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sabato 29 dicembre 2012


 Commistioni

Quale è la differenza fra la commistione della mafia e quella dell’antimafia con la politica? Nessuna, dico io. Entrambe infatti condizionano impropriamente la politica. Mi si può obiettare che i valori di riferimento sono diversi, ed è vero, ma è pure vero che i magistrati che si candidano negli stessi collegi in cui hanno condotto indagini giudiziarie, non possono sottrarsi al sospetto che abbiano, in  omaggio alle convinzioni che nutrivano già allora, favorito quelli che sarebbero diventati loro alleati di partito e danneggiato quelli che sarebbero diventati loro avversari politici. Al posto dell’on. Dell’Utri mi farei qualche pensiero leggendo e ascoltando le dichiarazioni di disprezzo profferite dal dr. Ingroia nei confronti di Berlusconi e del PDL, che non sono certamente frutto di improvvisa folgorazione e che la dicono tutta sullo stato d’animo del magistrato sul conto del politico all’epoca delle indagini. Il dr. Grasso, ancora oggi Procuratore nazionale antimafia e già in predicato di candidarsi nel listino di Bersani per una comoda elezione in Parlamento, come può scacciare il sospetto che la sua delicata funzione, in un contesto in cui la politica è stata spesso al centro di indagini, non sia stata condizionata dalle sue convinzioni politiche che, sia chiaro, anche un magistrato ha il diritto di coltivare ma non fino al punto da farne oggetto di passione partitica che lo sottrae alla condizione di imparzialità? Per non parlare poi della fastidiosa sensazione di essere raggirati che il cittadino prova allorché un magistrato che gode di giuste prerogative che difendano la sua indipendenza ma è al contempo obbligato ad un comportamento sacerdotale, d’improvviso, come se nulla fosse, ribalta le regole del gioco e utilizza il patrimonio di prestigio accumulato grazie alle prerogative concessigli e alla notorietà conquistata con le inchieste, trasferendolo su un partito e investendolo in una carriera politica alla quale non era stato delegato e che altri hanno dovuto sudarsi con percorsi molto più accidentati. Diciamolo, è scorretto e ingiusto!
Quando si parla di politicizzazione della magistratura e di via giudiziaria della democrazia in cui le categorie prese in considerazione non sono di natura politica ma moraleggiante e il gioco è condotto con strumenti ad altri preclusi, non ci si può inalberare affermando che c’è il tentativo di delegittimare chi, scendendo o, se si preferisce, salendo in politica, ha dismesso i panni del magistrato, né si può contestare il sacrosanto diritto di critica di chi teme una deriva giacobina. Il pericolo semmai è altrove. Se infatti esaminiamo l’elenco dei magistrati che si sono o si stanno convertendo alla politica, constatiamo che la maggior parte di essi milita a sinistra. La purezza degli ideali probabilmente alberga più a sinistra che a destra ma serpeggia ugualmente il dubbio che da qualche parte la bilancia sia tenuta da Torquemada piuttosto che da Temi e che il futuro dell’Italia non prometta di essere fra i più rassicuranti.

domenica 23 dicembre 2012

Buon Natale


Augurare Buon Natale in questo scorcio di un anno terribile come il 2012, può apparire provocatorio e irridente nei confronti degli italiani che, per la maggior parte, non hanno motivi per vivere un buon Natale. Cosa c’è infatti di buono in un Natale che nega la possibilità di dar fondo all’animo caritatevole che per l’occasione si accende persino nel più duro degli uomini? L’occasione purtroppo manca perché mancano le risorse che diano le ali ai nostri buoni propositi.
Quando, uscendo dai confini del quartiere in cui vivo in un contesto sobrio per tutto l’anno e ancor più parco in questo periodo, mi sono concesso una puntata nel centro storico per respirare, come un sub in debito d’ossigeno, l’atmosfera baluginante di luci e di colori del cuore festante della città, mi sono imbattuto in un clima opaco e in un panorama di negozi vuoti, di saracinesche abbassate, di piazze e vie deserte, di buio pesto per le strade e sui volti dei rari passanti. Un paesaggio lunare dal quale mi sono sentito tradito.  
L’aspetto lunare del paesaggio tuttavia non è paragonabile al deserto della nostra anima impotente a dare risposte alle nostre domande.
A chi per esempio dovremmo chiedere conto di ciò che proviamo allorché vogliamo regalare il nostro cuore ai nostri cari e non possiamo perché il cuore è sprovvisto di doni come gli scaffali di un negozio in liquidazione?
A chi dovremmo chiedere conto di ciò che proviamo quando sui marciapiedi e agli ingressi dei supermercati schiviamo con senso di colpa le richieste d’aiuto per i più poveri avanzate con dolce garbo dagli angeli del volontariato, quando osserviamo la rabbia quasi ferina e violenta con cui i passanti assillati da richieste di elemosine si rivoltano contro i postulanti, a chi del senso di frustrazione dei nonni privati della gioia di stupire gli occhi carichi di attesa dei nipoti e dei genitori costretti a misurarsi con le rimanenti risorse dell’ultima settimana del mese che, maledizione, coincide con il Natale?
A chi dovremmo chiedere conto della pena inflitta ai nostri cuori dallo spettacolo dei fagotti umani sparsi per i marciapiedi delle nostre città sotto il cielo livido di un inverno insolitamente più severo del solito, dalla dignitosa indigenza dei nuovi poveri che si affacciano sempre più numerosi alle mense della Caritas, dallo sguardo smarrito e carico di rimprovero dei nostri figli che si aggirano fra le pareti domestiche covando vergogna e rancore per essere stati scippati del loro futuro da una generazione di padri scellerati?
A chi, in questo Natale privo di pietà, dobbiamo chiedere conto della nostra incapacità di commuoverci alla vista di Pannella ischeletrito, di provare rimorso per la sorte di nostri simili condannati alla sofferenza in carceri-lager a due passi da casa nostra, della rabbia e del vuoto che avvertiamo? 
Forse a noi stessi artefici della nostra perduta umanità, a noi spensierati complici dei nostri carnefici ai quali per anni abbiamo dato licenza di ucciderci e  che continuiamo a tollerare mentre tornano a proporsi volteggiando con imperterrita sfrontatezza sui nostri capi. 
E allora se Buon Natale deve essere, Buon Natale sia per loro, per gli assassini delle nostre speranze che ci hanno regalato la strenna avvelenata di una festa senza gioia i quali, essi si, hanno motivo per festeggiare.

lunedì 17 dicembre 2012

Pannella


Marco Pannella è in sciopero della fame e della sete da sette giorni e rischia di morire. E’ l’ennesimo sciopero che a qualcuno può apparire stucchevole e che invece per l’ennesima volta non corre il rischio dell’ovvietà. Anzi stavolta più che mai, come in una piece guidata da una regia magistrale, appassiona e coinvolge con una carica di suspense e di drammaticità che colpisce non solo per il contesto in cui si svolge ma per i contenuti sacrosanti e nobili per i quali si spende. Semmai, più che infastidire, ci fa sentire colpevoli e inadeguati ad una battaglia che tutti dovremmo sentire nostra perché affronta temi che riguardano i nostri diritti fondamentali. Diciamola tutta senza concessioni a comode autoassoluzioni, siamo dei nani al cospetto di un gigante che si mette in gioco a rischio della propria vita, dei pavidi che tentennano impauriti evitando di misurarsi con mondi che non conoscono e che si rifiutano di conoscere, degli insensibili alla sofferenza altrui che nutrono diffidenza nei confronti di una umanità che ha sbagliato e con la quale non si vogliono mischiare. Ricordo un mio compagno di detenzione il quale, quando gli parlavo, per averla sperimentata personalmente, dell’attività di associazioni di volontariato che si impegnano sul fronte dell’assistenza ai bisognosi e in particolare dei familiari dei detenuti, sorrideva scettico invitandomi a non lasciarmi andare a facili enfatizzazioni. Santino, così si chiamava il mio compagno, non era tipo da abbandonarsi a illusioni, forte di esperienze che lo avevano messo a contatto con gli aspetti peggiori della vita e di una natura ferina che gli faceva guardare con sospetto a manifestazioni di altruismo. Per lui la natura selvaggia di Hobbes ha la prevalenza sulla predisposizione alla bontà teorizzata da Rousseau e sulla voglia di solidarietà raccontataci dalle moderne conquiste della neuroscienza. L’uomo, per Santino, non è capace di nutrire buoni sentimenti e per lui la diffidenza è la sola bussola che ci deve guidare nei rapporti con i nostri simili. Ricordo questo episodio assistendo alla fiera d’indifferenza e di sospetto con cui l’iniziativa di Pannella è accolta non solo dalla gente comune, dalla stampa che non ha dato il dovuto risalto alla notizia, ma soprattutto dai personaggi della nomenklatura intellettuale che più degli altri dovrebbero avvertire il senso della battaglia condotta da Pannella e raccogliere il suo messaggio e che invece brillano per la loro latitanza probabilmente infastiditi dai suoi metodi. I metodi di Pannella possono anche infastidire ma gli spiriti nobili ce ne propongono forse altri?
Per quello che può valere e con l’esperienza che mi deriva dall’avere vissuto la condizione di detenuto, dico che la battaglia di Pannella è giusta perché affronta il tema di una carcerazione in condizioni che confliggono sia con il diritto naturale che con quello positivo, ed è cristiana perché caritatevole nei confronti di nostri simili che hanno sbagliato ( non tutti in verità ) ma che stanno pagando con la pena più innaturale che possa colpire un uomo, la impossibilità di disporre della propria vita a piacimento nel rispetto dei diritti altrui, di amare se ne hanno voglia, di passeggiare in riva al mare, di percorrere le strade col naso all’insù senza una meta precisa, di dormire o vegliare, di uscire o starsene tappati in casa, di relazionarsi o preferire la solitudine, di essere liberi delle loro azioni se non della loro volontà. Uomini costretti a rinunciare a tutto questo non meritano vendette da parte dello Stato e tanto meno il sopracciglio inarcato degli studiosi dei massimi sistemi che guardano con distacco alle miserie che scorrono sotto di loro, hanno bisogno che l’empireo scenda sulla terra e si faccia umanità equanime e pietosa. Sull’esempio di Gesù o, fatti i debiti distinguo, sull’esempio di Pannella.

mercoledì 12 dicembre 2012

La bella Italia


Ma in che razza di Paese viviamo?
E’ un Paese normale quello in cui un Procuratore della Repubblica incappa in una intercettazione predisposta dallo stesso ufficio che egli coordina mentre sta parlando con un indagato al quale si sospetta stia dando notizie sull’indagine che lo riguarda?
E’ un Paese normale quello in cui un magistrato definisce sentenza politica una sentenza della Consulta che, a suo parere, risponde alle esigenze di una parte, sia pure autorevole quale quella del Capo dello Stato, piuttosto che a esigenze di verità? Ma non ci è stato sempre detto che le sentenze vanno accettate ? E invece proprio un magistrato contesta la sentenza della Consulta con queste parole:”Le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto. La sentenza della Corte costituzionale rappresenta un brusco arretramento rispetto al principio di uguaglianza e all’equilibrio fra i poteri dello Stato”. E’ un chiaro attacco alla capacità di indipendenza e all’autorevolezza del massimo organo di garanzia, che getta un’ombra sulla imparzialità di una istituzione fondamentale dello Stato. Ma allora, se un magistrato tanto autorevole ci dice che dobbiamo diffidare persino della Corte costituzionale, a quale Stato ci siamo consegnati? Ed è un Paese normale quello in cui sempre il nostro infaticabile magistrato, sebbene in piena attività di servizio, non esita a schierarsi marcatamente a favore di una parte politica nello stesso tempo in cui in tribunale sostiene l’accusa contro un esponente di primo piano dello schieramento politico che egli avversa e, scendendo sul terreno di una contesa in una arena turbolenta quale è quella di un  seguitissimo talk show, espone se stesso e le istituzioni che rappresenta all’epiteto di mascalzone?
E’ un Paese normale quello in cui un ex Presidente del Consiglio che ha fatto il suo tempo, che ha dato al suo Paese un contributo, gli storici diranno se positivo o negativo, ma che adesso non ha nient’altro da dire se non a favore di un dialogo costruttivo e privo di veleni, che dovrebbe aver maturato la consapevolezza dei propri limiti, dovrebbe avvertire la sobrietà di un Cincinnato e vivere un bucolico dignitoso crepuscolo invitando i seguaci ad un percorso di ragionevolezza che non ripeta gli errori e gli eccessi del passato e guardi all’interesse della Patria nel momento del suo maggior pericolo, è normale che un simile uomo scompagini equilibri faticosamente raggiunti e getti sulla bilancia la sua spada come un Brenno qualsiasi?
E’ normale un Paese in cui un popolo ridotto allo stremo trovi  la risposta alla propria disperazione in un comico che, beninteso, non ha il suo limite nella comicità che anzi, quando non era stata ancora sostituita dalla politica, ci ha regalato momenti di genialità, bensì nella ovvietà e impraticabilità del suo populismo, mentre uomini che hanno fatto dell’attività politica il loro mestiere e sono pagati per trovare soluzioni ai problemi della gente, si sono dati alla latitanza e hanno abbandonato il campo quando la situazione stava precipitando passando la mano ai cosiddetti tecnici, salvo, come dei bambini capricciosi smaniosi di tornare in possesso del giocattolo, dar loro il benservito dopo che questi hanno cavato le castagne dal fuoco in loro vece salvando l’Italia dal fallimento e dandole credibilità ?
E’ normale un Paese che sta smottando sempre più verso la povertà e allarga sempre più la forbice tra ricchi e poveri svolgendo una funzione che non ha il diritto di esercitare, appaltandosi impropriamente il diritto di pilotare l’economia e riuscendo nell’impresa di tutelare i più abbienti a scapito dei meno abbienti?
E’ questo un Paese normale? 

venerdì 7 dicembre 2012

La morte in diretta


Ki-Sunck Han, il coreano aggrappato al marciapiedi della stazione nella metropolitana di New York in attesa di essere travolto e ucciso dal treno in arrivo sotto lo sguardo di un fotoreporter intento a riprendere la scena, evoca lo scatto di Kevin Carter che fissa l’immagine di una donna sudanese allo stremo delle forze e sul punto di morire di fame e di stenti, osservata a distanza da un avvoltoio.
L’orrore consiste non tanto o non solamente nella scena della morte in diretta, quanto nella indifferenza della folla che assiste passiva senza intervenire e si assiepa a tragedia avvenuta attorno al corpo martoriato con morbosa curiosità riprendendo la scena con i telefonini, e nel cinismo del reporter che, tra scegliere di impiegare il tempo disponibile per tentare di salvare un suo simile o impiegarlo per scattare 59 fotogrammi che gli avrebbero consegnato un macabro scoop, non ha avuto esitazioni, ha privilegiato lo scoop. E’ l’orrore di una umanità perduta che respinge gli impulsi dei neuroni specchio e abdica alla propria natura barattandola con le oscene esigenze di un mercato privo di scrupoli e di ancoraggi morali.
Bene ha fotografato questa nuova frontiera disumana David Carr sul New York Times parlando di “eunuchi morali che non intervengono quando il pericolo o il male si materializzano davanti a loro e segretamente tifano perché il peggio accada”. La cronaca quotidiana purtroppo dissemina il proprio cammino di episodi di cannibalismo che pur non producendo gli effetti sconvolgenti di una morte in diretta, tuttavia falcidiano ugualmente vite umane in nome di malintesi miti da celebrare. Avviene con il diritto di cronaca che sacrifica ab origine l’onorabilità degli indagati facendo della macelleria mediatica senza preoccuparsi più di tanto della obbiettività della informazione se in ballo c’è l’occasione di cavalcare il giacobinismo della gente e lucrare su notizie commercialmente redditizie.
Meno spietati del reporter del New York Post ma altrettanto efficaci nel causare vittime, i talebani dell’informazione, poietici reificanti di verità contraffatte, proliferano lasciando ogni giorno sul terreno vite irrimediabilmente segnate e reputazioni sfregiate.