Da cronista impegnato a inseguire per i vicoli di Scampia notizie
sui fatti di sangue della camorra, a icona della galleria delle patacche
allestita dai sacerdoti del politicamente corretto, Saviano ne ha fatta di
strada. Star tra le più ambite nei
salotti che contano, al punto da essere stato ricevuto all’Eliseo e avere
vissuto una serata da protagonista a casa di Bernard-Henry-Lévy, idolo dei talk
show che se lo contendono trattandolo come un oracolo, egli è l’esempio di come
dal nulla nasce un mito. La fulminea escalation del guaglione rampante si inquadra
nella necessità della nomenklatura intellettuale imperante di sostituire vecchi
arnesi, contrabbandati per anni quali paladini dei diritti fondamentali e nel
frattempo andati in pezzi, con nuovi campioni
improbabili ma utili ad alimentare il mito di un déjà-vu caduto in disgrazia. E’
una necessità che non riguarda solo la galassia italiana tanto è che l’inossidabile Bernard Henry-Levy, cui non fa
certo difetto la faccia tosta e che è stato uno degli artefici della crociata
contro Gheddafi millantando la difesa dei diritti umani, con i risultati che
sono sotto gli occhi di tutti, non pago del suo capolavoro, si è lanciato nella
nuova titanica impresa di portare sugli scudi nientemeno che Saviano
difficilmente individuabile quale titolare di meriti che giustifichino la sua accoglienza
come ospite d’onore in uno dei salotti più esclusivi dell’intellighenzia francese.
Pur di issare uno straccio di vessillo ideologico lo spocchioso Henry-Levy è
disposto ad accontentarsi di un tribuno che ha saputo dargliela a bere, senza
star lì a fare troppo lo schizzinoso. D’altronde in fatto di patacche la
Francia non è seconda a nessuno, avendo essa ospitato nientemeno che nelle
vesti di rifugiati politici, fior di galantuomini come Toni Negri e Cesare
Batisti, fatte naturalmente le debite differenze. I nostri intellettuali dal
loro canto, a corto di argomenti e di eroi, sconfitti in tutti i campi in cui
si sono cimentati e dove hanno lasciato solo macerie, hanno eletto a loro campione Saviano il quale
non si è fatto pregare e, investito del ruolo, non ha esitato a proclamarsi la
coscienza più autentica di una Italia virtuosa. Ispirandosi a categorie
manichee egli stabilisce cosa è giusto o cosa non lo è, chi è santo e chi è
diavolo, se condannare Salvini che, essendo un diavolo non può non avere violato
la legge, e assolvere Mimmo Lucano che ha, si, violato la legge ma con i panni
del santo. Niente di nuovo in un universo che da sempre procede per dogmi, in
cui si fa valere il principio di due pesi e due misure a seconda della
categoria di appartenenza, ma non lamentiamoci poi se i barbari sono alle
porte. Nessuno disconosce i meriti e il coraggio di Saviano dimostrati nella
sua denuncia dei misfatti della camorra e l’idea di privarlo della scorta è
insensata, ma è altrettanto insensato fare di lui il re travicello che decide
che cosa è giusto e cosa non lo è. Il signor Saviano costruisca pure sulla sua
vicenda una fruttuosa rendita di posizione ma per carità non pretenda di
colonizzare le nostre coscienze raccontandoci che la sua coscienza è più
consapevole e candida della nostra.
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