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mercoledì 27 febbraio 2013


La gioiosa macchina da guerra

Stamattina il mio edicolante, da sempre militante di una sinistra utopica, mi ha accolto con un accorato grido di protesta. Il buon Giuseppe si chiedeva incredulo come era potuto accadere che un 29% di italiani avesse votato per il centro destra di Berlusconi, causa di tutti i mali dell’Italia degli ultimi anni, e si abbandonava a giudizi impietosi nei confronti dell’indecente fauna di destra.
Mutuando il linguaggio della sinistra elitaria dal sopracciglio inarcato, moralmente e culturalmente superiore, non si capacitava che un certo elettorato antropologicamente inferiore avesse osato esprimere le proprie preferenze scegliendo un personaggio impresentabile come Berlusconi. Come aveva osato questo 29% di iloti prendere sul serio il diritto alla libertà di pensiero e condividere la rozzezza, l’inestetismo, la volgarità di un figuro condannato più che dai tribunali penali, dagli arbitri elegantiarum che dettano i canoni del politicamente corretto?
Mi sembrava di sentire echeggiare i toni di sufficienza di un Bersani o di un Gotor che, ponendo la pregiudiziale nei confronti di Berlusconi, ne mettevano alla berlina la capacità di dire la sua nella battaglia politica in corso, ne denunciavano la mancanza di credibilità, ne celebravano il funerale, brindavano anzitempo ad una vittoria sicura. Il vecchio vizio della demonizzazione e della irrisione dell’avversario tornava a far capolino nel frusto armamentario della gioiosa macchina da guerra della sinistra facendo perdere di vista quello che stava accadendo.
Stava accadendo che truppe sfiduciate e in rotta a seguito degli infortuni di Berlusconi avevano riguadagnato l’orgoglio dell’appartenenza, erano furiosi per il fatto di essere trattati con disprezzo e avevano deciso di riappropriarsi dell’amor proprio perduto, non accettavano di sentirsi liquidare come degli sprovveduti di bocca buona che credevano alla favola del rimborso IMU, si ribellavano al marchio di berluscones con cui venivano derisi e ritornavano sulla loro decisione di astenersi, e, non ultimo, volevano credere alla crociata contro le vessazioni fiscali perché poco gli importava dei profili estetici e molto dei massacri prodotti dall’IRAP e dall’IMU.
La sicurezza della vittoria ha rischiato di giocare un brutto tiro agli esegeti del bon ton . Riflettevo su ciò mentre ero tentato di chiedere a mia volta a Giuseppe come era potuto accadere che un 29% di italiani avesse votato per quel simpatico scialacquatore di Bersani che prometteva di smacchiare il giaguaro e minacciava di sbranare chi osasse mettere in discussione le sue virtù e, a furia di traccheggiare, ha rischiato che fosse lui ad essere sbranato. Ma riflettevo soprattutto se c’era da sperare che i due galletti di destra e di sinistra rinsavissero e si sedessero ad un tavolo per ragionare, dopo la stagione degli sputtanamenti reciproci, individuare le poche cose da fare assieme nell’interesse generale, magari ascoltando la pancia di chi ha protestato con Grillo, e dopo di che togliessero il disturbo.  

sabato 23 febbraio 2013


L’assedio dello Stato

Stiamo vivendo una strana stagione che vede realizzate le più pessimistiche previsioni di Orwell.
Ci guardiamo attorno con circospezione come se temessimo imboscate, controlliamo le nostre condotte perché non suscitino sospetti, parliamo, spendiamo, vestiamo con sobrietà per non svegliare gli appetiti di chi ci controlla e potrebbe farcela pagare. Quando mia moglie ed io riusciamo a ricavare dalle magre risorse di un bilancio legato ad una pensione men che modesta gli spiccioli per abbandonarci al lusso di una serata in pizzeria, lo facciamo con un senso di apprensione, come temendo di essere sorpresi in fragranza di sperpero. Sorridiamo alla fine delle nostre paure e ci diciamo che, per quanto rigoroso, il redditometro ha pur sempre una sua ragionevolezza. Ma non per tutti è così semplice. Non lo è per esempio per chi non ha un lavoro certo e si deve ingegnare con lavoretti in nero da cui ricavare il poco che serve a sopravvivere ma ha il problema, se sorpreso a sopravvivere, di dimostrare come riesce a farlo. Non è semplice per l’esercito degli acrobati dell’espediente che si insinuano nelle pieghe della società sfruttando ogni anfratto che offra riparo, con alle calcagna il rischio, sempre dietro l’angolo, di incespicare in un passo falso che presenti il conto per il reato di ribellione all’indigenza.
Quando, sbarcando da un aereo o da una nave, veniamo annusati dai cani poliziotto, avvertiamo più che il sollievo di sentirci tutelati dallo Stato, la paura che possiamo incappare in qualche irregolarità non voluta perché non sempre sappiamo che cosa è consentito e cosa non, affrontiamo con un pizzico di preoccupazione l’esame del cane o del metal detector, osserviamo con apprensione le espressioni del poliziotto cercando di capire se tutto è a posto, ci comportiamo con un atteggiamento guardingo nei confronti dello Stato perché questo è l’atteggiamento che ci ha ispirato lo Stato spiandoci, violando la nostra vita privata, vessandoci. E’ di questi giorni la sentenza del giudice Antonio Lepre del Tribunale civile di Napoli il quale, partendo da considerazioni sulla tutela dei diritti fondamentali prevista nella Costituzione e nella Carta dei diritti dell’Unione europea, boccia il redditometro perché “fuori dalla legalità costituzionale e comunitaria, in quanto esso è“eminentemente inquisitorio e sanzionatorio” e determina “ la soppressione definitiva del diritto del contribuente e della sua famiglia ad avere una vita privata, a poter gestire autonomamente il proprio denaro, ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo…..e subire intrusioni su aspetti anche delicatissimi della sua vita privata……”.
Se, facendo un acquisto, non possiamo utilizzare una somma contante pari o superiore ai 1000 euro senza rischiare una indagine per evasione fiscale, se, facendo in banca o alla posta un prelievo dai nostri sacrosanti risparmi peraltro già tracciati, superiore ad una certa cifra, siamo obbligati a dichiarare il destino di queste somme, se, telefonando, dobbiamo preoccuparci di essere chiari in maniera pedissequa per evitare di essere fraintesi da chi ci controlla, prendiamo atto che il Grande Fratello è tra noi.
Se all’espediente siamo stati indotti da uno Stato predatore il quale tassa la casa che ha già conosciuto in corso di edificazione i balzelli dovuti per ogni suo tassello impiegato, tassa la pensione che è già stata massacrata alla fonte ed in molti casi è rimasta l’unica risorsa a disposizione, tassa il lavoro ai dipendenti e alle imprese in un momento in cui il lavoro e le imprese andrebbero incentivate, se non riusciamo a far decollare la più importante impresa che abbiamo, il nostro patrimonio artistico e naturalistico unico al mondo che da solo potrebbe assicurare un bel balzo in avanti al nostro Pil e una soluzione alla nostra disoccupazione, mentre invece lasciamo degradare le nostre coste, i nostri siti archeologici, i nostri musei, le nostre opere d’arte, e non riusciamo ad attrarre quella manna dal cielo che sono i milioni di turisti cinesi e giapponesi, scendendo sempre più in posizioni di retroguardia, se la nostra classe dirigente non ha saputo amministrare il nostro bilancio riducendoci nelle condizioni in cui siamo e, nonostante ciò, ha la sfrontatezza di proporsi alla guida del Paese con gli uomini di sempre e per di più sale in cattedra pretendendo di impartire lezioni di virtù mentre la sola virtù che essa pratica è l’agiatezza della sua condizione privilegiata di contro alla indigenza di un popolo strozzato dalle sue ruberie, se questa classe dirigente ha l’impudenza di tuonare contro gli evasori fiscali nello stesso tempo in cui saccheggia le casse dello Stato, se lo Stato non ha saputo modificare le proprie strutture arcaiche, smantellare le corporazioni al suo interno, punire incapacità, scoraggiare privilegi accumulati dai suoi apparati, se sempre lo Stato con cui abbiamo sottoscritto il nostro patto nella doppia veste di cittadini titolari di diritti e di sudditi della legge si è trasformato in un insaziabile esattore che ci ha spogliato della nostra veste di cittadini per imporci quella di sudditi dell’abuso, se questo è lo Stato con cui dobbiamo fare i conti, c’è da stupirsi se in tanti cercano una nuova patria e quali illusioni possiamo coltivare?
Per dirla con Arbore, meditate gente meditate mentre vi apprestate a decidere se votare e per chi votare.

martedì 12 febbraio 2013

Della natura umana


Della natura umana si discute da sempre.
Ne ha discusso S.Agostino a proposito del male, ne hanno discusso Hobbes e Rousseau, l’uno con considerazioni non molto tenere sulla malvagità della natura umana tanto da indurlo a mettere l’uomo sotto la tutela del Leviatano, l’altro all’incontrario convinto che la natura umana sia buona. Mi iscrivo fra quelli che si fanno qualche problema a considerare l’uomo buono. Ritengo che egli abbia perduto la sua innocenza nel momento in cui si è rivoltato contro Dio ed è diventato autenticamente uomo rivendicando il proprio libero arbitrio. Da quel momento è diventato padrone di se stesso con tutto quello che l’attivazione della sua volontà gli ha portato in dote, la capacità cioè di indirizzare i propri comportamenti e declinare di volta in volta la natura che da essi è svelata. Certo si pone il problema del destino che sembra sfuggire alla volontà ma anche in questo caso non si può negare il ruolo della volontà dell’uomo nell’accompagnare le scelte del destino. Mi sovviene al riguardo il pensiero di Socrate secondo cui basta che l’uomo conosca il bene perché sia virtuoso. Con tutto il rispetto per Socrate, la conoscenza del bene non è sufficiente se non è accompagnata dalla volontà del bene.  
E allora come la mettiamo? La mettiamo, come teorizza S.Agostino, che l’uomo è predestinato ma che comunque quando compie il male lo compie perché guidato dalla sua cattiva volontà che invece di tendere al Bene supremo tende ai beni creati e finiti preferendo la creatura a Dio?  S. Agostino deve mettersi d'accordo con sé stesso, troppo comodo considerare l'uomo predestinato e al tempo stesso responsabile quando sceglie il male. Con buona pace di S.Agostino e della sua predestinazione, cattiva o buona che sia la volontà dell’uomo, essa è una conquista con cui bisogna fare i conti. Accettiamo la fede di chi crede che l’uomo è padrone della sua vita grazie alla magnanimità di Dio e che, grazie alla bontà di Dio, ha la possibilità di riscattarla, ma, con l’aiuto di Dio o senza, siamo comunque alla mercé di noi stessi, terribilmente responsabili delle nostre azioni, immensamente soli e autori di comportamenti i quali però ci ammoniscono che la volontà da sola non basta, che è monca se è priva di cuore.
Sono reduce da una visita fatta a mio figlio recluso in regime di 41 bis. Non sto a tediarvi con la solita storia che è inumano non poterlo abbracciare, ne ho già parlato e sappiamo tutti quali sono state le reazioni. La volontà dell’uomo in questo caso non è stata molto caritatevole. Vi parlo invece dello spaccato che è venuto fuori dal dialogo con mio figlio. La prima notizia che mi ha dato è che il detenuto della cella accanto alla sua pochi minuti prima aveva tentato il suicidio impiccandosi. E’ stato salvato grazie alla fortunata circostanza che gli agenti si sono trovati nei paraggi per rilevare mio figlio e accompagnarlo al colloquio con me. Lo hanno salvato ma hanno salvato un uomo morto ormai da tempo. Mi racconta mio figlio che quest’uomo non riceve da anni una visita dai suoi familiari, che non dispone di provvidenze economiche e vive di ciò che, come si diceva una volta, passa il governo e della carità dei suoi compagni, che si è lasciato andare ad una depressione profonda e vive la sua vita a letto sotto sedativi, che l’unico guizzo di volontà e, direi, di dignità lo ha spinto al tentativo di suicidio. La sua volontà contro la volontà sovrana di un mondo senza cuore. Una lotta impari.
Mi ha raccontato tante altre cose mio figlio, di come, per esempio, si combatte una battaglia quotidiana e anche essa impari, fra la debolezza del detenuto e l’imperio del regolamento penitenziario. Chi è stato in carcere sa che il regolamento è sovrano. Chi lo ha redatto si è preoccupato di renderlo severo, in alcune parti stupidamente severo, anche se lo ha fatto precedere ipocritamente dalla pomposa proclamazione che la detenzione ha il compito di redimere. Io dico che ha il compito di rendere ancora più crudele la già innaturale condizione del detenuto. La volontà in questo caso si materializza nel delirio d’onnipotenza del direttore del carcere o anche di un semplice agente che hanno l’occasione di misurare il proprio potere sulla pelle del detenuto applicando un regolamento, già di per se in alcune parti demenziale, ad libitum. Certo c’è il Tribunale di sorveglianza che vigila sulla sua corretta applicazione. Ma quanti sono i detenuti in grado di ricorrere al magistrato di sorveglianza e quanta la disponibilità del direttore del carcere a rispettare l’ordinanza del giudice? Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, ma proprio mio figlio che ha vinto un ricorso al tribunale di sorveglianza e ha ottenuto una disposizione che lo autorizzava a dialogare con i suoi compagni, si è visto trasferire in altra sezione e si è sentito intimare di non parlare con i suoi compagni perché….. non erano gli stessi compagni ai quali si riferiva la disposizione del giudice. Ingegnoso, no? Ed esemplare della cattiveria cui può giungere la volontà umana specie se c’è da prevaricare.
La vita in carcere è fatta anche di questi episodi, di queste squallide ripicche, ma è fatta soprattutto della disperazione di uomini che non hanno prospettive rispetto alla consuetudine di una vita sempre uguale che si trascina giorno dopo giorno con gli stessi riti di sempre ed è destinata a perpetuarsi fino a fine pena o, peggio, fino alla fine della vita quando il fine pena è mai, di uomini che giungono al capolinea della loro vita diversi da come sono partiti e finiscono per subire da innocenti una condanna che non li riguarda più. A questa vita non è offerta alcuna alternativa, non in carcere dove non c’è la possibilità che il detenuto sia impegnato in forme di vita che lo facciano sentire utile e lo distolgano dalla stupidità che si impossessa di una psiche condannata alla noia, che lo allontanino dalla tentazione di odiare se stessi e la loro vita, di odiare lo Stato e sentirlo nemico, altro che redenzione. Non fuori dal carcere, dove giungono accompagnati dal pregiudizio e dalla mancanza di ammortizzatori che li aiutino a non ricadere nella colpa. Altro che volontà lungimirante e misericordiosa!
Ma le insidie alla nostra volontà sono in agguato in ogni momento della nostra vita. La nostra volontà si dispiega in tante forme di bontà e di cattiveria in cui, ahinoi, la bontà è una navicella fragile in balia di un mare in tempesta. Assistiamo agli esempi di splendida solidarietà di un volontariato che mette la propria vita a disposizione del prossimo, ma assistiamo purtroppo ad una più massiccia offensiva di cattiveria. E’ più facile essere cattivi perché non ci si deve impegnare nello sforzo di fronteggiare le mille insidie della vita, basta lasciarsi andare senza doversi sottoporre alla fatica di dar conto al fastidioso imperativo morale o alla nostra coscienza. La saggezza e la carità impongono dei sacrifici e delle rinunce delle quali la passione può fare a meno. E’ così facile fare del male, per esempio inveire contro un uomo in disgrazia ed è così inebriante! Roberto Puglisi, con la sua penna straordinaria, ci ha narrato della canea scatenatasi in rete contro Gianfranco Micciché colpito da angina, ma la sua indignazione è destinata all’oblio. Assistiamo ogni giorno alle manifestazioni di ferocia e di sciacallaggio di anonimi in libera uscita ai quali non par vero di potere scatenare il loro livore senza pagare pegno, è solo la punta dell’iceberg di un mondo sotterraneo e infelice che non deve sottoporsi alla fatica dell’onestà intellettuale e morale ma può lasciarsi andare agli istinti più ferini anziché alla volontà buona.
Assistiamo ogni giorno agli squilibri di un mondo in cui la ferocia dei vincenti si abbatte sulla debolezza dei perdenti. Mi piace ripetere spesso l’episodio citato da Tucidide nel libro V° de “La guerra del Peloponnese” che narra di come i Melii siano dovuti soccombere alle ragioni degli ateniesi i quali ammantavano con l’appellativo di diritto le loro convenienze. E’ un copione che si ripete da sempre e che vede i deboli soccombere nei confronti dei forti in una lotta impari in cui la volontà è priva di cuore.




venerdì 8 febbraio 2013

Uomini e donne in carcere


Il Presidente della Repubblica, in visita a San Vittore, si è commosso di fronte alla realtà con la quale è venuto a contatto. Certo è dura confrontarsi con i relitti di uomini affidati alla custodia dello Stato e trattati con cura inferiore a quella che noi tutti riserviamo alle bestie. La vista di un cagnolino maltrattato, di un somaro sottoposto a percosse, di un cardellino rinchiuso in una gabbia angusta, suscita in noi un moto di compassione che non riusciamo a sentire in pari misura nei confronti di uomini e donne che hanno sbagliato ma che meritano di scontare la loro pena in un contesto di civiltà, di una umanità dolente che soffre nelle nostre carceri e che rimuoviamo con  fastidio quasi a volere seppellire nel nostro intimo il senso di colpa per un fallimento di cui ci sentiamo confusamente responsabili.
Questi reietti della società di cui crediamo di liberarci relegandoli nei gulag delle nostre carceri, sono in verità parte della nostra vita perché di essi siamo complici. Lo siamo nella misura in cui veniamo meno all’etica del buon vivere più spesso di quanto non crediamo. Un mio conoscente che non manca mai di scagliarsi contro i malavitosi che attentano alla sicurezza della nostra collettività, non perde neanche l’occasione, tutte le volte che può, di trasgredire la legge e l’imperativo morale, evadendo le tasse, barando al gioco, taccheggiando nei supermercati, mentendo alla moglie. Certo la criminalità professionale è tutt’altra cosa e probabilmente egli si rammarica perché essa mette a rischio l’ovattata sicurezza del suo squallido mondo di trasgressioni. E’ l’elasticità dell’etica. E in nome di questa elasticità appare meno grave della criminalità organizzata per fini mafiosi la criminalità organizzata nei cieli della nostra finanza, della nostra politica, della nostra amministrazione pubblica. Là scorre il sangue, qua scorrono le nostre vite violentate, il futuro dei nostri figli cancellato, la qualità della nostra vita immiserita, le nostre tasche svuotate del necessario che serve a giungere dignitosamente a fine mese. Cosa pensate che passi per il cuore dei nostri figli quando sono costretti a misurarsi con il fallimento della loro vita, quando, vegetando fra le mura di casa, sono costretti a piatire la paghetta dai genitori in un’età in cui la paghetta dovrebbero darla loro a figli che non hanno potuto procreare? Pensate che attribuiranno il loro fallimento ai relitti che soggiornano nelle patrie galere o ai criminali in guanti bianchi che imperversano impunemente nel tessuto della nostra società al riparo di consorterie e procurano danni che si riversano su ciascuno di noi? I grand commis i quali si tramandano di padre in figlio incarichi che appartengono al circuito chiuso e impermeabile della burocrazia statale, i forzati dei consigli di amministrazione che si dividono equamente e secondo un criterio di appartenenza lobbistica comode e remunerate cadreghe in società del nostro patrimonio pubblico, politici in uscita dal parlamento che rientrano in gioco con incarichi istituzionali, non sottraggono forse opportunità a giovani probabilmente più meritevoli? Amministratori infedeli verso lo Stato e incuranti di una sana gestione delle aziende loro affidate ma fedelissimi ai propri interessi, finanzieri d’assalto, banchieri al riparo dello scudo della Banca d’Italia, manager incapaci quanto lautamente compensati, tutti impegnati in manovre dai nomi altisonanti, aggiotaggio, insider trading, intenti a rastrellare tangenti e balzelli milionari camuffati da consulenze, non impoveriscono forse tutti noi, condannandoci ad una emarginazione sociale ed economica che diventa sempre più intollerabile? Certo la loro capacità di procurare danni alla società è esercitata in maniera paludata e non colpisce l’immaginario collettivo con la stessa violenza della criminalità organizzata. Godono peraltro della assolutoria ammirazione di una opinione pubblica affetta da mancanza di senso civico e di etica che trova facile riversare il proprio livore sui più comodi criminali tradizionali. Questi con l’armamentario tradizionale di una violenza sanguinaria  producono i danni che sono sotto gli occhi di tutti, ma pagano il conto salato della loro stupidità figlia di una arroganza ostentata. Pagano il conto marcendo in condizioni invivibili e catalizzano il disgusto della gente distraendolo dai criminali in guanti bianchi che invece sanno mimetizzarsi e possono impunemente uccidere le nostre vite più di quanto non facciano la mafia, la drangheta, la camorra, quasi a costo zero.