L’inossidabile Totò Cuffaro si è
materializzato sulla scena di Palazzo dei Normanni per turbare i
sonni del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana. Dal
recinto dei reietti l’ex Presidente della Regione si è fatto vivo
e ha chiesto di utilizzare la Sala Mattarella per un convegno sul
tema “Universo carceri”. La richiesta, innocente in sé ma
viziata dalla fonte di provenienza, deve aver gettato nel panico
l’on. Ardizzone e la decisione, immediata e meccanica, è scattata
come una sorta di reazione pavloviana, niente Sala Mattarella per la
nobile ragione che non è opportuno ospitare un condannato per
favoreggiamento alla mafia nella sala intestata ad una vittima della
mafia. Sennonché la motivazione ufficiale non ha convinto tutti, a
qualcuno è venuto in mente il sospetto che non siano stati motivi di
opportunità morale ad avere dettato la decisione ma che Don Abbondio
abbia avuto la meglio e che lo “scantazzo” più che le nobili
ragioni abbia indotto l’on. Ardizzone ad una scelta prudente. I due
in passato hanno convissuto sotto lo stesso tetto politico e in
parecchi malignano che l’on. Ardizzone, negando il permesso alla
richiesta di Cuffaro, abbia voluto rimuovere quel passato. Se è così
pazienza, il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare, però,
c’è un però. Per quanto ingombrante sia Cuffaro, per quanto egli
possa essere considerato un furbo di tre cotte, per quanto sia reale
il rischio di veleni, in ballo non ci sono Cuffaro e i misteriosi
disegni che gli si vogliono attribuire bensì i diritti di gente che
soffre, nei confronti dei quali le Istituzioni debbono avere la
massima considerazione, a dispetto di cautele pelose. Va bene, anzi
va male, che, secondo i canoni cari ai forcaioli in servizio perenne,
gente come Cuffaro deve essere confinata in una riserva affinché non
inquini il mondo dei virtuosi, ma i diritti dei detenuti debbono
essere per questo motivo esiliati dalle stanze delle Istituzioni
tanto care all’on. Ardizzone? Non è proprio la Costituzione
italiana che, all’articolo 27, parla di pene non contrarie al senso
d’umanità e di rieducazione del condannato, e dunque non
dovrebbero essere proprio, anzi per prime, le Istituzioni a
promuovere questo obiettivo e offrire ospitalità a chi mostra di
volersi attivare in questa direzione? Qualcuno sospetta che questo
non sia il caso di Cuffaro, ma i diritti dei detenuti non valgono un
impegno delle Istituzioni al di là di qualsiasi sospetto o meglio di
qualsiasi pregiudizio nei confronti di Cuffaro? Il dibattito sulle
condizione di vita in carcere non ha forse diritto ad una degna
cornice quale è la prestigiosa Sala Mattarella? Non stiamo parlando
di mafia, stiamo parlando di gente che soffre e la statura di
Piersanti Mattarella non merita di essere tirata in ballo per fornire
alibi a risposte tartufesche che oltretutto fanno nascere dei
sospetti. Uno è che non conviene dare opportunità a coloro che
hanno sbagliato quando invece è più comodo metterli al sicuro in un
bel serraglio e non correre rischi. Il serraglio dei detenuti in
carcere è stato individuato nel regime del 41 bis, quello di chi dal
carcere è uscito ma continua a rimanere detenuto secondo quanto
affermato da Hugo e richiamato da Cuffaro, è l’emarginazione.
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