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sabato 9 luglio 2016

Il caso Capua

In un articolo apparso sul Corriere della Sera Paolo Mieli lamenta la scarsa considerazione che l’Italia ha per la scienza. “Ne è prova”, si legge nell’articolo, “l’incredibile vicenda di Ilaria Capua, la ricercatrice che per prima isolò il virus dell’aviaria e che di punto in bianco nel 2014 fu accusata di aver fatto ignobile commercio delle sue scoperte al fine, si legge nell’atto d’accusa, di commettere una pluralità indeterminata di delitti….” Nell’articolo è riportato un elenco impressionante dei delitti contestati che, declinati col solito stile sinistro utilizzato dall’accusa, sembravano non lasciare scampo alla signora Capua, rimasta peraltro per tutto il periodo delle indagini, due lunghi anni, sospesa in una specie di limbo, col cuore in gola in attesa dell’esito, senza essere interrogata e senza essere messa nelle condizioni di difendersi. Fa bene dunque Mieli a denunciare la barbarie di un silenzio che ha angosciato la nostra scienziata più delle accuse. Fa male quando lamenta la scarsa considerazione che l’Italia ha per la scienza solo perché una scienziata è stata al centro di una vicenda giudiziaria incivile . La vicenda è incivile ma che c’entra la scienza? Ad essere vittima di questa vicenda non è la signora Capua in quanto scienziata ma la signora Capua in quanto cittadina di un Paese in cui tutti, scienziati e non, hanno uguali diritti di fronte alla legge. La giustizia non può avere riguardo per lo stato sociale ma per lo stato giuridico del cittadino, si chiami esso Capua o Carneade. E d’altronde lo stesso Mieli, in chiusura dell’articolo, si fa venire un dubbio: “Sorge in noi il dubbio che ci stiamo occupando di ciò che è capitato a Ilaria Capua solo perché la conosciamo, appunto, per essere lei una scienziata di fama internazionale. E che ci siano chissà quante persone che hanno vicissitudini giudiziarie ancora più travagliate della sua senza che nessuno, neanche una volta, abbia deciso di ascoltare la loro.”. Ecco, appunto, succede nel mondo dei comuni mortali che non hanno la notorietà della signora Capua di incappare in vicende che si avviano verso l’esito scontato senza che nessun Mieli levi una voce di protesta. Succede molto più spesso di quanto non si pensi. Ci sono infiniti casi, sono la quasi totalità, di indagati che, non solo non vengono interrogati, ma vengono rinviati a giudizio senza che sia data alcuna motivazione di tale decisione. Perché bisogna sapere che la legge funziona così: il GUP, in caso di rinvio a giudizio, non ha l’obbligo di motivare la sua decisione e se ne astiene quasi sempre, in caso di proscioglimento invece deve motivare la decisione e quindi deve leggersi le carte, studiare, farsi una idea, troppo faticoso. Meglio lavarsene le mani e passare la palla ai colleghi che celebreranno il processo. In definitiva si tratta solo di vite umane date in pasto a lunghi anni di calvario giudiziario e di soldi sperperati in dibattiti che si potrebbero evitare, cosa volete che sia.

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