Si dice di me che sono un mafioso e lo
si dice a buon diritto perché ho subito una condanna definitiva per
mafia che non condivido ma che ho accettato saldando il mio conto con
lo Stato. Questa considerazione ovvia può suscitare reazioni
infastidite, qualcuno potrebbe chiedersi: ma insomma dove vuole
andare a parare questo tizio con la solfa della sua vicenda
giudiziaria, pretende forse dalla società un’assoluzione che non
ha avuto dal giudice, vuole convincerci che è una persona per bene,
o non è piuttosto affetto da manie di protagonismo? Nulla di tutto
questo, ve lo assicuro, anzi non desidero altro che dimenticare e far
dimenticare una vicenda che mi ha fatto soffrire. Purtroppo altri non
dimenticano e con un accanimento inspiegabile si ostinano a ripescare
e sbattermi in faccia una sentenza emessa nel 2014 in relazione ad
accuse contestatemi nel 1998. Non ho altre pendenze con la giustizia,
non c’è altro che mi sia stato contestato dopo la mia condanna, è
stato riconosciuto persino da un magistrato che non sono un elemento
( proprio così, elemento ) socialmente pericoloso, sono un uomo
finalmente libero ( non del tutto in verità visto che non posso
uscire dai confini dello Stato ) ma sembra che la mia riconquistata
libertà impensierisca qualcuno. Questo qualcuno strilla stupito che
io circoli indisturbato per le contrade palermitane, mi assale
rinfacciandomi la mia mafiosità, ringhia pretendendo di conoscere da
me cosa pensi della mafia e delle sue attività illecite,
aspettandosi probabilmente che io prenda posizione a favore del
traffico di droga e delle attività estorsive in virtù della mia
connotazione mafiosa, e se oso deluderlo dissociandomi dalla mafia,
insorge indignato rinfacciandomi la faccia tosta con cui nego
l’evidenza: sono mafioso e debbo dichiararmi tale con annessi e
connessi. Mi domando cosa può volere da me questa iena traboccante
di cattiveria gratuita, cosa mi vuole far pagare. Forse non sopporta
l’idea che esisto e resisto sulle barricate di una lotta impari
contro coloro che ritengono di poter fare impunemente strame della
mia vita, di poterla violare facendo irruzioni di stampo mafioso
persino nei momenti più belli di essa o mi riservano una
indifferenza omertosa che uccide, come fanno i tanti giornalisti che
hanno sguazzato per anni nelle mie vicende giudiziarie e ora ignorano
una stagione diversa della mia esistenza disertando all’unanimità,
tranne un paio di eccezioni, la presentazione del mio romanzo e non
avvertendo l’imperativo professionale di offrire al lettore una
doverosa informazione sul nuovo corso del “mafioso” Mandalà?
Forse non tollera che io scriva, e mi dicono che lo faccia anche
bene, rivelando allo stupito gregge abbeveratosi per anni alla
fontana delle verità omologate, un’altra verità sul bieco
“mafioso”, che non sospettava? Forse lo disturba l’impertinenza
di una penna fuori dal coro che dipinge nuovi scenari e denuncia i
piani di chi su questi scenari frusti e abusati ha costruito carriere
altrimenti impensabili e si sente scippato del giocattolo? O forse,
molto più cinicamente, ripescare e rilanciare la figura di un noto
“mafioso” in disarmo serve a promuovere ambizioni a buon mercato?
Tanto, si sa, con la carne dei mafiosi si può tranquillamente
banchettare. Qualcuno dei miei estimatori ha scritto che debbo essere
rinchiuso in un gulag e che mi si deve impedire di pensare e
scrivere. Niente di nuovo come si vede. Se parliamo di macelleria,
l’attrazione è fatale e il boato sale alle stelle, se parliamo di
riscatto, un silenzio assordante cala sulla scena e la delusione
prende l’animo dei malmostosi prevaricatori della vita altrui. E’
mafia questa? Lo è, ve lo garantisce uno che, a detta di una
sentenza definitiva, di mafia si intende.
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