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sabato 24 dicembre 2016

Natale

La parola evoca la nascita di un Profeta che duemila anni pagò un tributo terribile al suo amore per l’uomo e ci lasciò in eredità la sua sofferenza. Col Natale celebriamo un messaggio di speranza misurandoci al contempo con il male che ci accompagna nelle sue forme più crudeli. La sofferenza del Nazareno infatti si perpetua offrendoci lo spettacolo di vite disseminate nei marciapiedi delle nostre città o racchiuse nelle carceri senza speranza di redenzione, come fossero scarti della società, dell’olocausto di Aleppo, delle carneficine di innocenti immolati sull’altare del fanatismo, dei migranti strappati alle loro case, dei nostri figli sradicati dai loro affetti e costretti a cercare altrove opportunità di lavoro, della solitudine degli anziani, di una povertà economica sempre più diffusa che si traduce in povertà dello spirito, dei sepolcri imbiancati che vediamo sfilare impettiti e impudichi mentre accarezzano le guance innocenti delle loro vittime, degli arroganti detentori delle nostre vite che esibiscono il loro potere imponendoci l’ordalia di una casta che risponde solo a se stessa, della inadeguatezza dei nostri governanti che hanno pregiudicato il nostro futuro e continuano a imperversare imperterriti, della rassegnazione di un popolo che sembra condannato alla irredimibilità. Andiamo per le strade e annusiamo l’odore nauseante del nostro disfacimento e tuttavia festeggiamo il Natale perché ci sentiamo eredi di un messaggio che, perpetuatosi grazie alla Chiesa di Cristo, ha edificato la nostra dignità durante i secoli ed è giunto fino a noi per essere ripreso e tradotto nella eredità dei lumi. Se oggi esiste una enclave di civiltà che guarda ai diritti fondamentali dell’uomo e combatte l’oscurantismo dello spirito con le ragioni della pietà e della buona causa, ciò si deve a quel messaggio. Il viaggio nella sofferenza è anche un viaggio dello spirito che nessuna sofferenza potrà mai cancellare. Buon Natale.

giovedì 1 dicembre 2016

Gli eccessi verbali

Ha ragione Dacia Maraini quando, commentando l’infelice sortita del governatore De Luca contro l’on. Bindi, denuncia gli eccessi verbali contro le donne, ha torto quando individua nelle sole donne le vittime di questi eccessi. Purtroppo l’aggressione verbale è un costume diffuso che prende di mira indiscriminatamente e proviene da ogni parte, (basta navigare in rete per imbattersi in invettive di tutti contro tutti), anche da parte della donna che, messasi in gioco, si è vista costretta a sporcarsi i calzari. Come sostiene Cazzullo, essa “erediterà la terra” ma in acconto alla terra promessa ha già ricevuto in eredità il rancore di chi si è sentito scippato e le ha presentato il conto facendola oggetto di violenze fisiche e morali, e continuerà anche in futuro a non perdonarle la sfida da lei portata. La donna che si mette in gioco si vede costretta a rispondere colpo su colpo, scendendo su un terreno in cui l’intolleranza è una compagna insidiosa e nel quale deve sapersi muovere con intelligenza, non cedendo di un millimetro sulla difesa della propria dignità ma al contempo affrontando col giusto atteggiamento i timori che suscita la sua discesa in campo, indagando tra le pieghe di un disagio che nell’uomo nasce dalla scoperta di una fragilità e di un declino che lo spaventano, senza indulgenze per la brutalità che spesso ne deriva ma senza spicciative demonizzazioni che liquidano sprezzantemente sempre e comunque il maschio. Nel clima avvelenato che vede al centro il dibattito sul ruolo della donna, non è dunque facile tenere a freno l’intolleranza. L’uscita del governatore della Campania, “un infame da uccidere”, è una imprecazione più che una incitazione ad uccidere, peraltro proferita “fuori onda”, ma ciò non toglie che essa è la spia di una inaccettabile beceraggine intellettuale ed è pericolosa perché, al di là delle intenzioni dell’autore, può innescare dissennate reazioni nel momento in cui raggiunge menti fragili. L’ignobile mattanza delle donne non è forse frutto dell’insensatezza e della labilità psichica di uomini frustrati? Non si può dunque concedere nessuna attenuante all’incontinente governatore. Ma, pronunciata questa doverosa condanna, dobbiamo avere l’onestà di non trarre conclusioni ideologiche colorando di una unica tinta l’intolleranza. L’intolleranza è di casa dovunque venga superata l’asticella del rispetto nei confronti dell’altro, senza distinzioni di genere, come dimostra proprio la battagliera on. Bindi la quale, come un qualsiasi banalissimo uomo, si abbandona qualche volta ad esternazioni che, seppure felpate nel più puro stile democristiano, sono anche esse delle autentiche aggressioni. Ha bacchettato il prefetto Caruso accusandolo di delegittimare l’impegno antimafia, per avere questi messo in guardia contro le derive della dottoressa Saguto ben presto indagata proprio per i motivi denunciati dal prefetto. Non è questa arroganza ideologica che sacrifica un funzionario onesto pur di difendere un santuario intoccabile? Ha inoltre definito impresentabile De Luca risultato successivamente estraneo alle accuse per le quali la Bindi lo aveva definito tale. “Nelle liste del PD non ci sono candidati impresentabili tranne il candidato della Regione Campania” commentò la Bindi a ridosso delle elezioni regionali in Campania. Roba da ammazzare un bue. De Luca, come dice Giannini in un suo editoriale su Repubblica, è indifendibile per mille motivi, ma questo autorizzava l’on. Bindi ad etichettarlo come impresentabile, e cioè indegno, prima della pronuncia della magistratura? Di questi scivoloni l’on. Bindi è giusto che renda conto perché è Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia ed è tenuta ad un rigore e ad un equilibrio dai quali non può prescindere al riparo della sua inattaccabilità di genere.