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lunedì 28 settembre 2009

Della giustizia in Italia

Le vicende giudiziarie fanno emergere tratti comuni ai buoni come ai cattivi, la stupidità e la cattiveria, frutti avvelenati della consuetudine con il male.
Passi per i cattivi che del male hanno fatto una scelta di vita, ma i buoni?
Ebbene anche essi, i giudici che hanno scelto di combattere il male, a causa della loro familiarità con il mondo del crimine, hanno concepito un pessimismo intransigente dal quale si lasciano guidare nella loro azione giudiziaria. In conseguenza di ciò esercitano la loro funzione con una severità priva di pietas, con una incapacità di capire che episodi, contesti e quant’altro possono nascondere un colpevole ma anche un innocente, con una intolleranza che li induce a comportamenti sacerdotali da cui fanno discendere assiomi non sfiorati da dubbio alcuno. Tutto ciò porta a risultati devastanti non solo per la vita di tanti uomini ma per la stessa credibilità della giustizia amministrata con la stessa disinvolta crudeltà della criminalità che combatte.
Gli uomini dello Stato, assieme a sacrosante battaglie contro, non hanno saputo combattere battaglie altrettanto sacrosante per, ad esempio in difesa della dignità della persona ed anzi si sono macchiati di offese contro di essa. E’ difficile che sia compresa da parte di chi non ha vissuto esperienze giudiziarie nel nostro Paese, la disperazione di chi ha subito vicende kafkiane senza che siano state rispettate le regole ed anzi essendo state truccate le carte. E’ difficile immaginare la scarsa considerazione in cui è tenuto il destino di presunti innocenti da parte di alcuni magistrati convinti che è loro compito redimere la società piuttosto che amministrare la giustizia non curandosi se sull’altare della loro “missione” debba essere sacrificata qualche vita. Fassino, all’epoca del suo incarico al dicastero di grazia e giustizia, a proposito della separazione delle carriere dei magistrati, ebbe a dire che la separazione avrebbe danneggiato l’imputato perché, mutando la veste del P.M., sarebbe stato sottratto un contributo in più all’accertamento della eventuale innocenza dell’imputato cui la pubblica accusa è per legge tenuta. L’ingenuità e la buona fede di Fassino cozzano contro i quotidiani episodi di cui sono protagonisti i P.M. che sottraggono all’esame del giudice elementi a favore dell’imputato.
E non è tollerabile che ad un quadro così drammatico, in cui è a rischio il diritto di tutti, faccia da cornice la pavidità dell’ordine forense e il silenzio osceno di una stampa bacchettona e vile che non sa intestarsi, salvo rare eccezioni, battaglie scomode, limitandosi a diffondere le veline che le vengono passate dal Palazzo. Platone nel 1° libro di Repubblica fa dire a Trasimaco “La giustizia non è nient’altro che l’interesse del più forte.” Credo che, nonostante lo sforzo di Socrate di capovolgere la tesi di Trasimaco, questa rimanga purtroppo una verità amara e ancora oggi attuale.

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