Se fossimo un popolo che ha a cuore il proprio destino
dovremmo sentire il puzzo di carne marcia che esala dal nostro organismo in
putrefazione. Siamo un Paese allo
sfascio e la finanza allegra alla quale si dedicano i grillini ricorda l’anima
spensierata dei governanti che li hanno preceduti e lasciati eredi di vizi
antichi. Questi strani personaggi piombati sulla scena politica e il loro capo,
l’on. Di Maio, più che a politici somigliano ad un allegra brigata di fanciulli
che si baloccano con un giocattolo più grande di loro trotterellando sul
cavallo a dondolo della decrescita felice.
L’on. Di Maio ha nel volto glabro di bambino mai cresciuto le fattezze
di un pierino capriccioso che scambia le favole con la realtà e fa le bizze se
non viene accontentato. Calca la scena nazionale e internazionale come fosse il
cortile di casa e gioca le partite dei grandi dove sono in ballo le sorti delle
nazioni come una partita a tresette nel circolo di quartiere. Il guaio è che egli è solo la punta dell’iceberg
di una massa informe, incapace di pensare, sedotta dagli spin doctor che manipolano
le menti e drogano la rete inserendo in essa veleni che incitano alla rivolta e
producono refrains demenziali. Siamo alla dissennatezza in libera uscita e Di
Maio ne è l’interprete più autentico. Vedere all’opera il nostro vice
presidente del Consiglio fa tremare i polsi. Poiché è stato eletto dal popolo l’on.
Di Maio ritiene di potersi permettere tutto, anche di infischiarsi della
Costituzione e di ribaltare prassi collaudate, piegare uomini e regole ai suoi
capricci, chiedere avventatamente l’impeachment contro il Capo dello Stato,
fare la guerra alle autorità indipendenti accusandole di essere nemiche del
popolo, fuggire dalle proprie responsabilità ed evocare fantomatici congiurati che
tramano nell’ombra, condurre battaglie che appaiono generose ma che sono velleitarie. La battaglia in difesa dei più deboli di cui
pretende di farsi unico interprete l’on. Di Maio, è sacrosanta e non è certo
lui che ce lo deve ricordare perché essa rientra tra i compiti fondamentali della
politica, ma è altrettanto saggio non fare correre nel nome di questa battaglia rischi
mortali al Paese con ricette suicide. Ed
è sacrosanta anche la battaglia contro la finanza globale che ha ormai preso il
sopravvento sulla politica, una battaglia che però deve sapere recuperare
anziché demonizzare la politica, l’unico strumento, se utilizzato in maniera
virtuosa, di cui disponiamo a sostegno della
stessa sopravvivenza della democrazia e della lotta a favore dei più deboli. Gli
avversari politici infine non sono nemici da mettere all’indice solo perché osano
opporsi al dogma del pensiero unico predicato dal nostro, essi al contrario hanno
il merito di dare un contributo di idee che possono essere condivise o no ma
che sono legittime e utili al dibattito politico. Issato dal popolo ai vertici
dello Stato, preso di sé e della presunzione di operare miracoli come
nientemeno quello di abolire la povertà, l’on. Di Maio svolge diligentemente e
più o meno consapevolmente il ruolo di utile idiota al servizio del famigerato
piano B di cui si è infatuato probabilmente perché non ha ben ponderato la
portata delle conseguenze che ne deriverebbero. Quando da piccoli giocavamo a
mosca cieca capitava spesso di dovere fare i conti con bizzosi compagnetti che
non accettavano le regole del gioco e pretendevano di imporre quelle che gli
suggeriva l’educazione al soddisfacimento del loro ego impartita da genitori
inadeguati. I progenitori di Di Maio, purtroppo per noi, non sono inadeguati ma
perfidamente capaci di confezionare il pupo che interpreta fedelmente la parte
che gli è stata assegnata. Ci sorge però un dubbio, forse non abbiamo capito un
bel nulla, forse non abbiamo capito che il nostro Richelieu pensa con la
propria testa e ha una propria strategia, quella cioè di andare ai materassi
(lo ha scritto a suo tempo Grillo), cavalcare l’ira della gente perpetuando un
clima di conflitto in cui agitare la solita bandiera populista che colmi il
vuoto nel quale volteggia la sua distopia e, anche grazie alla concessione di
mance assistenziali, continuare a incassare dividendi elettorali. Un’altra
spiegazione potrebbe essere la voglia di rivincita di chi, baciato dalla
fortuna, si è ubriacato del suo nuovo stato, ha perso il senso della misura e,
come tutti i nuovi arricchiti, si prende la sua brava rivincita abusando del potere
conquistato e illudendosi così di riscattare il suo passato di travet. E l’interesse del popolo? Quella è un’altra
storia che non ha niente a che vedere con la battaglia dell’on. Di Maio.
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