Dopo tanti anni torno a parlare con Alberto e finalmente possiamo regolare i nostri conti a proposito di una vecchia disputa, iniziata prima che mi arrestassero, su “L’anima e il suo destino” di Vito Mancuso.
Alberto è un inossidabile estimatore di Mancuso e ne sottoscrive ogni rigo compreso il tentativo di reinterpretare il Cristianesimo quale sede di valori etici piuttosto che trascendenti.
Dibattiamo sul fascino di un libro che divide ma che indubbiamente offre stimolanti spunti di riflessione.
L’autore affronta il problema della sorte dell’uomo affidato alla Natura che lo indirizza secondo i suoi canoni “strappandone il destino di vita immortale alla religione e consegnandolo all’etica che a sua volta non si fonda su sé stessa ma rimanda all’ordine naturale”.
Insomma Mancuso si muove nel solco del panteismo di Spinoza e Bruno e, facendo suo il concetto stoico di universo armonioso, giusto, ordinato, bello, logos, “legge cosmica che governa il mondo ed anche la nostra mente”, strizza l’occhio alla teologia naturale e al suo tentativo di saldare il cristianesimo allo stoicismo, la teologia alla scienza, la fede alla ragione.
Secondo la teologia naturale noi esseri umani veniamo creati dalla natura – phisis che contiene in sé il suo fine, la sua etica che rimanda all’ordine naturale, senza bisogno di interventi soprannaturali.
La stessa anima viene dal basso.
Ma se gli esseri umani provengono dalla natura – phisis “mediante un lungo processo evolutivo che parte dall’esplosione delle stelle di terza generazione da cui è fuoriuscito il carbonio a base della vita”, se “la saggezza solidale” e la capacità d’amare è spiegata “dalla scoperta di neuroni specchio che creano un meccanismo di base fisiologico in cui la felicità altrui è anche la nostra”, è accettabile per il cristiano rimandare tutto all’etica dell’ordine naturale? Evoluzione si, intelligente quanto si vuole, ma votata a cosa?
Alla fede del cristiano che vola nei cieli della trascendenza, riesce difficile accettare una teologia che obbedisce solo ad un etica fondata sull’ordine naturale.
La fede del cristiano ha bisogno di sapere che l’uomo rientra nel progetto salvifico di Cristo, che è amato da Lui e con Lui si ritroverà dopo questa vita, anzi già in questa vita e che la speranza, come dice il Papa, è certezza contenuta hic et nunc in noi figli di Dio che abbiamo innato un che di divino dal quale proveniamo e al quale tendiamo. La storia della filosofia è la storia di come l’uomo cerchi la salvezza contro l’angoscia della propria finitezza e l’ordine naturale immanente all’essere che rimanda ad una dimensione etica, non risponde alla sua domanda di salvezza, Il cristiano va oltre l’immanenza dell’etica con la trascendenza dell’amore, fa coincidere l’uomo con Gesù stesso” riprovato per eccellenza” che toglie i peccati del mondo, lo monda e lo divinizza, lo salva fornendogli una ragione d’amore. L’uomo che nasce da Dio “conserva nella memoria un confuso ricordo di quella comunione con il suo Creatore e vuole ricongiungersi con Lui” (Giorgio Montefoschi) facendosi Cristo e annullandosi in Dio come ultimo grado d’amore. La ragione, è lo stesso Mancuso a dirlo rifacendosi a Kant, non è solo quella che ci fa verificare materialmente le cose ma quella secondo cui è vero anche “ciò che non si può direttamente verificare ma che per la sua intrinseca nobiltà, bellezza morale e capacità di produrre il bene, muove e riempie le nostre vite”. C’è chi dice che la ragione si ferma sulla soglia della fede che è zona di mistero, il Papa sostiene che fede e ragione sono complementari e che “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. Ma quale ragione?
Persino un panteista come Spinoza ha affermato che Gesù ha predicato una religione della ragione che considera l’amore il valore più alto, un amore, che secondo lui, è rivolto sia verso Dio che verso il prossimo. Una ragione, aggiungiamo, in una accezione mai prima conosciuta di cui l’uomo, pur creato per il bene, prende coscienza solo con l’incarnazione di Cristo, una ragione di estremo amore che è fondamento di fede. Gesù, con l’incarnazione, viene a suggellare che il destino dell’uomo non si esaurisce nella sua appartenenza alla natura e alle sue leggi, che il suo rapporto autentico e definitivo è con Dio, che in ogni giorno, in ogni momento della sua vita si rinnova l’alleanza con Lui che coinvolge il quotidiano, le singole vicende, ogni battito delle nostre ciglia e del nostro cuore che quando preghiamo non preghiamo il Principio Ordinatore ma il Padre del quale e dal quale siamo impastati, che, amando Dio, ci tuffiamo nella fede laddove “l’acqua ha la profondità di settantamila piedi” e ci abbandoniamo al “terribile cadere nelle mani di Dio vivente” (Kierkegaard).
Il cristiano che affronta la vita con la mente e con il cuore e percepisce che il cielo vive dentro di noi, che la vera realtà è la nostra anima pura, senza veli e in comunione con Dio, in comunanza con la ragione che ci ha dettato Cristo, non può che rimandare l’origine di tutto alla trascendenza, cioè al soprannaturale e alla fede. E’ il destino dell’anima.
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