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venerdì 19 agosto 2016

Il politicamente scorretto

Il politicamente corretto imperversa incurante della decenza e ci fa venire voglia di respirare l’aria ruspante del politicamente scorretto il cui linguaggio rozzo fa giustizia del fariseismo annidato nel linguaggio lindo e attento alla forma che col suo conformismo linguistico sublima i problemi anziché risolverli. Il politicamente corretto gioca molto spesso sul tavolo truccato del doppiogiochismo combattendo a parole battaglie in difesa dei diritti dei più deboli con lo stesso impegno con cui si accuccia ai piedi dei più forti. Campioni come i nostri intellettuali radical chic non hanno niente da spartire con l’umanità infelice che fingono di difendere e mostrano di che pasta sono autenticamente fatti quando dal buen retiro di Capalbio frignano perché il loro eden è messo a rischio dall’arrivo dei migranti, o quando fanno della signora Hillary Clinton la loro icona sorvolando sul fatto che questa signora rappresenta Wall Street e la grande finanza, le grandi multinazionali, la upper class americana, grossi interessi corporativi e, nonostante ciò, con una faccia tosta degna di miglior causa, ci dà a bere la panzana dei grandi ideali, della giustizia sociale, dei diritti delle donne e degli omosessuali, del multiculturalismo, dei diritti dei lavoratori, quegli stessi lavoratori schiavizzati nei Paesi dove i colossi imprenditoriali americani producono le loro merci. Il glorioso Partito Democratico colpito e affondato nel nome dei soliti concretissimi interessi di bottega mascherati da nobili ideali. Tutto all’insegna del politicamente corretto! Sembra di vederli i nostri intellettuali della sinistra mentre dall’alto dei loro privilegi tuonano contro le disuguaglianze sociali andando a braccetto con chi queste disuguaglianze produce e alimenta. Arroccati in circoli esclusivi e club à la page, ci impongono la loro tirannia ideologica, ostentano le stellette del potere con cui condizionano la vita del Paese, demonizzano chiunque osi deviare dai canoni da loro imposti, guardano con preoccupazione alle possibili contaminazioni del loro mondo, tremano all’idea di rischiare di mescolarsi con gli ultimi, in grisaglia e cachemire, col sopracciglio arcuato, osservano dall’alto gli scarabei che razzolano nei loro escrementi e allo stesso tempo salgono sul pulpito strepitando contro le disuguaglianze sociali e le discriminazioni della cui perpetuazione sono i primi complici ma che denunciano col cinismo di chi non si fa scrupolo di strumentalizzare quegli escrementi per fertilizzare il proprio orticello. Si indignano, si, ma un conto è concionare nobilmente dei diritti dei cenciosi, un altro conto è averli in casa! Averli in casa significa misurarsi concretamente con la disperazione, significa convivere con le storie di ordinaria follia magistralmente descritte da Bukowski, significa toccare con mano e condividere la miseria dei reietti ai margini della società, scendere in mezzo a loro e maneggiare lo schifo che la nostra opulenta società ha prodotto. E invece questi signori dall’aria ispirata, schizzinosi e più o meno consapevoli sacerdoti del pensiero unico, allevati a caviale e champagne, si ritraggono schifati, hanno il terrore della miseria, strillano come delle mammolette impazzite se appena il loro benessere è scalfito, e in più ci rifilano l’insulto della loro spocchia morale e ideale, senza provare alcuna vergogna!

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