 dicembre 2018

Natale 2018


Bello il Natale, bello il solito rituale dei sentimenti buonisti solennemente proclamati  e non autenticamente sentiti, belle le famiglie raccolte attorno al focolare domestico intente, come ogni anno in questi giorni, a mentire sui buoni propositi che saranno puntualmente disattesi, bello il trionfo delle luminarie per le strade e lo splendore delle luci nelle vetrine dei negozi traboccanti di doni luccicanti che sono un insulto alla miseria, bella la solidarietà per gli ultimi compuntamente declinata  ma dimenticata per il resto dell’anno, belle le tavole riccamente imbandite e la crapula smodata i cui avanzi prenderanno la via dei cassonetti dove i poveri andranno a rovistare, belle le roboanti omelie degli improvvisati apostoli della carità gonfi del sacro fuoco che metteranno in soffitta non appena sarà calato il sipario sulla scena della rappresentazione in cartellone, bella l’ipocrisia di un farisaico e mieloso afflato umanitario che durerà lo spazio di un mattino, bello il grido del Papa contro lo scandalo della povertà mestamente destinato a cadere nel vuoto di coscienze pie, bella l’aria ecumenica che invita a volerci bene mentre il pugnale che colpirà alle spalle si nasconde tra le pieghe dell’inganno, bello il clima festante che ignora il dolore del mondo. L’eco del clamore pagano arriva nelle stanze della tortura ed aggiunge dolore a dolore infliggendo una pena ancora più crudele della pena consueta. L’eco crudele giunge nelle carceri e nelle bidonville, nei lebbrosari dei malati terminali, nelle mense in cui si consumano le lacrime distillate da pasti non consumati, nei luoghi della discarica in cui la società abbandona gli anziani, inutili resti di una umanità che fu, nel desolato mondo dei  reietti  esclusi dal consorzio cosiddetto civile, in tutti i luoghi dove l’uomo ha rinnegato se stesso. A tutti giungono proclami che non dicono nulla e si aggrappano sconciamente alla inadeguatezza di una pietà che pronuncia parole vuote, così come è vuoto l’augurio di buon Natale.


venerdì 23 novembre 2018

Angeli e demoni

Si avvicinò con un sorriso sdentato e timido mimando con l’indice e il pollice il segno dei piccioli e bofonchiando: “Scusassi, scusassi”. L’aspetto era miserevole ma lasciava trasparire un trascorso stato di  benessere dal quale quell’uomo vestito di una modesta ma linda grisaglia si era  dimesso per ragioni che erano testimoniate dalla sua dentatura irrimediabilmente consunta. La carie aveva cavalcato in compagnia della incipiente indigenza ed era stata l’avanguardia dello stato di povertà assoluta nel quale quel borghese piccolo piccolo sarebbe stato traghettato. I denti guasti erano il biglietto da visita della sua  condizione di  nuovo povero che, impegnato a tentare di arginare la rovina economica incombente, non aveva avuto tempo, testa e risorse per occuparsi  dei denti che stava perdendo. Ora era  troppo tardi e se ne andava in giro a questuare all’insegna di quel suo sorriso osceno. Fermo davanti a me, il capo chino,  in un’attesa priva di speranza, si illuminò di stupore quando si accorse che armeggiavo col portafogli alla ricerca di una banconota da offrirgli. Chissà dove viveva, chissà dove dormiva! Ad un tratto mi vennero in mente i ritratti della galleria dei reietti nei quali mi sono imbattuto durante la mia vita. Mi ricordai di quel distinto signore che, sorpreso a rovistare nel cassonetto dell’immondizia all’imbrunire quando il pudore trova riparo nelle prime ombre della sera, si giustificò con aria colpevole e lo sguardo implorante, dicendo che era impegnato a cercare qualcosa di suo che, chissà come, era andato a finire nel cassonetto. Ricordai il suo imbarazzo e le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi spalancati in un abisso di disperazione. Mi ricordai di Aldo e Giovanna agghindati e sorridenti mentre, reduci dalla messa pomeridiana nella Chiesa della Mercede, passavano con aria noncurante davanti al Boccone del Povero e, guardandosi circospetti attorno, sgattaiolavano nei locali della mensa. Mi ricordai di Cecilia e Alberto raggomitolati sotto una coperta di fortuna al riparo nei portici della Chiesa di San Michele che, stretti in un abbraccio d’amore, le mani rinsecchite dal freddo abbrancate le une alle altre, accoglievano con un sorriso grato gli angeli della notte che portavano un pasto caldo. Mi ricordai di Costanza, tosta e annerita dalla fuliggine del fuoco acceso ai bordi della tenda nella quale era accampata e che divenne la sua urna funeraria quando le fiamme la inghiottirono. Mi ricordai di Giovanni che diede un calcio ai suoi sogni di promettente studente di filosofia e, come Diogene, si rifugiò nella sua botte di frustrazione dalla quale usciva con sguardo furente. Mi ricordai di me migrato dall’opulenza all’indigenza dopo avere attraversato un pezzo della mia vita popolato da incubi. Mi chiesi allora, con l’irritazione di chi non capiva, perché tanti nostri connazionali si spingono negli angoli più sperduti del mondo per offrire la loro solidarietà a bisognosi lontani invece che ai nostri. Sennonché ho letto gli insulti che sul web sono piovuti addosso alla povera Silvia Romano, la ragazza rapita in Kenia, “colpevole” della sua generosità in un posto così lontano, e mi sono vergognato della mia irritazione, anche perché non ho attenuanti. Sono onorato dall’amicizia di una donna straordinaria che spende la sua esistenza per gli altri senza porre confini geografici o di pelle alla sua generosità. Dovrei sapere che cosa muove l’animo di persone come la mia amica e Silvia Romano, così distanti anagraficamente e così vicini nel modo di intendere la loro vita, donandola agli altri senza confini e senza pretendere nulla in cambio. La mia amica non ha dimenticato lo slancio dei suoi vent’anni e continua a sognare, dobbiamo sperare che, quando ci verrà restituita, Silvia, a dispetto della sua terribile esperienza, continuerà ad amare e anche lei a sognare e così riscattare l’umanità dall’infamia degli sciacalli che appestano il mondo dei social e non solo quello.                
                                        

giovedì 1 novembre 2018

L'etica dei nuovi governanti


Ero convinto con Churchill che la democrazia fosse la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre, ma ci ha pensato Di Maio a mettere in crisi le mie convinzioni: grazie a lui ho scoperto che non c’è niente di peggio di una democrazia capace di eleggere alla guida del Paese uomini come il nostro vicepremier. Non varrebbe la pena di aggiungere altro all’impareggiabile palmarès di questo incorreggibile gaffeur, ma le performances che egli sforna a getto continuo suscitano reazioni pavloviane cui è difficile sottrarsi. Uno che prima di governare l’Italia si è distinto per avere ricoperto l’alto incarico di steward al S.Paolo di Napoli, si permette di trinciare giudizi sui massimi sistemi senza avvertire i limiti della sua inadeguatezza. Seduto sul trespolo, questo campione del rigore politico che già ci aveva folgorati sulla via dell’impeachment al Capo dello Stato e ci aveva deliziato sulle “manine” che, secondo lui, hanno inserito “a sua insaputa” norme in provvedimenti del governo di cui lui è una delle guide, adesso si produce nell’ultima delle sue imprese bacchettando nientemeno che Mario Draghi colpevole di “ avvelenare nonostante sia italiano il clima ulteriormente”, solo perché ci mette in guardia dai pericoli dello spread. Come se fosse scontato che Draghi, per il fatto di essere italiano, debba rinunciare alla sua indipendenza di giudizio e compiacere Di Maio. Evidentemente al nostro giovane ministro sfugge il dettaglio che Mario Draghi è il Presidente della BCE, che il suo ruolo gli impone l’obbligo di proteggere le sorti dell’economia europea da iniziative che ritiene rischiose per esse e gli da il diritto di esprimere il suo dissenso forte e chiaro in assoluta autonomia persino rispetto al suo passaporto. E’ chiaro che svolgendo il suo incarico con rigore e competenza come ha dimostrato di sapere fare Draghi guadagnandosi il rispetto e la stima del mondo intero, fa anche l’interesse dell’Italia non avallando iniziative scriteriate come pretende Di Maio e anzi mettendo in guardia il suo Paese da quelli come lui. Ma stiamo parlando di una etica che sfugge al nostro statista il quale si  abbevera alle farneticazioni della rete e disprezza il sapere, considerandolo una forma di arroganza. E a proposito di etica, un breve commento in margine alle reazioni suscitate dalla sentenza di Strasburgo che ha condannato l’Italia per avere continuato ad applicare il regime di 41 bis  a Provenzano nonostante le sue condizioni di salute. Contro di essa dalle parti dell’universo gialloverde, in particolare da parte di Salvini che nella circostanza ha definito l’Europa un inutile baraccone,  si sono levate, puntuali,  indignate proteste per quella che ritengono una invasione di campo e un tentativo di mettere in discussione il 41 bis, e si è sostenuto che nessun diritto è stato violato visto che Provenzano è stato curato al meglio in una struttura ospedaliera. E’ appena il caso di ricordare a questi misericordiosi farisei che anche gli animali destinati al macello vengono pasciuti con gli alimenti migliori affinché le loro carni arrivino nelle tavole dei consumatori più saporite. Ma qui si sta parlando di un uomo e del suo essere ontologicamente inteso prescindendo dai suoi predicati accidentali, di cui ha scritto un certo Aristotele, e non credo che lo Stato italiano, il quale giustamente ha inflitto a Provenzano le dure pene che meritavano le sue colpe, abbia rispettato negli ultimi suoi giorni di vita il suo essere in quanto tale prescindendo dalle sue colpe. Credo piuttosto che  l’Italia si sia lasciata prendere la mano dal ricordo della empietà di Provenzano e in omaggio ad essa abbia tollerato che un uomo ridotto a vegetale continuasse a subire la tortura del 41 bis. E’ questo che ha sanzionato Strasburgo, non il 41 bis in sé, e questo, con tutto il rispetto per il punto di vista dei nostri censori,  è un richiamo alla giustizia da non confondere con la vendetta.