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lunedì 28 settembre 2009

MI PRESENTO

Sono Nino Mandalà appena uscito dal carcere e deciso a dare testimonianza di un mondo sconosciuto ai più, testimonianza nata dalle interminabili discussioni dei “peripatetici” dei cortili carcerari che hanno passeggiato per chilometri e per anni con l’angoscia annidata nel cuore. I fantasmi di questi uomini affollano le mie notti e ad essi va il mio pensiero commosso, con essi mi sento ancora compagno, assieme ad essi continuerò a percepirmi detenuto e come tale mi proporrò nelle mie testimonianze.
Affiderò a questo sito riflessioni maturate in carcere ed altre che via via maturerò a contatto con quella libertà infida che attende al varco noi ex-detenuti con le sue trappole e i suoi pregiudizi duri a morire. Darò voce a uomini murati vivi oltre che dalle barriere fisiche anche dalla crudeltà e dall’indifferenza che, grazie a quella straordinaria “agorà” che è la rete,varcheranno le mura della prigione e riconquisteranno un po’ della perduta libertà. Scriverò di carceri e di giustizia ma affronterò anche tematiche sulle quali l’uomo si è sempre interrogato. Lotterò, urlerò la rabbia di tanti disgraziati e la mia che ho accumulato in lunghi anni di detenzione e che continuerò ad accumulare grazie ad uno Stato stupido e vendicativo.
Dall’introduzione alle “Ragioni della tolleranza” di Salvatore Parlagreco traggo e sottoscrivo: “ La democrazia può degenerare in forme di dispotismo quando eventi contingenti richiedono una sospensione parziale o temporanea dei diritti dei cittadini. Qualche volta lo Stato si trova a dover scegliere fra la libertà e la sicurezza. Il cittadino paga la sicurezza in termini di libertà. È lecito sospettare, ogni volta che ciò accade, un interesse, una manipolazione del consenso, una inefficienza degli organi incaricati di proteggere i cittadini e lo Stato dai criminali, dai mafiosi e dai terroristi […]. Sia i regimi democratici che i regimi dispostici si sono serviti dell’allarme sociale per giustificare la violenza legale e le regole illiberali […]. I luoghi della giustizia esercitano talora l’ingiustizia”.
“ Quello immediatamente successivo all’arresto è un momento magico” è la terribile affermazione attribuita da Bruno Vespa al procuratore di Torino, Marcello Maddalena, ai tempi di Tangentopoli ed essa, se vera, è la cifra dell’impietoso atteggiamento di certi magistrati che non hanno nelle loro corde l’ammonimento sine ira et studio con cui Tacito negli Annali invita alla sobrietà nell’amministrazione della giustizia. Il giudice che non è capace di riservare in un angolo del suo cuore la pietà per la sorte del reo e che anzi gode della sua malasorte, ha annidata in sé l’animosità che presidierà ad una sentenza ingiusta e ispirerà l’applicazione di una detenzione crudele.
È in questo clima di rancore che lo Stato italiano ha “esercitato l’ingiustizia nei luoghi della giustizia” ed è venuto meno al suo compito di mitigare la necessità della detenzione che anzi ha reso più dura infliggendo condizioni di vita intollerabili. È questo lo Stato con cui dobbiamo fare i conti e non solo, perché l’arbitrio e il pregiudizio assumono anche le sembianze di forcaioli a caccia di prede che promuovono condanne evocando “il giudice che abita assieme a noi e che ci chiama sul banco degli imputati mostrandoci robuste catene e solide prigioni in un processo che si trasferisce nella nostra coscienza e scopre colpe di cui non immaginavamo l’esistenza” (Parlagreco dal commento al “Processo” di Kafka). A questi sacerdoti dell’intolleranza che ci “infliggono la più raffinata delle torture che si può infliggere ad un essere umano, quella di dimostrare momento dopo momento la propria innocenza” (Parlagreco), non concederò sconti.
A quanti infine tenteranno di manipolare il mio pensiero accusandomi di simpatie per la mafia, dico che il mio garantismo non prevede indulgenze nei confronti dei rei le cui responsabilità, se accertate, è giusto che siano punite (ci mancherebbe), ma ho ferma l’idea che sia altrettanto giusto garantire il rispetto delle regole nei confronti dei rei, persino nei confronti del peggiore di essi.

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