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martedì 17 novembre 2015

La mattanza di Parigi

Piangiamo la mattanza di Parigi ma piangiamola con la schiena dritta e senza lacrime di circostanza pronte a tramutarsi fra qualche giorno in dichiarazioni di compiacente piaggeria nei confronti dei carnefici. Obama proclama che la Francia vincerà, Renzi che sapremo reagire, affermiamo solennemente di sentirci tutti francesi, ma le belle parole e i proclami non ci assolvono se prima piangiamo i morti di Charlie Hebdo e poi diciamo che se la sono voluta e in America alcuni intellettuali protestano per l’assegnazione di un premio alla testata con la motivazione che essa ha offeso la sensibilità dei mussulmani, se il regista Van Gogh è boicottato nei festival internazionali e alcuni musei si rifiutano di esporre innocenti immagini del Profeta, se escludiamo dalla visita artistica di una scolaresca il Cristo di Chagall, se l’intellighenzia europea e mondiale scende in campo firmando appelli contro la libertà di satira nei confronti di un certo islamismo intollerante e becero, se mostriamo una miserabile sudditanza da McEwan magistralmente definita “tribalismo intellettuale soffocante”, se rinneghiamo la nostra cultura. E’ nell’ottica di questa sudditanza la tendenza a rimuovere le responsabilità dell’islamismo tacciando di islamofobia chi osa affermare il contrario e a mettere i puntini sulle i di una distinzione tra Islam fanatico e moderato. E’ una distinzione sacrosanta ma che non può ignorare la matrice identitaria ideale e religiosa che accomuna i due schieramenti. In questo Islam che ha dimenticato il suo antico splendore, non soffia il vento dei lumi e anche in quello moderato le donne sono tenute in condizione di inferiorità, i gay sono impiccati e le adultere lapidate, le confessioni religiose diverse da quella islamica sono perseguitate, la cultura è bandita. E’ in nome di questi sani principi che l’Isis conduce la sua lotta contro gli “infedeli” senza che i moderati si arrischino a muovere un dito perché non possono rinnegare la matrice comune, ed è ignorando questa realtà che certi intellettuali occidentali in malafede confezionano autentici falsi d’autore. Detto questo, vediamo di capire quali sono le responsabilità dell’Occidente. All’indomani della strage di Parigi si può dire che il popolo francese è vittima non solo dell’Isis ma anche dei governanti occidentali affetti da una inguaribile inadeguatezza di fronte alle sfide della storia. La pretesa di correggere i mali del mondo e di correre in difesa delle vittime dei soprusi bonificando aree dall’equilibrio delicato con l’eliminazione dei Gheddafi, dei Saddam e degli Assad e non calcolando il prezzo da pagare, è stato un lusso che non ci potevamo permettere alla luce delle conseguenze. Il dilettantismo che ha guidato le scelte di Bush Jr e quelle successive di Obama ha sortito l’effetto di stravolgere quell’ equilibrio che seppur precario e inviso ai più, garantiva almeno un minimo di stabilità. Valeva la pena di sloggiare Geddafi, visti i risultati? Ed era il caso di impelagarsi in quel ginepraio della guerra civile in Siria senza essere sicuri di venirne a capo. Gli USA, in nome dei diritti negati al popolo siriano o forse in nome del petrolio, hanno sostenuto i nemici di Assad concorrendo a destabilizzare il tiranno siriano e a collassare ancora di più la Siria, hanno lasciato che la crisi si aggravasse, che entrasse in scena un protagonista come l’Isis, con la conseguenza che i diritti dei siriani continuano ad essere violati come e più di prima e la Siria è diventato un teatro in cui si recitano drammi come l’esodo di un popolo, la distruzione di siti archeologici patrimoni dell’umanità, la guerra di tutti contro tutti, la conquista di una vasta area dove l’Isis ha potuto istallarsi in forma di Stato diventando in maniera ancora più visibile punto di riferimento del terrorismo e base per l’intensificazione dei suoi attacchi all’Occidente, l’incarognimento di una guerra nella quale i giusti non hanno patria e gli aerei dei buoni bombardano alla cieca facendo vittime innocenti. L’elenco delle disfatte di Obama e delle conseguenze che derivano a tutti noi, dalla dissoluzione della Libia al disfacimento del medio oriente, alla crisi ucraina dove il nostro si è andato a cacciare sfidando l’orso russo con una politica aggressiva che ha svegliato la sua sindrome d’accerchiamento e gli ha offerto l’alibi, che, sia chiaro, non lo assolve, per annettersi la Crimea, ci dice in che mani siamo e come dobbiamo temere il peggio. In un mondo diviso a metà in cui si confrontano due civiltà una delle quali è minacciata da una crisi d’identità vicina alla follia, Putin non va respinto ma recuperato alla causa della civiltà occidentale, perché, pur essendo vero che tutto ci separa da lui, è pure vero che ci accomuna la lotta all’identico nemico. Parigi, città che amiamo, vive una tragedia immane, vittima di una strategia che non c’è e orfana dell’Europa, la bella addormentata che sonnecchia sfogliando la margherita e interrogandosi su che cosa farà da grande. Il peggiore torto che rischiamo di farle, è dimenticare.

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