Ho assistito alla lectio magistralis tenuta da Vittorio
Sgarbi al Teatro Politeama nell’ambito dell’iniziativa “Panorama d’Italia”,
promossa dal settimanale diretto da Giorgio Mulé. L’atmosfera creata
dall’estroso professore è stata, manco a dirlo, la solita atmosfera frizzante e
l’arte è sembrata assumere connotazioni che non siamo soliti pensare. Si aveva
la sensazione di scoprire un mondo nuovo e che questo mondo fosse naturale e
accessibile, che vivere d’arte fosse ovvio come bere un bicchier d’acqua. Il
parterre oltretutto favoriva questa sensazione. La cornice si fregiava di nomi
che nel panorama culturale e giornalistico italiano hanno detto la loro, niente
di eccezionale, beninteso, ma quel tanto che con la sua normalità incoraggia le
ambizioni dei comuni mortali e gli fa dire che anche loro ce la possono fare,
che anche per loro è facile , se solo lo vogliono. Quei personaggi erano lì, a
portata di mano, mescolati alla gente comune senza le barriere che solitamente rendono
impervio il rapporto con un mondo che appare lontano, con loro potevi parlare
liberamente, esprimere i tuoi pensieri, condividere i tuoi sogni di gloria,
assaporare l’ottimismo che quella normalità
trasmetteva. Ne avvicinai uno e gli confidai la mia ansia di visibilità,
il mio desiderio di far sapere al mondo che un autore che viene dalle retrovie
dell’esistenza sta concependo la sua creatura e vuole offrirle spazio, lamentai
la frustrazione dei peones della cultura che tentano l’assalto al fortino delle occasioni
mancate, gli sussurrai la mia richiesta d’aiuto. Mi guardò come non mi vedesse,
sorrise di un sorriso amaro, il volto segnato dal disincanto di chi conosce il
mondo e non si fa illusioni, mi raccontò dello sforzo immane nel tenere a bada
l’assedio dei cinquanta libri sfornati ogni giorno da narratori della domenica
tra cui magari si annida quello giusto e dei sensi di colpa per non avere il
tempo di leggerli tutti e mancare l’occasione della scoperta che ti fa battere
il cuore, mi mise in guardia contro il rischio di far scorrere la vita sui binari di consuetudini fruste in cui non
c’è più spazio per l’emozione e mi
esortò a continuare a scrivere se scrivere era quello che mi faceva sentire
appagato, scrivere per me più che per gli altri e scoprire nuove sensazioni. Mi
diede appuntamento al giorno dopo per parlare del mio romanzo. Non so se lo
incontrerò, forse, chissà, domani il nostro eroe sarà altrove a distribuire
speranza ad altri romanzieri in cerca di gloria, ma a me è bastato e sono
tornato a casa col cuore gonfio di gratitudine e tanta voglia di continuare a mettere
su carta quello che sento, di scrivere un post che parla di questa voglia e
dedicarlo a lui, al mio disincantato eroe che ha ridato impulso alla mia vena.
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