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martedì 21 agosto 2018

Genova


A Genova si è consumata una tragedia e, come se non bastasse, i corvi si sono avventati sul dolore dei genovesi per farne mercimonio. Una vicenda che non doveva accadere, che doveva essere gestita con la sobrietà che le circostanze imponevano, ha dato la stura alla consueta litigiosità italiana. Siamo un popolo dalle due facce, capace di gesti di eroismo e di solidarietà uniche al mondo, che nella circostanza ha saputo stringersi con amore attorno a Genova, ma che nella stessa circostanza si è reso protagonista di condotte imbarazzanti ad opera dei soliti disinvolti uomini politici. La sobrietà, il dolore  e la volontà sincera di porre mano ai rimedi che il disastro imponeva, una emergenza che esigeva di far quadrato e di trovare una unità di intenti, hanno lasciato il posto a una girandola di accuse e giudizi sommari di iconoclasti invasati. E’ stato il festival delle cadute di stile. Ha cominciato la nuova maggioranza alla quale non è parso vero di fare della tragedia un’occasione ghiotta per sferrare un attacco agli avversari aizzando la piazza e fomentando voglie di vendetta pur di lucrare un minimo di consenso, ma dimenticandosi di quando definiva una “favoletta” il pericolo di crollo del ponte e giudicava inutile un’opera come la Gronda. Per di più si è avventurata con la solita approssimazione in propositi che non hanno nulla da spartire col buon senso e il rigore che una materia così delicata imporrebbe. Fa un certo effetto sentire affermare dal Presidente del Consiglio che bisogna sbarazzarsi immediatamente della concessionaria Autostrade senza attendere “le lungaggini della giustizia”. Come fa un certo effetto sentire il ministro Toninelli preannunciare che si costituirà parte civile contro la suddetta concessionaria, ignorando che proprio il suo dicastero, in quanto responsabile dei controlli sulla manutenzione del ponte, potrebbe essere chiamato anche esso in causa. In questo caso che cosa fa il signor Ministro, si costituisce parte civile contro se stesso? Evidentemente i suoi burocrati non hanno fatto in tempo ad avvertirlo. Procedendo nella carrellata delle minzioni fuori dall’orinale, segnaliamo l’attivismo del signor Casalino, improbabile portavoce dei penta stellati, il quale non ha avvertito alcun senso di vergogna quando, nel momento stesso in cui si svolgevano i funerali di Stato delle vittime, ha inondato di messaggi i siti dei giornali invitandoli a dare risonanza alla notizia delle ovazioni al suo boss, l’on. Di Maio. L’animo del signor Casalino vibra di commozione per il tributo riservato al suo capo più di quanto non riesca a fare per l’atmosfera di dolore che si respirava durante le esequie. Per la sua parte la concessionaria Autostrade non è stata da meno fottendosi del dolore dei familiari delle vittime e preoccupandosi, a caldo e con i cadaveri ancora fumanti, di rivendicare il suo diritto a non essere intaccato nei suoi interessi. Sull’antica maggioranza è meglio stendere un velo pietoso. Essa è ritenuta (a torto o a ragione, si vedrà)  la compagine che ha concesso un autentico monopolio ad un privato e che ha avuto nei confronti di esso un atteggiamento compiacente tanto da autorizzare sospetti inquietanti, ed è percepita come corresponsabile del disastro. Ha balbettato accusando i legastellati di sciacallaggio e imbastendo un maldestro tentativo di difesa del proprio operato che è sembrato una difesa d’ufficio della concessionaria. Un vero e proprio autogol!  Tra veleni e voglie di rivalsa la politica, come si vede,  non ha saputo superare i suoi conflitti, non ha saputo affrontare facendo fronte comune una tragedia che riguarda tutti, rimboccandosi  le maniche per ricostruire quello che è stato distrutto e rinviando a tempo debito la resa dei conti. 43 persone sono morte, una città è in ginocchio e attende risposte dalla politica che non siano il solito déjà vu. E attende anche giustizia. Se dagli atti delle indagini dovessero emergere incuria, mancanza di prevenzione e di controlli, se dovesse risultare che la tragedia di Genova è frutto della collusione tra una finanza vorace e una politica infedele, che ai vertici  della politica e della imprenditoria siede una corruttela che in questa vicenda si è fatta prendere la mano dall’improvvisazione e dall’ingordigia e ha sacrificato sull’altare del profitto 43 vite come usa nelle più spietate mattanze di mafia, si abbia il coraggio di mirare in alto e di punire con esemplare severità.

martedì 7 agosto 2018

La pena di morte


La pena di morte
Ci tocca tornare a parlare dei reietti dopo che il Papa ha deciso di riscrivere il catechismo affermando che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”. Il Vangelo, secondo la lettura intransigente del Papa che, per inciso, contraddice posizioni di diverso avviso di alcuni Padri della Chiesa, non consente all’uomo di violare la vita concedendogli solo la libertà di viverla, seppure con sofferenza, in obbedienza al volere divino. Che dire? Riesce difficile condividere una logica che non lascia spazio al libero arbitrio dell’uomo e non gli permette di ribellarsi al destino persino quando esso condanna al dolore. E tuttavia anche per chi si schiera dalla parte del Papa si impongono alcune riserve. Cosa significa infatti parlare di dignità della persona come fa il Papa limitandosi ad ammonire che la pena di morte attenta ad essa ma ignorando che la dignità reclama ragioni alle quali è la vita stessa ad attentare più che la morte? Che dignità è quella vissuta da chi vive in stato di costrizione senza prospettiva che questa condizione cessi se non con la morte? E’ la condizione degli ergastolani, dannati che muoiono ogni giorno vivendo una vita apparente, che trascinano le loro giornate scandite dal suono dei loro passi sempre uguali e sempre più stanchi, uomini murati vivi che cercano di dare un senso ad una esistenza senza più ragioni, diventati, dopo decenni di carcere duro, estranei a se stessi, avanzi dolenti dell’antico contesto, ossessionati dal pensiero onirico latente di quell’infido appuntamento estremo che è il suicidio, vittime di quella che Girard chiama “vendetta inutile”, frutto di una società in cui “il malvagio e il debole non possono cadere più in basso della peggiore bassezza che c’è anche in tutti noi…..perché, come una foglia non impallidisce senza la muta complicità di tutta la pianta, così il malvagio non potrà nuocere senza il tacito consenso di tutti noi” (Kahlil Gibran). Invocano la morte come una liberazione mentre guardano all’orizzonte infinito del fine pena mai. E’ un contesto nel quale la persona è privata della propria dignità dalla vita piuttosto che dalla morte. In queste condizioni la vita non merita di essere vissuta e la Chiesa non può restare sorda alla pietà limitandosi a proclamare il mantra della sacralità della vita anche quando essa è una parvenza di vita. Per gli ergastolani la morte è una grazia anche quando è comminata dallo Stato o è decisa dalla volontà di ciascuno alla resa, e la Chiesa deve avvertire l’imperativo misericordioso di lasciare morire in pace chi è già morto dentro.