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lunedì 27 giugno 2011

La crisi del liberalismo

E’ tutto un rincorrersi di analisi che cercano di spiegare quella che viene definita la crisi del liberalismo. La crisi mondiale è stata letta in questa chiave ed è un affannarsi a proclamare che un’era è finita e che il paracadute dello Stato è l’unico rimedio che può aiutarci a navigare in un mare di insidie in cui i diritti dei singoli sono a rischio e possono essere tutelati solo se è lo Stato a regolare l’economia.
Trasferendo la lettura della crisi mondiale all’analisi della crisi di casa nostra, Angelo Panebianco sul Corriere di domenica 26, si è chiesto se il tramonto di Berlusconi si debba al tramonto internazionale del liberalismo di cui il premier sarebbe un “tardo epigono”o alle sue mancate promesse. Gli italiani che hanno sin qui sostenuto il berlusconismo, spaventati dalla crisi mondiale, avrebbero rinunciato ai principi liberali e si sarebbero rifugiati nello Stato, come dimostrerebbe l’esito degli ultimi referendum, o, delusi da Berlusconi e dalle sue promesse non mantenute ( privatizzazioni, liberalizzazioni ), lo avrebbero abbandonato al suo destino, come dimostrerebbe l’astensione di larga parte dell’elettorato di destra o addirittura lo spostamento dei loro voti sul fronte avverso? Panebianco propende per questa seconda spiegazione che è condivisibile a patto che ci si intenda su quali sono le promesse che gli italiani si aspettavano che Berlusconi mantenesse e ci si liberi di due premesse sbagliate, quella cioè che attribuisce a Berlusconi la capacità di essere un epigono anche se tardo del reaganismo e thatcherismo e quella che attribuisce all’elettorato di Berlusconi una cultura liberale. Il nocciolo dell’analisi è se in Italia esista una cultura liberale o tribale. Berlusconi, dopo avere acceso nel 1994 la speranza che finalmente in Italia fosse nata una nuova idea di liberalismo assente da sempre, un progetto che si rifacesse all’empirismo liberale inglese, una vera e propria rivoluzione, ha presto rivelato di che pasta è fatto tradendo assieme alle speranze dei professori che avevano scritto il catechismo di F.I., la sua autentica natura di imbonitore cresciuto alla scuola dell’effimero nel solco della migliore tradizione dei venditori di fumo, piuttosto che dei Reagan e delle Thatcher! A questa assenza di cultura liberale e di cultura tout court bisogna aggiungere le disinvolte condotte private che hanno concorso ad appannarne l’immagine. Sulla capacità degli italiani di rifarsi ad una cultura liberale, il discorso è ancora più sconfortante. In un Paese cresciuto all’ombra di interessi opachi e consolidati, che già agli esordi della sua vita ha dovuto fare i conti con una presenza ingombrante come il Vaticano e scendere a patti con i poteri forti, che via via nel corso della sua storia si è acconciato all’arte di compromessi scellerati come quelli che hanno visto Democrazia Cristiana e Partito Comunista accordarsi sottobanco sulla gestione del potere, soddisfare un welfare ingordo, privilegiare, nell’ambito di una economia regolata, il bisogno piuttosto che il profitto e, a questo scopo, gonfiare la spesa creando le basi dell’ abnorme debito pubblico, tutelare gli interessi corporativi a scapito del futuro degli italiani, creare enclaves inespugnabili, potentati inossidabili, classi di potere che tengono in una morsa ferrea qualsiasi tentativo di alzare la testa, ce ne volevano di attributi per scalzare tutto questo e ci voleva la spinta di un popolo meno disincantato del nostro che avesse nel suo DNA valori forti da rivendicare. Berlusconi non aveva la cultura e la voglia per portare avanti una rivoluzione liberale, né gliela chiedevano i suoi elettori, non erano certo le privatizzazioni e le liberalizzazioni che si aspettavano dal loro capo. Piuttosto che di traguardi ideali, gli elettori di Berlusconi, estromessi dai privilegi, resi orfani da tangentopoli, sentivano il bisogno di un Robin Hood capace di vendicarli, di rovesciare il tavolo e riscrivere le regole del gioco, di un totem all’ombra del quale accucciarsi, di un ulteriore centro di potere del quale sentirsi parte, e avevano creduto di individuare in Berlusconi il loro campione che campione è stato ma non certo degli interessi dei suoi seguaci. Berlusconi ha disatteso la cultura liberale che non gli è mai appartenuta, ha tradito il popolo delle partite Iva orfano sempre sotto tutti i cieli, e, impegnato nella difesa dei propri interessi personali, non ha avuto tempo e testa per difendere altri interessi, neppure quelli dei suoi seguaci che non fossero i soliti, intoccabili poteri forti!

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