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martedì 3 novembre 2009

Ergastolo


La sentenza è letta col tono monotono di chi ha confidenza col dolore altrui e ha imparato a ignorarle: ergastolo! Do una occhiata ai familiari della vittima che, pur non riuscendo a nascondere un moto di soddisfazione, ostentano una composta indifferenza. La stessa che ostento io e con la quale ho imparato a difendermi dopo anni di sofferenze. Percepisco la mostruosità della mia indifferenza sentita come una seconda pelle che l’organismo ha tessuto, anno dopo anno, faticosamente e con ostinazione, contro gli assalti della disperazione.
Attorno a me osservo atteggiamenti fintamente noncuranti misti a scene di pianto sommesso e pudicamente soffocato ma alla fine lasciato libero di travolgere i propositi di forza proclamati prima della sentenza.
Di sottecchi sbircio mia figlia, impassibile, piegata in avanti, una smorfia sulla bocca sottile, il corpo più minuto del solito quasi che la condanna del fratello l’abbia ulteriormente rimpicciolita, gli occhi sbarrati e fissi sul volto scarno.
La cingo con le braccia mentre guadagno l’uscita e dalle viscere contratte sento montare una nausea che mi stordisce.

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