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venerdì 25 ottobre 2013

L’Italia a pezzi


Quando si parla di mafia si è soliti fare riferimento esclusivamente alla tradizionale criminalità organizzata rozza e sanguinaria connotata da stereotipi abusati. Si stenta a percepire che esistono mafie meno sanguinarie ma non per questo meno spietate che si annidano dentro lo Stato, nelle sue propaggini e in santuari insospettabili, le ciniche e raffinate mafie delle camarille e dei grumi di interessi, dei poteri fuori controllo, palesi o occulti, che producono guasti più devastanti di quelli prodotti dalla mafia tradizionale.
E’ all’attività di queste mafie che si deve lo stato di salute dell’Italia che non è esagerato definire comatoso.
Il quadro è presto detto.
Siamo un Paese in cui l’economia è ridotta al lumicino, che non ha più industrie degne di questo nome o meglio che, dopo la falcidia dei marchi d’eccellenza dell’industria italiana ad opera di gruppi stranieri, può contare su pochi capitani coraggiosi rimasti a resistere in una condizione di precarietà che non lascia sperare nulla di buono.
Se i gruppi stranieri vengono a fare shopping in Italia ma si rifiutano di lasciare i loro investimenti nel nostro Paese, se gli ultimi epigoni dell’imprenditoria italiana sono tentati di non resistere più, ci sarà un motivo.
Il motivo è l’inadeguatezza strutturale che la nostra classe dirigente ha determinato per inettitudine o obbedienza a interessi consolidati e disponibilità a prestarsi ad appetiti lobbistici.
Chi volete che venga da fuori a investire in Italia e perché le imprese italiane non dovrebbero essere tentate di trasferirsi altrove, visto che:
-          procedure infinite non garantiscono tempi certi sugli esiti di una pratica o di un contenzioso, una selva burocratica nella quale è difficile districarsi, una pressione fiscale fra le più elevate al mondo, sindacati potenti e irragionevoli, costi di lavoro onerosi, penalizzano l’attività delle imprese;
-          infrastrutture insufficienti e inefficienti, autostrade, porti ( siamo costretti a smantellare la Concordia fuori dall’Italia ), aeroporti, ferrovie, non garantiscono adeguati collegamenti;
-          lo Stato non paga i suoi debiti alle imprese e le costringe a fallire;
-          una finanza allegra e assistita dallo Stato si dedica a speculazioni cervellotiche e taglieggia le aziende.
E dove è la giustizia sociale in un Paese prigioniero di consorterie dedite agli interessi di parte? Anche qui il quadro è fosco:
       -    la boscaglia di leggi è terreno di caccia di una oligarchia che incrosta l’apparato statale, che
            orienta la produzione legislativa ispirando leggi caso per caso e la gestisce a piacimento nel
            suo percorso di attuazione, che di fatto governa più della politica;
-          le imprese statali e parastatali, gli enti pubblici, le banche, sono i luoghi dove imperversano
      a vita, di generazione in generazione, i soliti noti tanto incapaci professionalmente e autori
      di  disastri sui quali costruiscono impunemente le loro carriere, quanto capaci di curare l’in=
      teresse personale in preda a una insaziabile fame di prebende. Non siamo più neanche capaci
      di indignarci di fronte a emolumenti e pensioni d’oro che si cumulano e che hanno si una
      legittimazione legale ma non morale. Come si è potuta legittimare una così smaccata offesa  
      al senso della misura e al buon senso tout court?
 -    la distanza tra i pochissimi che possono tutto e i moltissimi che non possono nulla e pagano
      il fio, si allarga sempre di più;   
 -    lividi burattinai razziano nell’ombra senza controlli e senza pagare pegno.
E dove è la giustizia più in generale in un Paese in cui:
       -    la lunghezza dei processi tiene in sospeso per decenni la vita dei cittadini e la sorte delle
            imprese;
-          strutture carcerarie sovraffollate sfidano le leggi della fisica in spazi dove i corpi umani sono retrocessi al rango di polli in una stia;
-     i suicidi in carcere sono ormai una realtà che si ripete quasi quotidianamente;
      -     il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio grazie all’istituto della carcerazione preventiva
che fa scontare alla metà di essi una detenzione che, grazie all’assoluzione, si rivelerà non
dovuta;
-          i dannati sottoposti ai regimi della carcerazione speciale patiscono delle autentiche forme di
tortura che violano la carta costituzionale oltre che i principi universali del diritto;     
-          uomini e donne che hanno sbagliato ma che potrebbero essere recuperati grazie ad un programma di rieducazione, sono lasciati alla mercé della scuola del malaffare quanto mai attiva in carcere e, quando tornano in libertà, non trovano opportunità di lavoro e tornano a delinquere;
-          la magistratura è ormai un corpo separato ( non nelle carriere ) che, grazie al libero convin=
      cimento quanto mai discrezionale, ubbidisce a logiche proprie e non alla legge ed è protetta,           
come ha scritto qualcuno, “da una invulnerabile e iniqua irresponsabilità”.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti:
-          giovani senza futuro;
-          la genialità dei nostri talenti regalata a Paesi stranieri;
-          pensionati senza serenità e costretti ad accollarsi il mantenimento dei figli senza lavoro;
-          i fieri campioni di una borghesia che fu, retrocessi nel girone dei nuovi poveri;
-          ectoplasmi senza identità e cultura che non sanno cosa significa leggere un libro e si aggirano inebetiti fra le icone di una nuova mitologia priva di contenuti;
-          il nostro patrimonio culturale che cade a pezzi. Musei, biblioteche, reperti archeologici che erano il nostro vanto e rappresentano la buona metà delle testimonianze artistiche del mondo intero, giacciono in preda all’incuria. Quello che era al vertice del turismo internazionale, è diventato un Paese che arranca nelle posizioni di rincalzo;
-          una natalità che si è arrestata e ci propone sempre di più un Paese di vecchi condannandoci al rischio di estinzione;
-          inedia e mancanza di spirito di iniziativa, incapacità di coltivare speranze in un panorama che non offre opportunità.
Siamo ormai un guscio vuoto in cui si mescolano inettitudine, cialtroneria e la presunzione di una elite di maitres à penser che non hanno nulla da insegnarci e parlano solo a sé stessi, ebbri del loro autocompiacimento, avulsi dalla realtà e legati a miti frusti e duri a morire. Siamo un popolo privo di identità che non ha l’orgoglio dell’appartenenza, che ha privato i propri membri della dignità di cittadini e li ha trasformati da sudditi della legge in sudditi dell’arbitrio, che si è piegato sotto il peso della rassegnazione, che non ha obiettivi, mete da raggiungere e miti ai quali rifarsi, non ha il coraggio di osare e vegeta in attesa di non si sa che. Siamo un Paese nel quale il giornalismo dei Terzani e dei Montanelli che azzannava alle caviglie i potenti, ha lasciato il posto ad un giornalismo accomodante che si accuccia prono ai piedi del potente di turno e invece di raccontare la verità la crea secondo convenienza. E’ciò che rimane dell’Italia di un tempo che fu e che i nostri figli non hanno fatto in tempo a conoscere, un Paese dove non abita più il nostro cuore, in cui il patto sociale è stato tradito dal Leviatano che ha rovesciato il tavolo e ha stabilito che l’unico interesse lecito è il suo, in cui una mafia scaltra, paludata, invasiva, subdola, sgusciante e impunita, si è macchiata di un crimine molto più grave di quelli commessi dalla sanguinolenta e stupida mafia tradizionalmente intesa, ha ucciso una nazione.

Qualcuno si chiederà dove è la politica che dovrebbe guidarci. La politica è un oggetto misterioso vuoto di idee e di contenuti, espressione di un popolo che non esiste più, prigioniero di un potere che risiede altrove, è una entità informe sulla quale non vale la pena di spendere una parola.

lunedì 21 ottobre 2013

I delinquenti da salvare

Grazie a Dio c’è ancora qualcuno che si ricorda che esistono diritti fondamentali sui quali non si può transigere e si batte affinché anche a quanti hanno commesso reati sia concessa, senza mettere in discussione la legittimità della carcerazione, la tutela della loro dignità e l’opportunità di redimersi. Lo so che è difficile condividere una simile battaglia perché i detenuti sono percepiti con un senso di diffidenza quasi che il loro errore li abbia resi degli appestati dai quali stare alla larga. A pochi passi da casa nostra si consumano realtà drammatiche che ignoriamo perché non le conosciamo, o perché, pur conoscendole, le viviamo con un senso di disagio e tendiamo a rimuoverle. E allora è opportuno proporre le testimonianze di personaggi che, data la loro statura, non autorizzano alcun retro pensiero.
Ecco alcuni stralci di una lettera inviata al Corriere della Sera dal professor Umberto Veronesi, oncologo di fama mondiale e alta coscienza morale:
“ Caro direttore, il messaggio del Presidente Napolitano sulla situazione umanamente inaccettabile delle nostre carceri e sull’opportunità di adottare provvedimenti di emergenza è in linea con l’evoluzione civile e il progresso culturale del nostro Paese. Il Movimento Scientifico for Peace – che riunisce intorno all’obiettivo di opposizione ad ogni forma di violenza sull’uomo molte donne e uomini di scienza, fra cui 21 Premi Nobel – appoggia la proposta del nostro Presidente, che va molto al di là di un gesto politico. In primo luogo è un atto di tutela della nostra Costituzione, che all’articolo 27 recita: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e all’articolo 13 ribadisce: “E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
Ma le nostre carceri traboccano di detenuti costretti a vivere in condizioni disumane e molti di loro sono in attesa di giudizio, quindi soltanto presunti colpevoli. ……..E’ legittimo togliere ad un uomo la libertà, non è legittimo togliergli la dignità……..Crediamo in una giustizia non vendicativa ma rieducativa……..La vendetta, che si accompagna al desiderio di violenza e di sopraffazione, appartiene alla legge del taglione……..Esiste per tutti gli esseri umani, in possesso di cellule staminali proprie, la possibilità di cambiare, di ravvedersi…..,  la persona che abbiamo messo un giorno in prigione potrebbe non essere più la stessa, cinque o dieci anni dopo, se la sua mente è stata educata. Ma come prendersi cura di una persona in una situazione di sovraffollamento e degrado?.........Il sistema scandinavo che considera il carcere una misura estrema, intesa, appunto, come scuola di recupero, che non ha nulla di punitivo e tantomeno vendicativo” adotta “per la maggior parte dei reati altre misure, arresti domiciliari,sanzioni, servizi sociali. Il risultato è un tasso di criminalità e soprattutto di recidiva molto basso”.
Mi pare che non ci sia molto da aggiungere se non che anche sul tema del sovraffollamento nelle carceri noi italiani non siamo capaci di porci con animo sereno e su di esso riversiamo una certa gaglioffaggine che ci fa essere crudeli persino nei confronti della sofferenza. Allenati a preoccuparci di ciò che conviene a noi, in nome dell’ interesse di parte e di una forma di crudeltà gratuita, abbiamo educato il nostro animo ad una intransigenza che strumentalizza tutto, anche il dolore.
Dopo il messaggio del Capo dello Stato, abbiamo assistito alla fiera dell’ovvio dei soliti politici attenti a cavalcare, per motivi di bottega, gli umori dell’opinione pubblica disorientata da un problema che non conosce veramente, piuttosto che a spiegare che cosa è giusto fare in nome della nostra civiltà giuridica e della nostra coscienza civile come ci ammonisce il Professor Veronesi.
Al signor Renzi che ha definito l’amnistia e l’indulto un autogol e a quanti sono insorti contro queste misure di clemenza, raccomando la lettura della lettera del professor Veronesi.

mercoledì 16 ottobre 2013

Addio alla pietà atto secondo

Torno a parlare di pietà dopo aver letto le proteste di quanti lamentano il dilagare della retorica dell’autoflagellazione nei commenti alla tragedia di Lampedusa. Poiché anche io mi sono autoflagellato, voglio chiarire che cosa intendo quando affermo di avvertire un senso di colpa. Mi sento colpevole non perché mi attribuisco responsabilità per le tragedie che si consumano quotidianamente nel canale di Sicilia, ho troppo il senso della misura per pretendere di aspirare a colpe di cui non sono all’altezza. So bene che le responsabilità sono altrove. Esse risiedono nella collusione con i mercanti di carne umana degli stati canaglia che aprono le maglie dei controlli e lasciano che dalle loro coste si riversino in mare disperati destinati, per la maggior parte, a morte certa, risiedono nella incapacità degli stati europei di trovare un terreno di intesa e opporsi coesi agli stati canaglia o scoraggiare le rotte degli scafisti con sbarramenti ai confini delle acque territoriali dei Paesi del nord Africa e soccorrere se necessario. Eppure, nonostante non abbia precise responsabilità, mi sento ugualmente colpevole. Mi sento colpevole perché sono cittadino di questa Europa senza anima, perché avverto il disagio della mia condizione di privilegiato, perché i miei neuroni specchio mi inducono alla solidarietà nei confronti di miei simili sfortunati e la mia inadeguatezza non riesce a tradurre in atti concreti la mia solidarietà, perché non sono accanto ai lampedusani a soccorrere i naufraghi. Vi assicuro che la mia non è una forma di buonismo peloso, è che mi sento veramente così e non ci posso fare niente. Mi sento persino colpevole perché percepisco che la mia pietà prima o poi si scolorirà nella lontananza dei ricordi.
E già la pietà, questo alibi con cui puliamo la nostra coscienza, finisce puntualmente per anestetizzarsi a contatto con le brutalità della vita e trasformarsi in indifferenza come ci ammoniscono gli esempi che ricorrono frequentemente nel cosiddetto consorzio civile.
Un grigio parlamentare pentastellato, miracolato dalla sorte e proiettato dall’anonimato alla sua alta funzione da quel demiurgo mediatico che è la rete, ha dimostrato tutto il suo valore dando addosso al Cavaliere ormai in ginocchio con un linguaggio spregevole in tono con il personaggio che è, un parvenu al quale non pare vero di potere infierire sul potente in disgrazia.
Per non parlare delle penne intinte nel curaro dei manettari di professione che hanno costruito per vent’anni le loro carriere sulle gesta del Cavaliere e non si rassegnano al suo declino e alla conseguente assenza di altre frecce al loro arco. Sono a corto di argomenti e, in preda al panico,  pestano forsennatamente nel mortaio quella poca acqua che è rimasta del mare magnum in cui hanno guazzato. Nessun rispetto, nessuna pietà.
Il signor Renzi è un altro esempio di pietà smarrita. In occasione della presentazione del suo programma politico ha esordito dicendosi contrario alla proposta contenuta nel messaggio alle Camere del Capo dello Stato di sfoltire l’affollamento nelle carcere licenziando provvedimenti di amnistia e indulto. Il nostro sostiene che questi provvedimenti sono un autogol, si dichiara solidale con i detenuti tanto è che si arrischia a viaggiare a bordo di una bicicletta costruita in carcere, ma lascia intendere che un conto è concedere l’onore delle proprie terga ad una bicicletta costruita dai detenuti, un altro conto è concedere loro condizioni di vita umane con provvedimenti di clemenza. Il coraggio va bene ma fino a un certo punto. Ora dovrebbe essere chiaro al signor Renzi che l’amnistia e l’indulto non sono un regalo ai detenuti, sono semmai la testimonianza del fallimento della nostra classe dirigente che ha confezionato condizioni di vita inumane in carcere e non è in grado di offrire a uomini che hanno sbagliato ma che ancora hanno la dignità di cittadini, altre soluzioni che non siano l’amnistia e l’indulto ad un problema così grave. 
L’ amnistia e l’indulto non risolvono definitivamente il problema ma le condizioni dei nostri detenuti non ci consentono, specie in seguito alle procedure di infrazione inflitteci dall’Europa, di essere troppo schizzinosi. Lo scalpitante enfant prodige del PD che ha parlato di provvedimenti diseducativi, dovrebbe spiegarci perché è difficile “far capire ai ragazzi il valore della legalità se ogni sette anni facciamo uscire la gente dal carcere” ed è invece facile lasciare marcire la gente in carcere in condizioni inumane senza porsi il problema della legalità. Forse che la certezza della pena deve essere intesa come inflizione di torture? Dovremmo essere più cauti con le professioni di intransigenza quando non ce le possiamo permettere.

E’ una questione di onestà intellettuale oltre che di pietà.  

venerdì 4 ottobre 2013

Una nuova speranza

Devo riconoscere di avere preso un abbaglio. In passato non sono stato tenero nei confronti di Angelino Alfano ma oggi debbo ricredermi. Naturalmente non cambia il mio giudizio negativo sul suo giustizialismo ma cambia la mia prospettiva sulla sua statura di uomo politico: bisogna dirlo, ha saputo prendere la decisione giusta al momento giusto smarcandosi dalla miopia di Berlusconi.
Preso dal panico per la sua sorte personale, Berlusconi non ha avuto la lucidità per giocarsi la partita avendo come bussola una visione alta del suo ruolo, non ha saputo uscire di scena a testa alta. Doveva capire che giocare allo sfascio non giovava alla sua vicenda personale e all’interesse comune e che anzi era un modo per danneggiare irreparabilmente il suo partito oltre che la sua già compromessa immagine.
Quando, a proposito di Alfano, si parla di parricidio, si ignora che è stato invece Berlusconi, come Crono, a mangiare i suoi figli. Alfano ha avuto il merito di capire l’irrazionalità della decisione di Berlusconi e di essersi saputo opporre ad essa. Ma c’è di più, ha condotto la sua battaglia con fermezza ma anche con sobrietà,  senza cadere nella tentazione dell’acrimonia nei confronti dei suoi avversari dentro il partito, senza mordere la mano di chi in passato lo ha sdoganato dal suo destino di peone anonimo e lo ha proiettato verso un ruolo così ambito anche se lo ha definito privo del necessario “quid”, senza toni trionfalistici anche quando appariva chiaro che aveva trionfato, vivendo la contrapposizione con Berlusconi con l’aria dolente di chi stava soffrendo per una contesa che riteneva necessaria ma che lo lacerava. Ha accettato la vittoria quasi con riluttanza e ha fatto capire che, pur tenendo distinti l’ambito politico dall’ambito personale, sarà a fianco di Berlusconi nella sua battaglia personale. Un esempio di stile e di eleganza che gli fa onore.
Inoltre si sta muovendo con avvedutezza dimostrando di sapere gestire la vittoria dopo averla conseguita, non prendendo decisioni affrettate ed evitando spaccature definitive e insanabili. Insomma si sta muovendo con il piglio di un autentico leader. C’è da scommettere che riuscirà a ricomporre la frattura fra le due anime del PDL, tenendo a bada innanzitutto gli estremismi dei suoi seguaci, e che riuscirà a prendere in mano l’intero partito, auspice Berlusconi nella veste di padre nobile che mostrerà la sua generosità concedendo il viatico al suo delfino pur sempre partorito dal suo intuito. L’uomo è capace di questi colpi di scena.

Nel campo avverso del PD appare chiaro che l’ennesima capriola di Berlusconi non è stata gradita. Anche lì ci sono anime diverse e contrapposte. C’è chi ha accolto la decisione di Berlusconi di concedere la fiducia all’esecutivo con la stizza di chi teme di non essersi sbarazzato del tutto di Berlusconi. Con questi bisognerà fare i conti quando vorranno appendere il nemico a testa in giù, ma c’è anche chi ha saputo leggere nel modo giusto la mossa di Berlusconi prendendo le distanze dalle sirene del suo voto di fiducia e parlando di maggioranza politica piuttosto che numerica ma mettendo in chiaro che non promuoverà né leggi ad personam né leggi contra personam. Sulla ragionevolezza di quest’anima del PD si potrà contare per evitare rese dei conti che non hanno ragione d’essere, per concedere l’onore delle armi ad un avversario sconfitto e magnanimità ad un uomo che sta vivendo un dramma personale, per non ostacolare la bella novità di un politico, Alfano, che si sta adoperando per la creazione di una nuova destra e per far nascere una democrazia normale in cui ci si confronta civilmente nell’interesse del Paese.
Addio alla pietà

Stamattina trecento esseri umani hanno bussato alla mia coscienza di europeo cristiano ed erede dei lumi e mi hanno chiesto notizie a proposito dei diritti umani. Ho avvertito la sgradevole sensazione di avere coltivato un mito senza misericordia e di essere retrocesso nel limbo degli impotenti costretti a prendere atto della propria inadeguatezza.
Trecento morti alle porte di casa nostra sono una sconfitta per ciascuno di noi ma sono soprattutto una sconfitta per la civilissima Europa orgogliosa delle sue conquiste nelle dorate contrade della sua opulenza, chiusa nei recinti del suo egoismo, che bacchetta con farisaica prosopopea l’Italia per le sue infrazioni ai canoni del bon ton europeo, ma lascia questa stessa Italia sola alle prese con l’orda di infelici che assediano i confini a sud della Sicilia dimenticando che sono confini europei.
Non salgo sul pulpito starnazzando con aria scandalizzata, perché sono il primo a chiedermi che cosa ho fatto per questi miei simili più sfortunati e a riconoscere la mia incapacità. L’unica capacità che ho è quella di percepire un senso di colpa e di chiedere conto a chi ha il dovere e gli strumenti per prevenire una simile tragedia, del perché  non lo ha fatto. Centinaia di disperati alla mercé di pochi scafisti incompetenti e senza scrupoli sono una realtà ricorrente e nota a tutti, come è possibile che nessuno abbia in qualche modo posto rimedio a questa insensatezza ed evitato tragedie annunciate?

So che i migranti che riescono ad approdare sulle nostre coste, finiscono per confluire e fermarsi per la maggior parte nei Paesi del nord Europa dove trovano una sistemazione più dignitosa rispetto a quella offerta dall’Italia, ma questo riguarda l’eccellenza organizzativa e il welfare di quei Paesi, non il loro cuore che con pilatesca indifferenza resta sordo alle tragedie che si consumano alla periferia d’Europa. Con queste tragedie si misura la sensibilità e la generosità della nostra gente che incrocia il proprio destino con quello di sconosciuti e conosce una sofferenza che non gli appartiene ma che fa sua, impegnandosi a fianco di uomini e donne sventurati nella battaglia per contendere la vita alla morte e piangendo calde lacrime quando deve arrendersi alla morte. 

martedì 1 ottobre 2013

La casta

Partecipano agli stessi rituali e si muovono nei loro recinti dorati. E’ la casta dei noti e meno noti che si aggirano con passi felpati nelle ovattate stanze del potere e guardano al resto dell’umanità con compatimento. Occupano le cadreghe che contano e se le scambiano a turno in attesa di cederle agli eredi, parcheggiano le loro natiche nei circoli esclusivi, organizzano convegni in cui l’unico pass è il quarto di nobiltà piuttosto che la competenza e cinguettano con la erre blesa simbolo di una sciccheria cui li obbliga il rango. Hanno sostituito Marx con Keynes e, all’insegna del loro nuovo mito, hanno pompato la spesa pubblica con l’alibi della redistribuzione e ne hanno fatto la greppia con cui hanno soddisfatto i loro appetiti e scardinato il sistema.
Mentre continua ad aumentare il numero dei nuovi poveri che rovistano nei contenitori dell’immondizia, mentre i pensionati non arrivano più neanche alla terza settimana del mese e i “giovani” attempati bivaccano in casa dei genitori meditando sulla precarietà del loro futuro, mentre le aziende falliscono a causa del mancato incasso dei crediti vantati nei confronti dello Stato reso insolvente dall’allegro saccheggio del denaro pubblico, i nostri veleggiano in mari tranquilli a bordo di barche lussuose, fottendosi della moralità ma in compenso ostentando moralismo. Con la stessa improntitudine con cui mescolano la supponenza culturale dei pochi con la tendenza modaiola dei molti cortigiani incolti, con cui vestono casacche dimesse giocando a fare i progressisti al riparo del loro mondo dorato e pretendono di far calare dall’alto quel che hanno stabilito essere utile all’interesse del popolo bue, i sacerdoti dell’ortodossia politica e sociale vivono una concretissima vita di privilegi, esibiscono con nonchalance i feticci effimeri dell’apparire, spendono  per l’acquisto del ninnolo di tendenza la somma che serve a un cassintegrato per vivere un mese, sacrificano sull’altare della loro presunzione il destino di tutti con decisioni che si traducono puntualmente in disastri.
Le cerimonie con cui  i boiardi del sistema istituzionale e intellettuale lucidano il pedigree dei nocchieri che hanno mandato la nave a incagliarsi, sono altrettante manifestazioni di una sfrontatezza esibita senza alcun pudore.  
In questo clima si sta consumando il dramma/farsa di una crisi istituzionale che appare senza ritorno, con al centro un velleitario e sprovveduto Berlusconi che si è chiamato fuori dalla casta pretendendo di sostituirsi ad essa e di combatterne i poteri e che ha finito per cacciarsi in un cul de sac.  In preda ad un evidente stato confusionale è transitato dalla tagliola della casta a quella dei cattivi consiglieri ed è riuscito nell’impresa di fornire un assist provvidenziale a quanti, in concorso con lui, hanno sfasciato l’Italia ma, grazie al suo passo falso, possono assumere l’aria innocente di chi è capitato nei paraggi per caso proponendosi nelle vesti dei soli che hanno a cuore il bene del Paese e si stanno adoperando per porre rimedio ai guasti fatti da Berlusconi.

Un bel capolavoro, non c’è che dire!