In un articolo apparso sul Corriere
della Sera Paolo Mieli lamenta la scarsa considerazione che l’Italia
ha per la scienza. “Ne è prova”, si legge nell’articolo,
“l’incredibile vicenda di Ilaria Capua, la ricercatrice che per
prima isolò il virus dell’aviaria e che di punto in bianco nel
2014 fu accusata di aver fatto ignobile commercio delle sue scoperte
al fine, si legge nell’atto d’accusa, di commettere una pluralità
indeterminata di delitti….” Nell’articolo è riportato un
elenco impressionante dei delitti contestati che, declinati col
solito stile sinistro utilizzato dall’accusa, sembravano non
lasciare scampo alla signora Capua, rimasta peraltro per tutto il
periodo delle indagini, due lunghi anni, sospesa in una specie di
limbo, col cuore in gola in attesa dell’esito, senza essere
interrogata e senza essere messa nelle condizioni di difendersi. Fa
bene dunque Mieli a denunciare la barbarie di un silenzio che ha
angosciato la nostra scienziata più delle accuse. Fa male quando
lamenta la scarsa considerazione che l’Italia ha per la scienza
solo perché una scienziata è stata al centro di una vicenda
giudiziaria incivile . La vicenda è incivile ma che c’entra la
scienza? Ad essere vittima di questa vicenda non è la signora
Capua in quanto scienziata ma la signora Capua in quanto cittadina di
un Paese in cui tutti, scienziati e non, hanno uguali diritti di
fronte alla legge. La giustizia non può avere riguardo per lo stato
sociale ma per lo stato giuridico del cittadino, si chiami esso Capua
o Carneade. E d’altronde lo stesso Mieli, in chiusura
dell’articolo, si fa venire un dubbio: “Sorge in noi il dubbio
che ci stiamo occupando di ciò che è capitato a Ilaria Capua solo
perché la conosciamo, appunto, per essere lei una scienziata di fama
internazionale. E che ci siano chissà quante persone che hanno
vicissitudini giudiziarie ancora più travagliate della sua senza che
nessuno, neanche una volta, abbia deciso di ascoltare la loro.”.
Ecco, appunto, succede nel mondo dei comuni mortali che non hanno la
notorietà della signora Capua di incappare in vicende che si avviano
verso l’esito scontato senza che nessun Mieli levi una voce di
protesta. Succede molto più spesso di quanto non si pensi. Ci sono
infiniti casi, sono la quasi totalità, di indagati che, non solo non
vengono interrogati, ma vengono rinviati a giudizio senza che sia
data alcuna motivazione di tale decisione. Perché bisogna sapere che
la legge funziona così: il GUP, in caso di rinvio a giudizio, non ha
l’obbligo di motivare la sua decisione e se ne astiene quasi
sempre, in caso di proscioglimento invece deve motivare la decisione
e quindi deve leggersi le carte, studiare, farsi una idea, troppo
faticoso. Meglio lavarsene le mani e passare la palla ai colleghi che
celebreranno il processo. In definitiva si tratta solo di vite umane
date in pasto a lunghi anni di calvario giudiziario e di soldi
sperperati in dibattiti che si potrebbero evitare, cosa volete che
sia.
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