Leggendo un brano dell’intervento
sulla vanità in cui Claudio Magris, ospite alla Milanesiana,
distingue tra la vanitas che guarda con pessimismo alla caducità
umana e la vacuità pretenziosa di chi si compiace di sé, ho
maturato ancora di più la convinzione che la vacuità è uno dei
tratti identitari di certi intellettuali di oggi, esemplari
prosopopeici di una fauna che si arroga il monopolio di pensare e il
diritto di stabilire ciò che è giusto o no “usando il marchio
dell’infamia ideologica”(Galli della Loggia). Ad essi è concesso
tutto. E’ concesso per esempio a Bernard-Henri Levy di liquidare
con epiteti spregiativi quanti hanno votato a favore della Brexit,
infischiandosi del fatto che questa scelta, anche se può non essere
condivisibile, è tuttavia la scelta del 52% degli inglesi. I signori
inglesi sono serviti, adesso sanno che essi sono in maggioranza
“volgari”, “incompetenti”, “ignoranti”, “cretini”,
mentre invece sono dei geni quelli come il signor Levy che con la
loro spocchia hanno allargato il fossato con una opinione pubblica
ormai stanca, che si è ribellata al proprio destino di agnello
sacrificale e ha deciso di ricorrere agli strumenti “rozzi” che
le suggerisce la pancia, la sola ragione di cui dispone contro
l’emarginazione decretata dal colonialismo degli ottimati. La
supponenza e la presunzione sono le costanti ricorrenti presso gli
intellettualoidi sotto tutte le latitudini e lasciano sul terreno le
macerie di crociate improbabili che hanno come unico obiettivo quello
di lustrare il blasone di carriere altrimenti impensabili. Nelle
nostre contrade imperversano gli aspiranti intellettuali che hanno
preso in prestito la croce di Adenauer e hanno stilato nelle colonne
di destra e di sinistra l’elenco di ciò che è degno o indegno
secondo categorie morali che hanno sancito stabilendo capisaldi dai
quali non si può derogare. Non si può derogare per esempio dal
dogma che la costituzione italiana è la più bella del mondo ed è
immodificabile, non si può derogare dall’assioma che a destra
milita tutto il becero e a sinistra fanno bella mostra di sé le
stimmate delle magnifiche sorti e progressive della nostra bella
Italia, non si può derogare dall’impostura che la nostra
Repubblica nasce dalla sola matrice stabilita dai vincenti, che la
magistratura è l’unica depositaria della verità decretata in
splendido, insindacabile isolamento, senza il contrappeso di
controlli esercitati da poteri fuori da essa. E’ accettato a cuor
leggero che l’epopea antimafiosa venga scippata ai suoi eroi e ai
suoi martiri e agitata come un frustro vessillo dai soliti furbi
travestiti da integerrimi sacerdoti, sepolcri imbiancati che
profanano il tempio. Persino Sciascia ha dovuto fare i conti con
questi pennivendoli che hanno narrato la realtà che conveniva loro e
gli hanno rinfacciato l’assenza di forzature ideologiche,
disconoscendo il valore di una ricerca rigorosa che si è sforzata di
capire e ha raccontato una realtà autentica attraverso pennellate
asciutte e oneste senza con ciò indulgere ad alcun cedimento morale.
A Sciascia si contrappone un pot-pourri culturale che, attraverso un
manicheismo di convenienza, falsifica la realtà e indirizza la
verità a suo piacimento alimentando artificiosamente le paure,
titillando i pruriti forcaioli della brava gente e facendone uno
strumento di potere. Ho letto recentemente un libro strano al quale i
soliti sospettosi censori hanno riservato un vero e proprio
ostracismo. Disorientati dal contesto, se ne sono tenuti alla larga
non cogliendo il significato di una narrazione che con pennellate
ironiche si sforza di fare emergere i limiti del mondo mafioso
attraverso la caricatura dei suoi personaggi impietosamente ridicoli.
Un libro simile è un contributo di gran lunga più efficace dei
tanti proclami farlocchi di cui si nutrono gli antimafiosi di
professione.
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