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venerdì 29 luglio 2016

Il terrorismo nostrano


In questa estate infuocata dal caldo e da eventi drammatici che sembrano aver fatto smarrire la ragione alla razza umana, balbettiamo incapaci di uno scatto di reni. E non parlo di rispondere alla violenza con la violenza, ma di recuperare l’identità che abbiamo perduto quando abbiamo dimenticato il nostro passato e tradito l’eredità che esso ci ha lasciato.  Siamo diventati mercanti che hanno posto al centro dell’universo la struttura economica e una sovrastruttura finanziaria per la maggior parte corsara e priva di scrupoli, e hanno mandato in soffitta sia il sogno liberale che quello marxista. L’uomo incapace di creare la società a misura d’uomo, la società impazzita che crea androidi dall’aspetto umano, sono la dimostrazione di questo fallimento. L’uomo non è più l’obiettivo della società ma strumento di consumo che ha abdicato alla propria identità e dignità e di cui si può fare strame senza inorridire. L’esposizione oscena dei cadaveri a Nizza, Dacca, Monaco, in  Siria, in America, in Africa, sono il segno della perduta considerazione del valore della vita, di uno smarrimento del senso d’umanità che è lo scellerato patrimonio di entrambi i fronti, quello della barbarie terroristica e quello della cosiddetta società civile. Quando ci lamentiamo perché il terrorista islamico non ha rispetto per la vita umana dimentichiamo che di questa vita si è perduto il senso proprio in quella parte del mondo che ha dato i natali alla centralità dell’uomo. Il lungomare di Nizza affollato di bagnanti all’indomani della strage è, con la sua mostruosa normalità quotidiana, la testimonianza del relativismo su cui abbiamo edificato il nostro futuro, una deriva  di cui abbiamo le prove ovunque, anche dove il terrorismo islamico non è ancora giunto.  Un esempio è l’Italia, Paese non ancora colpito dal terrorismo  (almeno per il momento)  ma afflitto da una peste altrettanto esiziale, la decadenza morale e ideale che ha fatto del Paese terra di confine esposta alle scorrerie di consorterie che hanno preso in ostaggio le istituzioni e cannibalizzato le classi più deboli, prima fra tutte la cosiddetta middle class, con pericolose ripercussioni sulla tenuta della democrazia. Da qualche tempo ho preso l’abitudine di ritornare a letture fatte in passato. In questi giorni sto rileggendo La Pelle di Malaparte e sono rimasto impressionato dall’attualità del libro. In alcune sue pagine si legge: “Quando gli uomini lottano per vivere, tutto, anche un barattolo vuoto, una cicca, una scorza d’arancia, una crosta di pan secco raccattata nelle immondizie, un osso spolpato, tutto ha per loro un valore enorme decisivo. Gli uomini sono capaci di qualunque vigliaccheria, per vivere : di tutte le infamie, di tutti i delitti, per vivere,…..a prostituirsi, a inginocchiarsi,…..a leccare le scarpe di chi può sfamarlo, a piegare la schiena sotto la frusta, ad asciugarsi sorridendo la guancia sporca di sputo”. E’ un affresco spietato della Napoli del dopoguerra che torna terribilmente attuale nei nostri giorni. Dopo settant’anni riusciamo ancora a misurarci con la miseria d’allora. Ancora assistiamo alla scena straziante del pensionato che rovista nell’immondizia e dei disperati della notte che bivaccano sotto le stelle, ma soprattutto assistiamo al collasso della nostra civiltà, alla perdita dell’eredità delle due grandi rivoluzioni che hanno attraversato l’Occidente, la rivoluzione cristiana e quella dei lumi, alla giustizia sommaria che dà in pasto alla plebe tumultuante chiunque sia sfiorato dal sospetto, all’attività giudiziaria strabica e schizofrenica dove il libero convincimento troppo spesso viene abusato, alla tortura in carcere con fini predatori (istruttiva in proposito la descrizione che ne fa Voltaire cui fa eco in un recente articolo la denuncia di Dacia Maraini), allo spettacolo disgustoso dell’arrivista che vende l’anima al padrone di turno, ai contorcimenti di spregiudicati arrampicatori disposti a tutto per un posto al sole, all’assalto alla vita altrui con cui gli sciacalli saziano la propria voracità, all’avidità del potere, assistiamo, appunto, alla negazione della centralità dell’uomo. I tanti migranti che affollano le nostre strade chiedendo l’elemosina, i tanti giovani cui è stato negato un futuro, i nuovi poveri che scendono sempre più numerosi verso il degrado, gli zombie che navigano in rete rinunciando a relazionarsi, i tweet demenziali, la condivisione su Facebook dei momenti più insignificanti della nostra vita con degli sconosciuti, il calo verticale delle letture, il bla bla rissoso e inconcludente nei salotti televisivi, sono le diverse facce della stessa medaglia, la perdita irreversibile di ciò che eravamo, lo sprofondare in quello che Umberto Galimberti ha chiamato “l’ospite inquietante”, il nichilismo. Questa  società liquida in cui può accadere di tutto, è appannaggio non solo dell’Italia ma dell’intera Europa, ed entrambe, pur senza condividere Il giustificazionismo di quanti pretendono di fare risalire alle colpe dell’Occidente il fenomeno del terrorismo, hanno qualcosa da farsi perdonare. Il mondo che hanno creato si è rivelato incapace di affrontare le sfide che incombevano e di intuire i pericoli che  si profilavano all’orizzonte, ma si è rivelato soprattutto incapace di generare uomini all’altezza del compito loro assegnato dalla Storia, diventando al contrario terreno di coltura dei mostri che si sono annidati come un virus infetto nel nostro organismo, quinte colonne del terrorismo non arruolate dall’Isis ma che ad essa si ispirano trovando nella comune farneticazione religiosa l’innesco alla loro frustrazione. Quando ci indigniamo per le nefande imprese del terrorismo islamico, dobbiamo avere l’onestà di indignarci per la nostra inadeguatezza e per la nostra mancanza di ancoraggi ideali che è anch’essa una forma di destabilizzazione.

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