Visualizzazioni totali

lunedì 27 giugno 2016

La vendetta del popolo bue

Il capitalismo ingordo che ha dimenticato la sua vocazione di motore produttivo e ha fatto della finanza uno strumento di speculazione selvaggia allargando sempre più la forbice tra ricchezza e povertà, si è visto presentare il conto dalla democrazia che qualche volta si incazza e se la prende con tutti, ricchi, poveri, senza tanti complimenti. Churchill soleva dire che la democrazia è la peggior forma di governo eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora. Il problema è che Churchill ha conosciuto una democrazia che oggi non ha patria. Oggi alla democrazia storicamente intesa si è sostituita una oclocrazia che si oppone alla plutocrazia in una gara a chi perde in misura maggiore la ragione e in particolare la ragione etica. Uno spaccato plastico di questo conflitto si è avuto in Gran Bretagna tra i sostenitori del leave e quello del remain. La Gran Bretagna che ruota attorno alla City e gestisce la maggior parte dei mercati valutari del mondo aveva tutto l’interesse di rimanere nella Ue, perché solo restando ancorata al sistema dell’euro, avrebbe potuto mantenere il suo predominio finanziario. Il 2008 e l’anno terribile, il 2011, con i loro rintocchi sinistri hanno messo in allarme i mercati finanziari fino a quando la brexit è stata data in vantaggio. Incertezza dei mercati, incapacità delle banche di finanziarsi sono tutte voci di un bilancio che dal 2008 in poi ha lasciato parecchie vittime sul terreno e che rischiava di ripetersi. Quando gli exit polls hanno cominciato a dare vincente il fronte del remain e hanno confermato questo trend fino a pochi minuti prima della chiusura delle urne, i grandi gestori, i soli che si sono potuti permettere la lettura di questi costosi dati, hanno rialzato la cresta e hanno agito sul mercato delle valute secondo i loro interessi. L’esito delle urne li ha puniti e assieme a loro ha punito tutto il resto. Le borse a livello planetario hanno subito un crollo, lo spread italiano è aumentato, e si può esser certi che ci saranno altre conseguenze di cui al momento non siamo in grado di valutare la portata e che investiranno non solo la Gran Bretagna ma l’intera Europa. La brexit è piombata sul mondo occidentale come una sorta di ordalia che può essere la pietra tombale dell’Europa. Il popolo, spinto sempre più ai margini della società, ha mandato in soffitta la ragione e si è affidato all’istinto primordiale, si è riconosciuto nel populismo che agita il fantasma dei nemici alle porte, ha bocciato la logica dell’inflessibilità che privilegia il rigore dei conti piuttosto che i conti in tasca della gente e si è rivoltato contro chi attenta ai suoi bisogni primari. E’ accaduto in Gran Bretagna, accadrà, emuli gli altri Paesi, nel resto d’Europa. Ma non hanno motivo di gioire quelli che l’hanno favorita né di temere quelli che l’hanno avversata, è una rivolta destinata al fallimento, per dirla con Shakespeare, tanto rumore per nulla. Si può esser certi che, nell’ambito delle trattative tra Europa e Gran Bretagna che accompagneranno quest’ultima fuori dalla Ue, le lobby finanziarie troveranno il modo di mettersi d’accordo lasciando col cerino in mano il qualunquismo inconcludente di quanti strillano contro il potere della grande finanza. L’Europa ha fallito la sua missione e perduto la sua anima liberale, come un novello Crono ha divorato i suoi figli.  

sabato 4 giugno 2016

La festa della Repubblica

Abbiamo festeggiato i 70 anni della Repubblica e tanto per cambiare non ci siamo fatti mancare la solita sbornia di luoghi comuni. Fra essi la vulgata politicamente corretta e universalmente accettata secondo cui i politici della prima repubblica sono stati dei giganti ai quali va il merito delle nostre magnifiche sorti e progressive. Nessuno può negare che i protagonisti della prima stagione repubblicana sono stati i progenitori di importanti riforme che hanno modificato definitivamente la società italiana proiettandola in un futuro al passo con il resto del mondo, la riforma agraria, per esempio, che eliminò i latifondi, la scuola media unica, il servizio sanitario nazionale, l’accesso delle donne alla magistratura, ma non è il caso di parlare di giganti ignorando errori che non possono essere perdonati e dimenticando che questi giganti hanno reso l’Italia quella che è, un Paese in cui il presente versa in condizioni drammatiche e il futuro è un punto interrogativo senza tante speranze. Tutto parte da allora, dagli anni in cui i nostri giganti, ispirati, nel migliore dei casi, da velleitarie ideologie keinesiane e dall’utopia demenziale di una economia pilotata, in cui tutto, specie quello che non si può, è dovuto, hanno sperperato il mitico miracolo economico frutto dello sforzo di un popolo che liberò le sue energie migliori. Hanno varato un welfare che non ci potevamo permettere saccheggiando risorse che non avevamo, hanno vestito lo Stato dei panni dell’imprenditore, lo hanno fatto indebitare e hanno fottuto il futuro dei nostri figli. E già che c’erano, all’ombra di un consociativismo sottobanco che di fatto azzerava la dialettica politica e dunque la democrazia, si sono spartiti ciò che restava. Solo vent’anni fa, quando il danno era ormai fatto, lo Stato allentò la sua presa sull’economia liquidando l’IRI, settima al mondo per fatturato e prima per perdite. Ma è stata solo una goccia in un mare che ha continuato ad essere tragicamente pubblico e in cui squali e boiardi, tutti assieme appassionatamente, hanno pescato e continuano a pescare di frodo accelerando il disastro che è sotto gli occhi di tutti. Siamo prigionieri di un debito che impedisce nuovi investimenti e il riavvio della ripresa, con la conseguenza di una povertà sempre più diffusa e una forbice sempre più larga tra eccessivamente ricchi ed eccessivamente poveri. Basta allungare lo sguardo nelle periferie disastrate delle nostre città per assistere al dramma dei nostri figli, 1 milione di minori, che vivono in povertà assoluta scendendo sempre più in basso verso il degrado morale e sociale. Mancano di cibo, di vestiti, di giochi, di vacanze, abbandonano anzitempo la scuola, sono destinati a cadere nella rete della criminalità. Ed è sotto gli occhi di tutti il dramma dei nuovi poveri che ogni anno sempre più numerosi, oggi sono 5 milioni, rovinano sotto la soglia della sopravvivenza e sono costretti a dormire avendo come tetto le stelle e ad accomodarsi presso la Caritas per un pasto. Per avere un’idea di questa realtà prego accomodarsi al seguito delle associazioni di volontariato impegnate nelle ronde notturne negli angoli più bui delle nostre città alla ricerca di anime perdute. Per non parlare dei nostri giovani che si piazzano al terzultimo posto nella classifica dei disoccupati in Europa, appena davanti a Slovacchia e Grecia, e sono afflitti da una tendenza sempre maggiore all’inattività, frutto della mancanza di prospettive e della rassegnazione. Non cercano più un lavoro perché hanno esaurito infruttuosamente tutti i tentativi, vivacchiano grazie al welfare familiare, sono la testimonianza di una resa che chiama in causa responsabilità antiche e recenti. Diciamolo, c’è poco da festeggiare e il senso della misura dovrebbe suggerire al nostro premier di evitare i toni trionfalistici con cui ci rifila la favola di un’Italia avviata verso un futuro migliore (forse si riferisce all’Italia dei parlamentari e dei commis di Stato che ricevono gli stipendi e i vitalizi più alti d’Europa), quando invece è noto a tutti che siamo avvitati in un triplo salto mortale senza rete che rischia di farci precipitare nelle stesse condizioni della Grecia. Con la produttività cresciuta dal 2000 ad oggi di appena l’1% contro il 17% medio degli altri partners europeo e con la prospettiva che questo trend non muti, dove vogliamo arrivare? Ma non finisce qui. C’è poi l’ipocrisia del rischio millantato piuttosto che reale. Anche lì tentano di darcela a bere. L’antimafia di facciata ci fornisce continuamente esempi di facce toste impegnate a lucrare credibilità, prebende, carriere e scorte, lasciando credere che la loro vita è a rischio solo perché hanno cercato una visibilità strumentale senza dare un autentico contributo alla lotta contro la mafia. I rischi in verità li corrono solo i cittadini costretti a sobbarcarsi i costi di eroi di cartone che hanno fiutato l’eldorado. Enfatizziamo i pericoli della criminalità organizzata (che, sia chiaro, non devono essere sottovalutati) e fingiamo di ignorare che i maggiori pericoli nascono da una classe politica inetta e corrotta che soddisfa appetiti clientelari e gli interessi affaristici dei gruppi di riferimento senza peraltro, in contropartita ad un costo così elevato, riuscire a far funzionare in maniera accettabile la macchina dello Stato, nascono da poteri forti che menano la danza e sono dietro ai più inquietanti misteri mai risolti, collusi, essi si, con la mafia o con quello che di essa è rimasto, una tragica parodia di se stessa che si è illusa di fare il salto di qualità e si è votata alla disfatta prestandosi a fungere da utile idiota al servizio di disegni di cui non aveva consapevolezza, nascono dai privilegi delle caste che erodono le risorse della collettività, da un fisco vorace e ingiusto, da lobby che imperversano indirizzando le leggi verso gli interessi che hanno in cura, dalla progressiva polverizzazione della media borghesia e con essa della spina dorsale del tessuto sociale, dalla rinuncia della gente ad amare il proprio Paese. E’ l’epica cialtrona di un popolo che non ha più ideali né speranze, è lo spaccato di un Paese che inganna continuamente se stesso millantando virtù che non possiede, che mette in scena festeggiamenti solenni nell’anniversario della nascita della Repubblica che amiamo ma che abbiamo tradita mancando l’impegno contratto con essa, ed esibisce tra le fila delle autorità in parata, in occasione del 2 giugno, sepolcri imbiancati che fanno pernacchie ad un popolo che non rappresentano.