Ero convinto con Churchill che la democrazia fosse la
peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre, ma ci ha pensato Di
Maio a mettere in crisi le mie convinzioni: grazie a lui ho scoperto che non
c’è niente di peggio di una democrazia capace di eleggere alla guida del Paese uomini
come il nostro vicepremier. Non varrebbe la pena di aggiungere altro
all’impareggiabile palmarès di questo incorreggibile gaffeur, ma le
performances che egli sforna a getto continuo suscitano reazioni pavloviane cui
è difficile sottrarsi. Uno che prima di governare l’Italia si è distinto per avere
ricoperto l’alto incarico di steward al S.Paolo di Napoli, si permette di trinciare
giudizi sui massimi sistemi senza avvertire i limiti della sua inadeguatezza.
Seduto sul trespolo, questo campione del rigore politico che già ci aveva
folgorati sulla via dell’impeachment al Capo dello Stato e ci aveva deliziato
sulle “manine” che, secondo lui, hanno inserito “a sua insaputa” norme in
provvedimenti del governo di cui lui è una delle guide, adesso si produce
nell’ultima delle sue imprese bacchettando nientemeno che Mario Draghi colpevole
di “ avvelenare nonostante sia italiano il clima ulteriormente”, solo perché ci
mette in guardia dai pericoli dello spread. Come se fosse scontato che Draghi,
per il fatto di essere italiano, debba rinunciare alla sua indipendenza di
giudizio e compiacere Di Maio. Evidentemente
al nostro giovane ministro sfugge il dettaglio che Mario Draghi è il Presidente
della BCE, che il suo ruolo gli impone l’obbligo di proteggere le sorti
dell’economia europea da iniziative che ritiene rischiose per esse e gli da il
diritto di esprimere il suo dissenso forte e chiaro in assoluta autonomia
persino rispetto al suo passaporto. E’ chiaro che svolgendo il suo incarico con
rigore e competenza come ha dimostrato di sapere fare Draghi guadagnandosi il
rispetto e la stima del mondo intero, fa anche l’interesse dell’Italia non
avallando iniziative scriteriate come pretende Di Maio e anzi mettendo in
guardia il suo Paese da quelli come lui. Ma stiamo parlando di una etica che
sfugge al nostro statista il quale si abbevera alle farneticazioni della rete e
disprezza il sapere, considerandolo una forma
di arroganza. E
a proposito di etica, un breve commento in margine alle reazioni suscitate
dalla sentenza di Strasburgo che ha condannato l’Italia per avere continuato ad
applicare il regime di 41 bis a
Provenzano nonostante le sue condizioni di salute. Contro di essa dalle parti
dell’universo gialloverde, in particolare da parte di Salvini che nella
circostanza ha definito l’Europa un inutile baraccone, si sono levate, puntuali, indignate proteste per quella che ritengono
una invasione di campo e un tentativo di mettere in discussione il 41 bis, e si
è sostenuto che nessun diritto è stato violato visto che Provenzano è stato
curato al meglio in una struttura ospedaliera. E’ appena il caso di ricordare a
questi misericordiosi farisei che anche gli animali destinati al macello
vengono pasciuti con gli alimenti migliori affinché le loro carni arrivino
nelle tavole dei consumatori più saporite. Ma qui si sta parlando di un uomo e del
suo essere ontologicamente inteso prescindendo dai suoi predicati accidentali, di
cui ha scritto un certo Aristotele, e non credo che lo Stato italiano, il quale
giustamente ha inflitto a Provenzano le dure pene che meritavano le sue colpe, abbia
rispettato negli ultimi suoi giorni di vita il suo essere in quanto tale prescindendo
dalle sue colpe. Credo piuttosto che l’Italia si sia lasciata prendere la mano dal
ricordo della empietà di Provenzano e in omaggio ad essa abbia tollerato che un
uomo ridotto a vegetale continuasse a subire la tortura del 41 bis. E’ questo
che ha sanzionato Strasburgo, non il 41 bis in sé, e questo, con tutto il rispetto
per il punto di vista dei nostri censori,
è un richiamo alla giustizia da non confondere con la vendetta.
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