E’ motivo di speranza la lettura dell’articolo del dr. Ingroia sull’ultimo numero di “ I Love Sicilia “.
Finalmente da una fonte autorevole e soprattutto da un addetto ai lavori giunge la denuncia di un malcostume tutto italiano che vede impegnata la stampa nell’esercizio di una disinvoltura che non ha tanti riguardi per la correttezza dell’informazione.
Dunque il dr. Ingroia lamenta che i media “interferiscono nel materiale processuale e rischiano di condizionare negativamente il corretto funzionamento delle regole del gioco”. Raccomanda prudenza, anzi serietà e il giusto approccio alla notizia. Se, per esempio, Graviano smentisce Spatuzza, questa, secondo il dr. Ingroia, non è una notizia, mentre lo è se Graviano conferma le accuse di Spatuzza. Nel raccomandare serietà ai media, il dr. Ingroia chiede che i media dicano solo le verità care ai PM!
Ma è proprio quello che hanno sempre fatto i giornalisti della giudiziaria in agguato nelle vicinanze degli uffici della Procura, lesti a intercettare gli impianti accusatori e proporli ai lettori come l’unica verità. Una stampa appiattita sulle posizioni della pubblica accusa, fa i processi in piazza e consegna l’imputato nelle vesti di colpevole ad una opinione pubblica che a sua volta non fa sconti, emargina e sancisce la gogna. E’così che vicende giudiziarie infinite si traducono in una dannazione che colpisce vite e affetti e sfregia reputazioni. Personalmente ho sperimentato le conseguenze della mia vicenda giudiziaria tutte le volte che è emersa la mia identità di imputato di mafia e ho dovuto fare i conti con la reazione di chi si è affrettato a prendere le distanze da me. E a nulla è valso che abbia denunciato le manipolazioni della mia vicenda da parte di giornalisti che mi hanno palesemente diffamato attribuendomi reati e ruoli che la stessa Magistratura requirente non mi ha mai contestato. Tutto è stato inutile perché la Procura ha sempre archiviato.
Adesso però sono più fiducioso perché, se il dr. Ingroia raccomanda maggior serietà ai media quando si occupano delle condotte dei magistrati, posso aspettarmi che la stessa serietà sia riservata ai comuni cittadini come me, e soprattutto che la prossima volta la Procura tratti con maggiore severità i miei esposti.
E visto che parliamo di serietà e senso della misura, voglio tornare a quindici giorni fa, a quando il senso della misura è stato superato dalla reazione alla scarcerazione dei quattro fiancheggiatori di Provenzano. Adesso la Cassazione si è pronunciata, i quattro sono tornati definitivamente in carcere e non turbano più i sonni degli intransigenti sacerdoti di una implacabile giustizia che considera gli imputati dei nemici da abbattere e infierisce sui diritti pur di infierire sugli imputati.
E’ vero che stiamo parlando di cittadini di serie inferiore ma mi hanno insegnato che è il principio che conta e se il principio non vale per i cittadini di serie “B”, finisce per non valere per nessuno e allora c’è di che preoccuparsi.
Dunque quattro sciagurati che avevano già scontato i tre quarti della pena loro inflitta in primo e in secondo grado, sono stati scarcerati perché la Corte di Appello che li aveva condannati, ritenne che fossero stati superati i termini di custodia in assenza di una sentenza definitiva. Reputò che cinque anni di carcere della cui legittimità non si era sicuri, erano troppi anche per degli imputati, presunti mafiosi quanto si vuole, ma anche presunti innocenti.. Apriti cielo, si scatenò una tempesta in un bicchiere d’acqua, si parlò di fatto inconcepibile e di default della giustizia, l’on. Lumia si spinse fino a dichiarare che “una falla del sistema giudiziario aveva consentito ai boss di farla franca”. Avere scontato cinque dei sei o sette anni di pena loro inflitta, nonostante non si avesse ancora certezza della loro colpevolezza, significava averla fatta franca? E se la Cassazione si fosse pronunciata per la loro innocenza? Dove era in ogni caso il problema e dove il rischio per la società? Certo non nel pericolo che i quattro si dessero alla latitanza vista l’esiguità della pena da scontare. E allora?
La spiegazione ce l’ha fornita Bianconi sul Corriere della Sera del 5 giugno: “ E’ un brutto segnale che quattro presunti mafiosi condannati in primo e in secondo grado per avere favorito la latitanza di Provenzano escano di galera perché la sentenza definitiva non è arrivata in tempo, è sintomo di un sistema dove gli ingranaggi si inceppano ancora”. Appunto è un brutto segnale che gli ingranaggi si inceppino e permettano che quattro imputati scontino quasi tutta la pena prima che sia confermata definitivamente la loro colpevolezza. E’ un brutto segnale che susciti tanto scandalo il fatto che, grazie ai ritardi della giustizia, quattro imbrattatele escano dal carcere dove non hanno più titolo di restarvi, e non susciti altrettanto scandalo nei farisaici indignati a senso unico il fatto che gli stessi ritardi condannino gli imputati, oltre che a lunghi anni di detenzione che possono non essere dovuti, a un limbo di decine di anni in cui le vite e le reputazioni fanno in tempo a essere sconvolte, prima che si giunga a sentenza definitiva. E altro brutto segnale è stato assistere alla contesa scoppiata tra Corte d’Appello di Palermo e Cassazione con cui venivano rimpallate le responsabilità della scarcerazione. Il Presidente della Corte d’Appello ha addirittura accusato la Cassazione di avere dato sulla materia relativa ai termini di scadenza indicazioni contrastanti! Un bell’esempio di certezza del diritto e di decoro della Magistratura!
Adesso i nostri quattro sono tornati in carcere, ma quando, fra qualche mese, dopo avere scontato l’intera pena, usciranno, cosa facciamo? Li interniamo in un gulag? I duri e puri della giustizia senza tanti riguardi per le pretese di qualche irriducibile garantista, non disperino, un rimedio si troverà e, come ha rassicurato l’on. Gasparri,” Il ministro della Giustizia saprà intervenire ancora una volta per porre rimedio a questa grave inefficienza dei magistrati”. Quel che conta è la sicurezza dei cittadini non il diritto e dunque qualcosa si farà contro questi quattro sfrontati che, saldato a torto o a ragione il loro debito con la giustizia, pretenderanno di tornare in libertà.
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