L’Italia a pezzi
Quando si parla di mafia si è soliti fare riferimento
esclusivamente alla tradizionale criminalità organizzata rozza e sanguinaria
connotata da stereotipi abusati. Si stenta a percepire che esistono mafie meno
sanguinarie ma non per questo meno spietate che si annidano dentro lo Stato,
nelle sue propaggini e in santuari insospettabili, le ciniche e raffinate mafie
delle camarille e dei grumi di interessi, dei poteri fuori controllo, palesi o
occulti, che producono guasti più devastanti di quelli prodotti
dalla mafia tradizionale.
E’ all’attività di queste mafie che si deve lo stato di
salute dell’Italia che non è esagerato definire comatoso.
Il quadro è presto detto.
Siamo un Paese in cui l’economia è ridotta al lumicino, che non
ha più industrie degne di questo nome o meglio che, dopo la falcidia dei marchi
d’eccellenza dell’industria italiana ad opera di gruppi stranieri, può contare
su pochi capitani coraggiosi rimasti a resistere in una condizione di
precarietà che non lascia sperare nulla di buono.
Se i gruppi stranieri vengono a fare shopping in Italia ma
si rifiutano di lasciare i loro investimenti nel nostro Paese, se gli ultimi
epigoni dell’imprenditoria italiana sono tentati di non resistere più, ci sarà
un motivo.
Il motivo è l’inadeguatezza strutturale che la nostra classe
dirigente ha determinato per inettitudine o obbedienza a interessi consolidati
e disponibilità a prestarsi ad appetiti lobbistici.
Chi volete che venga da fuori a investire in Italia e perché
le imprese italiane non dovrebbero essere tentate di trasferirsi altrove, visto
che:
-
procedure infinite non garantiscono tempi certi sugli
esiti di una pratica o di un contenzioso, una selva burocratica nella quale è difficile
districarsi, una pressione fiscale fra le più elevate al mondo, sindacati
potenti e irragionevoli, costi di lavoro onerosi, penalizzano l’attività delle
imprese;
-
infrastrutture insufficienti e inefficienti,
autostrade, porti ( siamo costretti a smantellare la Concordia fuori
dall’Italia ), aeroporti, ferrovie, non garantiscono adeguati collegamenti;
-
lo Stato non paga i suoi debiti alle imprese e le
costringe a fallire;
-
una finanza allegra e assistita dallo Stato si dedica a
speculazioni cervellotiche e taglieggia le aziende.
E dove è la giustizia sociale in un Paese prigioniero di
consorterie dedite agli interessi di parte? Anche qui il quadro è fosco:
- la boscaglia di leggi è terreno di caccia
di una oligarchia che incrosta l’apparato statale, che
orienta la
produzione legislativa ispirando leggi caso per caso e la gestisce a piacimento
nel
suo
percorso di attuazione, che di fatto governa più della politica;
-
le imprese statali e parastatali, gli enti pubblici, le
banche, sono i luoghi dove imperversano
a
vita, di generazione in generazione, i soliti noti tanto incapaci
professionalmente e autori
di
disastri sui quali costruiscono impunemente le loro carriere, quanto
capaci di curare l’in=
teresse personale in preda a una
insaziabile fame di prebende. Non siamo più neanche capaci
di indignarci di fronte a emolumenti e
pensioni d’oro che si cumulano e che hanno si una
legittimazione legale ma non morale. Come
si è potuta legittimare una così smaccata offesa
al senso della misura e al buon senso tout
court?
- la
distanza tra i pochissimi che possono tutto e i moltissimi che non possono
nulla e pagano
il fio, si allarga sempre di più;
-
lividi burattinai razziano nell’ombra senza controlli e senza pagare
pegno.
E dove è la giustizia più in generale in un Paese in cui:
- la lunghezza dei processi tiene in sospeso
per decenni la vita dei cittadini e la sorte delle
imprese;
-
strutture carcerarie sovraffollate sfidano le leggi
della fisica in spazi dove i corpi umani sono retrocessi al rango di polli in
una stia;
- i suicidi in carcere sono ormai una realtà
che si ripete quasi quotidianamente;
- il 40% dei detenuti è in attesa di
giudizio grazie all’istituto della carcerazione preventiva
che fa scontare alla metà di essi
una detenzione che, grazie all’assoluzione, si rivelerà non
dovuta;
-
i dannati sottoposti ai regimi della carcerazione
speciale patiscono delle autentiche forme di
tortura che violano la carta
costituzionale oltre che i principi universali del diritto;
-
uomini e donne che hanno sbagliato ma che potrebbero
essere recuperati grazie ad un programma di rieducazione, sono lasciati alla
mercé della scuola del malaffare quanto mai attiva in carcere e, quando tornano
in libertà, non trovano opportunità di lavoro e tornano a delinquere;
-
la magistratura è ormai un corpo separato ( non nelle
carriere ) che, grazie al libero convin=
cimento quanto mai discrezionale,
ubbidisce a logiche proprie e non alla legge ed è protetta,
come ha scritto qualcuno, “da una
invulnerabile e iniqua irresponsabilità”.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti:
-
giovani senza futuro;
-
la genialità dei nostri talenti regalata a Paesi
stranieri;
-
pensionati senza serenità e costretti ad accollarsi il
mantenimento dei figli senza lavoro;
-
i fieri campioni di una borghesia che fu, retrocessi
nel girone dei nuovi poveri;
-
ectoplasmi senza identità e cultura che non sanno cosa
significa leggere un libro e si aggirano inebetiti fra le icone di una nuova
mitologia priva di contenuti;
-
il nostro patrimonio culturale che cade a pezzi. Musei,
biblioteche, reperti archeologici che erano il nostro vanto e rappresentano la
buona metà delle testimonianze artistiche del mondo intero, giacciono in preda
all’incuria. Quello che era al vertice del turismo internazionale, è diventato
un Paese che arranca nelle posizioni di rincalzo;
-
una natalità che si è arrestata e ci propone sempre di
più un Paese di vecchi condannandoci al rischio di estinzione;
-
inedia e mancanza di spirito di iniziativa, incapacità
di coltivare speranze in un panorama che non offre opportunità.
Siamo ormai un guscio vuoto in cui si mescolano inettitudine,
cialtroneria e la presunzione di una elite di maitres à penser che non hanno
nulla da insegnarci e parlano solo a sé stessi, ebbri del loro
autocompiacimento, avulsi dalla realtà e legati a miti frusti e duri a morire.
Siamo un popolo privo di identità che non ha l’orgoglio dell’appartenenza, che
ha privato i propri membri della dignità di cittadini e li ha trasformati da
sudditi della legge in sudditi dell’arbitrio, che si è piegato sotto il peso
della rassegnazione, che non ha obiettivi, mete da raggiungere e miti ai quali
rifarsi, non ha il coraggio di osare e vegeta in attesa di non si sa che. Siamo
un Paese nel quale il giornalismo dei Terzani e dei Montanelli che azzannava
alle caviglie i potenti, ha lasciato il posto ad un giornalismo accomodante che
si accuccia prono ai piedi del potente di turno e invece di raccontare la
verità la crea secondo convenienza. E’ciò che rimane dell’Italia di un tempo
che fu e che i nostri figli non hanno fatto in tempo a conoscere, un Paese dove
non abita più il nostro cuore, in cui il patto sociale è stato tradito dal
Leviatano che ha rovesciato il tavolo e ha stabilito che l’unico interesse
lecito è il suo, in cui una mafia scaltra, paludata, invasiva, subdola,
sgusciante e impunita, si è macchiata di un crimine molto più grave di quelli
commessi dalla sanguinolenta e stupida mafia tradizionalmente intesa, ha ucciso
una nazione.
Qualcuno si chiederà dove è la politica che dovrebbe
guidarci. La politica è un oggetto misterioso vuoto di idee e di contenuti, espressione
di un popolo che non esiste più, prigioniero di un potere che risiede altrove,
è una entità informe sulla quale non vale la pena di spendere una parola.