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venerdì 26 ottobre 2018

La favola della democrazia diretta


I nuovi arrivati ai vertici del potere, in preda ad una insopprimibile sindrome di  hybris, ci ossessionano con il mantra della legittimazione elettorale: secondo questi signori, i soli che meritano di essere presi in considerazione sono gli eletti anche se inetti. Issati a bordo del potere a furor di un popolo con la bava alla bocca che ha come unico scopo quello di farla pagare a chi li ha li ha lasciati eredi del disastro attuale, questi miracolati non hanno saputo cogliere l’occasione offerta dalla loro buona stella e trasformarla in opportunità. Nella presunzione che il suffragio li esima dalla competenza, non hanno avvertito il senso del ruolo insperatamente conquistato e non si sono sforzati di realizzare il bene dei cittadini con l’arte del possibile ma, al contrario, si sono prodotti in una vera e propria eterogenesi dei fini proponendo rimedi che rischiano di peggiorare anziché migliorare le condizioni di salute dell’ammalato. Si scagliano contro la democrazia rappresentativa che affida il compito di governare alle élite selezionate attraverso un lungo percorso formativo, pretendendo di realizzare la cosiddetta democrazia diretta che manda al potere i campioni di un velleitarismo e di un pressappochismo il cui indirizzo all’azione politica è dettato dal gradimento di una base fanatica che trasmette veleni anziché saggezza. Il coraggio della solitudine degli uomini di Stato che sanno andare controcorrente pur di fare il bene comune, è un ingrediente che non appartiene agli attuali governanti  i quali sanno solo perseguire l’obiettivo contingente del consenso ad ogni costo, anche a costo di sfasciare la macchina dello Stato. Evocano pericoli esterni, si scagliano contro fantomatici poteri forti e contro l’Europa matrigna (che ha tanto da farsi perdonare per avere tradito la sua vocazione solidale adottando una politica restrittiva che ha scoraggiato la crescita, fatto diminuire il PIL,  aumentare il debito e ha contribuito a innescare rigurgiti “sovranisti”,  ma alla quale non c’è alternativa che non sia l’isolamento con  conseguenze facilmente immaginabili), quando invece l’unico vero pericolo arriva dai mercati, giudici inflessibili che non cedono alla suggestione dei proclami. I numeri, veri indicatori del nostro stato di salute, dicono che lo spread ha superato quota 300, che il nostro debito pubblico è il più elevato d’Europa, dopo quello greco, che lo spettro del piano B è ancora dietro l’angolo nonostante le rassicurazioni, che l’aumento del deficit rispetto al PIL serve solo alla spesa corrente e ad alimentare un assistenzialismo improduttivo e non una  crescita che nelle proiezioni degli analisti è addirittura dato sempre più  in coda al treno europeo, che prima o poi si porrà mano alla falcidia dei risparmi privati, che i proclamati investimenti pubblici e le ventilate riforme strutturali sono smentiti dalla tentazione di abbandonare alla incompiutezza opere straordinarie e strategiche per il futuro del Paese, con enormi ricadute in termini di occupazione e sviluppo, quali la Tav, la Tap, il tunnel del Brennero scavato già per 90 chilometri e costato 1,8 miliardi,etc., e di imbarcare nel carrozzone pubblico aziende decotte come l’Alitalia. Questo scenario da ultima spiaggia è sotto gli occhi dei mercati i quali traggono le loro conclusioni con spietata coerenza. Cercare altrove responsabilità è strumentale e disonesto.          

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