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lunedì 11 luglio 2016

Don Abbondio

L’inossidabile Totò Cuffaro si è materializzato sulla scena di Palazzo dei Normanni per turbare i sonni del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana. Dal recinto dei reietti l’ex Presidente della Regione si è fatto vivo e ha chiesto di utilizzare la Sala Mattarella per un convegno sul tema “Universo carceri”. La richiesta, innocente in sé ma viziata dalla fonte di provenienza, deve aver gettato nel panico l’on. Ardizzone e la decisione, immediata e meccanica, è scattata come una sorta di reazione pavloviana, niente Sala Mattarella per la nobile ragione che non è opportuno ospitare un condannato per favoreggiamento alla mafia nella sala intestata ad una vittima della mafia. Sennonché la motivazione ufficiale non ha convinto tutti, a qualcuno è venuto in mente il sospetto che non siano stati motivi di opportunità morale ad avere dettato la decisione ma che Don Abbondio abbia avuto la meglio e che lo “scantazzo” più che le nobili ragioni abbia indotto l’on. Ardizzone ad una scelta prudente. I due in passato hanno convissuto sotto lo stesso tetto politico e in parecchi malignano che l’on. Ardizzone, negando il permesso alla richiesta di Cuffaro, abbia voluto rimuovere quel passato. Se è così pazienza, il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare, però, c’è un però. Per quanto ingombrante sia Cuffaro, per quanto egli possa essere considerato un furbo di tre cotte, per quanto sia reale il rischio di veleni, in ballo non ci sono Cuffaro e i misteriosi disegni che gli si vogliono attribuire bensì i diritti di gente che soffre, nei confronti dei quali le Istituzioni debbono avere la massima considerazione, a dispetto di cautele pelose. Va bene, anzi va male, che, secondo i canoni cari ai forcaioli in servizio perenne, gente come Cuffaro deve essere confinata in una riserva affinché non inquini il mondo dei virtuosi, ma i diritti dei detenuti debbono essere per questo motivo esiliati dalle stanze delle Istituzioni tanto care all’on. Ardizzone? Non è proprio la Costituzione italiana che, all’articolo 27, parla di pene non contrarie al senso d’umanità e di rieducazione del condannato, e dunque non dovrebbero essere proprio, anzi per prime, le Istituzioni a promuovere questo obiettivo e offrire ospitalità a chi mostra di volersi attivare in questa direzione? Qualcuno sospetta che questo non sia il caso di Cuffaro, ma i diritti dei detenuti non valgono un impegno delle Istituzioni al di là di qualsiasi sospetto o meglio di qualsiasi pregiudizio nei confronti di Cuffaro? Il dibattito sulle condizione di vita in carcere non ha forse diritto ad una degna cornice quale è la prestigiosa Sala Mattarella? Non stiamo parlando di mafia, stiamo parlando di gente che soffre e la statura di Piersanti Mattarella non merita di essere tirata in ballo per fornire alibi a risposte tartufesche che oltretutto fanno nascere dei sospetti. Uno è che non conviene dare opportunità a coloro che hanno sbagliato quando invece è più comodo metterli al sicuro in un bel serraglio e non correre rischi. Il serraglio dei detenuti in carcere è stato individuato nel regime del 41 bis, quello di chi dal carcere è uscito ma continua a rimanere detenuto secondo quanto affermato da Hugo e richiamato da Cuffaro, è l’emarginazione.

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