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domenica 29 gennaio 2017

Gli untouchables

Pare che il nostro destino sia quello di soggiacere al capriccio del Robespierre di turno che pretende di mondare il mondo e, visto che c’è, dare una lustrata al proprio ego. In un Paese in cui regole permissive permettono la consacrazione di caste irresponsabili, l’arbitrio ha preso il posto della legge e le nostre vite sono state consegnate a teoremi che obbediscono al furore catartico di un giacobinismo cieco. Sono tempi in cui, caduti i migliori sul fronte della lotta al male ma anche su quello dell’onestà intellettuale, imperano i sacerdoti della morale anziché del diritto che considerano la legge alla stregua di una qualsiasi variabile indipendente dal rigore giuridico e la interpretano, piuttosto che applicarla, secondo categorie che obbediscono agli impulsi delle viscere e alle incitazioni delle tricoteuses tumultuanti ai piedi del patibolo. Il risultato è il trionfo di un giustizialismo becero di cui siamo vittime senza alcuna difesa, perché non possono esserci difese contro azioni che non sono sindacabili. Persino il legislatore, autolesionista e succube di un garantismo a favore del più forte, ci regala storture al diritto che ci espongono ancora di più all’arbitrio. Per esempio, il giudice per le indagini preliminari può tranquillamente rinviare a giudizio senza alcun obbligo di rendere conto del motivo di tale decisione, mentre, se decide di prosciogliere, ha l’obbligo di motivare. Nella maggior parte dei casi, ce lo dice la casistica, egli sceglie di rinviare a giudizio perché, sia consentito il sospetto, non dovendo motivare la sua scelta, non ha necessità di conoscere le carte e studiare onerosi faldoni. Pazienza se il principio della parità di diritti tra accusa e difesa va a farsi benedire, tanto ci penserà il giudice del dibattimento a decidere della colpevolezza o innocenza e poco male se ciò costa denaro pubblico e angoscia dell’imputato. Il pianeta giustizia in Italia è una prateria in cui può accadere di tutto. Può accadere che qualche PM, anche egli giudice e obbligato dalla legge ad accertare la verità, ritenga di svolgere al meglio questo suo ruolo perseguendo sempre e comunque l’imputato, anche a dispetto dell’evidenza. Accade che un condannato per mafia per fatti risalenti a qualche decennio fa, venga ancora oggi ritenuto pericoloso e proposto per le misure di prevenzione. Non importa che tali misure siano previste dalla legge solo in caso di pericolosità attuale e cioè nel caso in cui sia ancora in essere un contributo operativo all’attività criminosa, vale il principio secondo cui un mafioso è pericoloso sempre anche quando viene accertato e certificato dalle stesse forza dell’ordine che la sua pericolosità è nel frattempo cessata. E’ un principio che si ispira a quella che i tedeschi definiscono colpa d’autore, il marchio d’infamia che bolla a vita il reietto e lo precipita nel recinto dei colpevoli irredimibili in virtù del suo status, anche se egli nel frattempo è diventato un santo (si fa per dire). Si, certo, la costituzione prevede il recupero del reo, ma non è il caso di farsi tanti scrupoli, dei mafiosi è sempre meglio non fidarsi. Accade che qualche magistrato, affezionato al proprio teorema, incoraggi l’immancabile collaboratore di giustizia ad accusare l’imputato e ottenerne la condanna che il tempo e successive confessioni di segno contrario di collaboratori più credibili si incaricheranno di smontare, senza che alcuno paghi pegno. O meglio, il pegno lo paga il disgraziato innocente che si è cuccato anni di carcere non dovuti durante i quali il disinvolto magistrato ha continuato imperterrito a fare carriera. Accade che, anche in presenza di assoluzioni da accuse gravissime, i beni patrimoniali dell’imputato vengano ugualmente confiscati in base al principio che l’assoluzione non esclude il sospetto di collusione e l’accumulo illecito del bene confiscato. Avete capito bene, non solo l’imputato innocente si è dovuto sorbire il carcere e un lungo processo che ne ha sconvolto la vita ma, invece di essere risarcito, viene punito. Che impari ad essere assolto lo sfrontato! Accade che un imputato rimanga ostaggio della sua vicenda giudiziaria per decenni durante i quali fa in tempo a scontare il carcere preventivo previsto ancor prima che sia accertata la sua colpevolezza, è condannato dal tribunale del popolo ancor prima che dal tribunale dello Stato, perde la reputazione e il patrimonio, giunge alla conclusione di un calvario che è già una ulteriore condanna in sé, provato nel fisico e nello spirito, senza più tanta voglia di niente che non sia quella di arrivare in qualsiasi modo alla fine. Accade che la notte trascorre tra gli incubi di una incursione dei birri che violano la tua intimità e ti trascinano via in manette, e ti svegli con gli occhi sbarrati e l’angoscia di dovere affrontare una giornata di schifo. Accade che non si ha più tanta voglia di vivere. Questo accade in Italia, un Paese in cui il cittadino che per sua malasorte si ritrova catapultato nel girone infernale di un procedimento giudiziario, ha il destino segnato.