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giovedì 21 giugno 2018

Salvini


Viene voglia di tifare per Salvini, e infatti buona parte degli italiani lo fa mentre le solite prefiche, in preda ai consueti isterismi, non sanno fare di meglio che gridare al lupo tacciando il nostro ministro dell’Interno di fascismo per i suoi atteggiamenti muscolari e i suoi scivoloni lessicali che sono un insulto all’intelligenza e sintomo di incultura ma che tutto sommato attentano solo al buon gusto, sempre che alle parole non seguano i fatti. Nessuno di loro che si interroghi sul perché, nonostante tutto, tanta gente abbia decretato il successo del capo leghista. Egli ha i toni del bullo di periferia, frequentazioni internazionali poco raccomandabili, alleanze contraddittorie con gente ( Orbàn ) che ha a cuore interessi contrari ai nostri, ha detto peste e corna dei meridionali salvo scendere successivamente in mezzo a loro agitando la bandiera delle loro rivendicazioni con una disinvoltura da funambolo della coerenza, millanta progetti che sa di non potere realizzare, ha un eloquio poco istituzionale ( è finita la pacchia ), azzarda sfide che ci fanno rischiare l’emarginazione, eppure imperversa col vento in poppa e con  la prospettiva di fare il pieno al prossimo turno elettorale. Se invece di ricorrere a facili demonizzazioni  facessimo un’analisi onesta, capiremmo che Salvini è il frutto di  errori che sono stati fatti e continuano ad essere fatti da tutti e ai quali bisogna sforzarsi di porre rimedio. Una delle ragioni che spiegano il suo successo è il pugno duro contro l’approdo nelle nostre coste dei migranti, e certo non ha aiutato a ridimensionare la sua intransigenza  ( anzi, il contrario ) l’uscita infelice dei francesi che con una faccia tosta degna di miglior causa pretendono di dare lezioni di umanità sul fronte dell’accoglienza a noi italiani che siamo tra i primi al mondo nell’universo del volontariato e della solidarietà, e al contempo chiudono le porte di casa loro respingendo i migranti a Ventimiglia e blindando i loro porti. Ahinoi, la Francia non perde il vizio di salire in cattedra e impartire lezioni con la solita prosopopea e il solito complesso di superiorità inconcludente e velleitario. La miopia e l’inadeguatezza dell’Europa hanno fatto il resto e Salvini  ha avuto  buon gioco a farsi passare per paladino del suo popolo con la narrazione dell’attacco portato ai nostri interessi dalle élites europee e del peggioramento delle già precarie condizioni dei nostri concittadini più poveri a causa della concorrenza dei disperati d’Africa, contro cui può impunemente impugnare la bandiera dell’euroscetticismo e della xenofobia. Si può dire senza tema di  smentita che il progenitore di Salvini è l’Europa. Se alla Francia  è stata data la possibilità di fare sfracelli in Libia con il conseguente verminaio della guerra di tutti contro tutti che ha fatto saltare il tappo all’ondata migratoria incontrollata (in nome di una crociata umanitaria che nascondeva la solita smania di grandeur), se alla Germania e ai Paesi del Nord Europa è stato consentito di praticare una cieca politica di rigore che ha avuto come primo obiettivo il consolidamento delle loro economie forti senza alcuna considerazione per il welfare dei Pesi più poveri, se è stato consentito loro di gestire la crisi finanziaria greca con una intransigenza pelosa che ha salvato alcune banche tedesche buone a lucrare grossi guadagni sulla pelle della Grecia in tempi di vacche grasse ma non a pagare le conseguenze del rischio assunto allorché i loro investimenti sono diventati carta straccia, e di fare invece la faccia feroce contro lo Stato italiano quando questo è corso in aiuto delle nostre banche in crisi, se al contrario l’Italia, con la zavorra del suo debito pubblico e con la sua insipienza, si è autorelegata al ruolo di comparsa senza alcun peso nelle decisioni che contano ed è costretta a presentarsi col cappello in mano tutte le volte che chiede un minimo di flessibilità, mentre invece altri Paesi ne hanno abusato senza che ciò abbia destato scandalo, se ai Paesi dell’est europeo è stato consentito di attingere a piene mani dalle risorse europee ma non è stato imposto di  rispettare gli obblighi ai quali sono vincolati, se l’Italia e la Grecia sono state abbandonate al loro destino di Paesi da ultima spiaggia dove navi battenti bandiere di altri Paesi, sulla autentica vocazione solidale di alcune delle quali è lecito nutrire dubbi, riversano il loro carico di umanità anziché  fare rotta verso i Paesi di appartenenza e invece ai Paesi del  resto d’ Europa è stato consentito di chiudere i loro porti  e di gridare, con una logica che lascia di stucco, alla irresponsabilità e al cinismo quando a chiudere i porti sono stati gli italiani, se la Germania ha ottenuto che venisse elargita alla Turchia una regalia di 3 miliardi di euro l’anno, attinti dalle casse dell’Europa, in cambio del blocco della rotta balcanica e il conseguente maggior flusso migratorio sulla rotta del Mediterraneo, se non si riesce a modificare il trattato di Dublino che impone di tenere i migranti nel Paese in cui arrivano e in più si profila all’orizzonte  la minaccia del signor Seehofer, ministro dell’Interno tedesco, di rinviare i migranti accolti in Germania ma privi dei requisiti necessari, verso i Paesi dove sono stati registrati (vedi Italia e Grecia), se insomma in Europa allignano furbizie, egoismi e ipocrisie, vige il tornaconto dei Paesi  più forti che riescono a fare sistema, se lo sguardo non va oltre la siepe degli interessi particolari e ignora le rivendicazioni e le giuste ragioni dei Paesi meno forti, non ci si può scandalizzare se a tutto ciò si oppone la rodomontesca aggressività di Salvini. L’Europa nasce come patria di tutti con un progetto solidale e una carica ideale che poggia su valori comuni e  ha forgiato lungo gli anni identità che si sono sempre più integrate creando le fondamenta di quella che può diventare una unica futura nazione. Una nazione si assume il carico del buono e del meno buono che trova sulla sua strada. Se la Germania occidentale avesse fatto solo calcoli di convenienza economica avrebbe dovuto rinunciare all’unificazione. Se l’Europa ha come obiettivo solo l’etica del rigore e non la solidarietà, se non sa volare alto ispirandosi agli ideali superiori che l’hanno fatta nascere, se non sa condurre la battaglia in difesa dei più deboli (senza sconti, sia chiaro, sul rispetto delle regole di cui anche i deboli si debbono far carico e sullo sforzo che essi devono produrre in direzione di una più virtuosa gestione della propria economia) facendone la battaglia di tutti perché comune è il destino di essa e le criticità rischiano di trasformarsi in un boomerang per l’intero sistema, se non sa dotarsi di una politica estera unisona che non obbedisca a interessi particolari e ci faccia combattere a ranghi serrati le sfide globali che ci attendono, tra cui l’emergenza emigranti da affrontare con un approccio coeso, corresponsabile e intelligente, nella consapevolezza che essa è l’avvisaglia di un esodo epocale e inarrestabile, essa ha fallito e il futuro è dei Salvini e delle piccole patrie destinate ad essere fagocitate dai molossi universali.


lunedì 4 giugno 2018

I dioscuri


Con l’irruzione sulla scena di  Di Maio e Salvini i giacobini italiani possono contare su due alfieri irriducibili  delle loro frustrazioni e delle loro fobie.
Col suo portamento da abatino, con la sua grisaglia d’ordinanza, con il suo pedigree incolore, con il suo lessico infarcito di strafalcioni, lo scugnizzo di Pomigliano li rappresenta a pieno titolo e li guida all’assalto del potere a dispetto dei saperi e delle competenze. Teorico della democrazia diretta di rousseauiana memoria (ma ha letto Rousseau?), affida agli algoritmi della Casaleggio Associati il compito di reclutare in rete i disinvolti sostenitori delle più strampalate semplificazioni, una minoranza che rappresenta solo se stessa, di assecondarne le pulsioni velleitarie e, spacciandoli per espressione della volontà popolare, proiettarli ai vertici delle istituzioni. Sostituisce, senza avvertire il senso del ridicolo, Tocqueville con Grillo e pretende di mandare in soffitta le regole della vita democratica, teorizzando una dittatura della maggioranza autoreferenziale che non risponde ai vincoli previsti dalla Costituzione. Bipolare e corrivo, transita da un opposto all’altro prestando orecchio agli altalenanti umori della piazza e cambiando parere a seconda delle convenienze. Il suo capolavoro è stato la contradanza degli atteggiamenti contraddittori nei confronti del Capo dello Stato. E’ passato dalle lodi più sperticate(“ Piena fiducia in un grande uomo come Mattarella su qualsiasi decisione”, “Nessuna pressione su Mattarella”, Mattarella pienamente rispettoso della Costituzione”) quando ancora questi non aveva bocciato il nome di Savona, alle accuse più infamanti ( “Complice dell’establishment”, “Traditore della Costituzione da mettere in stato d’accusa” ) e addirittura alla richiesta  di impeachment, per servirci alla fine l’ennesima capriola, la versione dell’agnellino pronto a collaborare. Con la Lega non è stato da meno passando dalla demonizzazione all’alleanza con essa.
Salvini dal canto suo non ha niente della sprovvedutezza del suo gemello ma proprio per questo è più pericoloso. Egli dispone di un cinismo e di un fiuto che lo hanno fatto muovere  con  abilità nella intricata trattativa per la formazione del governo. Aveva un piano e lo ha centrato in pieno piazzandosi al centro della scena e proponendosi come elemento insostituibile. Ha dimostrato di possedere una sua intelligenza strategica ma non l’etica della responsabilità e ha messo il suo background al servizio dell’ interesse di parte piuttosto che dell’interesse nazionale. Ingrugnito e pieno di sé, cavalca i peggiori istinti della piazza con linguaggio tribunizio e incendiario, mostrando di non possedere quella dote che fa la grandezza di un leader, la capacità di rinunziare al proprio ego per amore della Patria, unita al senso della missione visionaria che ha al suo centro l’interesse superiore. Anche lui non si è risparmiato nella gara agli insulti con i 5 Stelle prima di sposarseli con tanto di contratto.
Questi due campioni così diversi e così uguali, accomunati da un peronismo d’antan, ci hanno fatto penzolare per due giorni sull’orlo del precipizio fino a quando sono stati spaventati dalla nemesi dei mercati e, di fronte allo scenario catastrofico che rischiava di mandare in malora il Paese, non per amor di Patria ma per calcolo, sono venuti a più miti consigli. Il governo è fatto ma affrontiamo trepidamente il viaggio in mare aperto consapevoli che i soci di maggioranza di esso sono questi signori  e che la loro inaffidabilità non è il miglior viatico per una navigazione tranquilla.