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venerdì 13 novembre 2015

Fera ridens

Si dice di me che sono un mafioso e lo si dice a buon diritto perché ho subito una condanna definitiva per mafia che non condivido ma che ho accettato saldando il mio conto con lo Stato. Questa considerazione ovvia può suscitare reazioni infastidite, qualcuno potrebbe chiedersi: ma insomma dove vuole andare a parare questo tizio con la solfa della sua vicenda giudiziaria, pretende forse dalla società un’assoluzione che non ha avuto dal giudice, vuole convincerci che è una persona per bene, o non è piuttosto affetto da manie di protagonismo? Nulla di tutto questo, ve lo assicuro, anzi non desidero altro che dimenticare e far dimenticare una vicenda che mi ha fatto soffrire. Purtroppo altri non dimenticano e con un accanimento inspiegabile si ostinano a ripescare e sbattermi in faccia una sentenza emessa nel 2014 in relazione ad accuse contestatemi nel 1998. Non ho altre pendenze con la giustizia, non c’è altro che mi sia stato contestato dopo la mia condanna, è stato riconosciuto persino da un magistrato che non sono un elemento ( proprio così, elemento ) socialmente pericoloso, sono un uomo finalmente libero ( non del tutto in verità visto che non posso uscire dai confini dello Stato ) ma sembra che la mia riconquistata libertà impensierisca qualcuno. Questo qualcuno strilla stupito che io circoli indisturbato per le contrade palermitane, mi assale rinfacciandomi la mia mafiosità, ringhia pretendendo di conoscere da me cosa pensi della mafia e delle sue attività illecite, aspettandosi probabilmente che io prenda posizione a favore del traffico di droga e delle attività estorsive in virtù della mia connotazione mafiosa, e se oso deluderlo dissociandomi dalla mafia, insorge indignato rinfacciandomi la faccia tosta con cui nego l’evidenza: sono mafioso e debbo dichiararmi tale con annessi e connessi. Mi domando cosa può volere da me questa iena traboccante di cattiveria gratuita, cosa mi vuole far pagare. Forse non sopporta l’idea che esisto e resisto sulle barricate di una lotta impari contro coloro che ritengono di poter fare impunemente strame della mia vita, di poterla violare facendo irruzioni di stampo mafioso persino nei momenti più belli di essa o mi riservano una indifferenza omertosa che uccide, come fanno i tanti giornalisti che hanno sguazzato per anni nelle mie vicende giudiziarie e ora ignorano una stagione diversa della mia esistenza disertando all’unanimità, tranne un paio di eccezioni, la presentazione del mio romanzo e non avvertendo l’imperativo professionale di offrire al lettore una doverosa informazione sul nuovo corso del “mafioso” Mandalà? Forse non tollera che io scriva, e mi dicono che lo faccia anche bene, rivelando allo stupito gregge abbeveratosi per anni alla fontana delle verità omologate, un’altra verità sul bieco “mafioso”, che non sospettava? Forse lo disturba l’impertinenza di una penna fuori dal coro che dipinge nuovi scenari e denuncia i piani di chi su questi scenari frusti e abusati ha costruito carriere altrimenti impensabili e si sente scippato del giocattolo? O forse, molto più cinicamente, ripescare e rilanciare la figura di un noto “mafioso” in disarmo serve a promuovere ambizioni a buon mercato? Tanto, si sa, con la carne dei mafiosi si può tranquillamente banchettare. Qualcuno dei miei estimatori ha scritto che debbo essere rinchiuso in un gulag e che mi si deve impedire di pensare e scrivere. Niente di nuovo come si vede. Se parliamo di macelleria, l’attrazione è fatale e il boato sale alle stelle, se parliamo di riscatto, un silenzio assordante cala sulla scena e la delusione prende l’animo dei malmostosi prevaricatori della vita altrui. E’ mafia questa? Lo è, ve lo garantisce uno che, a detta di una sentenza definitiva, di mafia si intende.

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