Ho finito di leggere “Avventurieri dell’eterno” di Antonio Socci e “Abolire il carcere” di
Manconi, Anastasia, Calderone e Resta, e sono passato dalla sensazione di
speranza e di felicità cui, secondo il messaggio di Socci, è destinato l’uomo, ad
una sensazione opposta che ben conosco, la sensazione di pena per la condizione
in carcere narrata nelle pagine del libro
di Manconi & C. e drammaticamente confermata
dalla notizia degli ultimi suicidi di due detenuti. Mi sono venute in mente la
poesia di Quasimodo “Ed è subito sera” e la lode della solitudine di Gervaso e mi
sono chiesto se la solitudine non sia il solo vero rimedio alla vita che ci è
stata assegnata e che decliniamo come possiamo e sappiamo tra le insidie di un
mondo contraddittorio, a volte generoso a volte crudele, che mette a dura prova
la nostra fragilità raziocinante. Ho un parente ossessionato dalla cultura della
legalità e da una sorta di paranoia etica che lo guida in tutti i suoi giudizi,
in genere severi e senza sconti. Giunge a negare i meriti più evidenti se
macchiati da ciò che a lui appare eticamente censurabile. Inutile spiegargli
che merito e moralità non sono categorie inscindibili, che l’uno non deve
necessariamente presupporre l’altra, e che anzi nella storia dell’uomo
ricorrono tanti esempi di sommi artisti moralmente indegni, il nostro intransigente
campione non si convince e resta fermo nella sua condanna inappellabile.
Peccato che egli, come tutti i moralisti, abbia una doppia morale. Quando, esasperato
dalla sua inflessibilità, gli ricordo che sta godendosi la pensione grazie ai
buoni uffici dell’onorevole Pincopallo che lo ha sistemato illo tempore in una
struttura pubblica senza farlo passare attraverso le forche caudine di un
concorso, mi guarda con aria stupita protestando che così fan tutti. Una bella
morale come si vede. Non ricordo chi disse: “Guardo dentro di me e
inorridisco”. Ebbene la morale del mio parente è la morale farisaica
di chi è indulgente con se stesso e inorridisce solo per i peccati altrui, di
coloro che inarcano il sopracciglio al cospetto della sorte infelice di una
umanità che non conoscono eppure demonizzano, quella degli innocenti figli di
padri colpevoli, che, a loro dire, se la sono voluta, come la signora Maria
Concetta Riina, per esempio, che è onesta ma nipote del capo dei capi e tanto
basta, e come i familiari dei detenuti in regime di 41 bis costretti dal vetro
divisorio a non stringere al petto la propria carne per decenni. E’ la morale
di quanti incitano a buttare la chiave perché il carcere è l’unica soluzione
che appaga il loro senso di giustizia e si girano dall’altra parte infastiditi
dalle notizie da bollettino di guerra dei detenuti che si impiccano, colpevoli
incalliti fino alla fine quando, penzolando imbarazzanti dal cappio di un
lenzuolo, fanno l’ultimo, estremo dispetto allo Stato. E’ la morale degli
Ingroia e dei Lumia che si sono caricati sulle spalle la vara di San Saro
elevandolo a icona del galateo etico e campione della lotta alla corruzione e
al malaffare e adesso si rifugiano tra le pieghe di mille distinguo, non pagando
pegno per il disastro morale e politico al quale hanno prestato il fianco
cavalcando incautamente un crocettismo che non hanno saputo imbrigliare. E’ la
morale dei censori che imperversano in rete, tutti onesti e assetati del sangue
della vittima di turno, sventolando la ragione di chi si nasconde dietro un nickename
anonimo. Mi sono detto che l’unica amica
che non mi tradirà è la mia cara, fedele solitudine che mi tiene a distanza di
sicurezza da questo mondo di…..onesti.
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