Il politicamente corretto imperversa
incurante della decenza e ci fa venire voglia di respirare l’aria
ruspante del politicamente scorretto il cui linguaggio rozzo fa
giustizia del fariseismo annidato nel linguaggio lindo e attento alla
forma che col suo conformismo linguistico sublima i problemi anziché
risolverli. Il politicamente corretto gioca molto spesso sul tavolo
truccato del doppiogiochismo combattendo a parole battaglie in difesa
dei diritti dei più deboli con lo stesso impegno con cui si accuccia
ai piedi dei più forti. Campioni come i nostri intellettuali radical
chic non hanno niente da spartire con l’umanità infelice che
fingono di difendere e mostrano di che pasta sono autenticamente
fatti quando dal buen retiro di Capalbio frignano perché il loro
eden è messo a rischio dall’arrivo dei migranti, o quando fanno
della signora Hillary Clinton la loro icona sorvolando sul fatto che
questa signora rappresenta Wall Street e la grande finanza, le grandi
multinazionali, la upper class americana, grossi interessi
corporativi e, nonostante ciò, con una faccia tosta degna di miglior
causa, ci dà a bere la panzana dei grandi ideali, della giustizia
sociale, dei diritti delle donne e degli omosessuali, del
multiculturalismo, dei diritti dei lavoratori, quegli stessi
lavoratori schiavizzati nei Paesi dove i colossi imprenditoriali
americani producono le loro merci. Il glorioso Partito Democratico
colpito e affondato nel nome dei soliti concretissimi interessi di
bottega mascherati da nobili ideali. Tutto all’insegna del
politicamente corretto! Sembra di vederli i nostri intellettuali
della sinistra mentre dall’alto dei loro privilegi tuonano contro
le disuguaglianze sociali andando a braccetto con chi queste
disuguaglianze produce e alimenta. Arroccati in circoli esclusivi e
club à la page, ci impongono la loro tirannia ideologica, ostentano
le stellette del potere con cui condizionano la vita del Paese,
demonizzano chiunque osi deviare dai canoni da loro imposti, guardano
con preoccupazione alle possibili contaminazioni del loro mondo,
tremano all’idea di rischiare di mescolarsi con gli ultimi, in
grisaglia e cachemire, col sopracciglio arcuato, osservano dall’alto
gli scarabei che razzolano nei loro escrementi e allo stesso tempo
salgono sul pulpito strepitando contro le disuguaglianze sociali e le
discriminazioni della cui perpetuazione sono i primi complici ma che
denunciano col cinismo di chi non si fa scrupolo di strumentalizzare
quegli escrementi per fertilizzare il proprio orticello. Si
indignano, si, ma un conto è concionare nobilmente dei diritti dei
cenciosi, un altro conto è averli in casa! Averli in casa significa
misurarsi concretamente con la disperazione, significa convivere con
le storie di ordinaria follia magistralmente descritte da Bukowski,
significa toccare con mano e condividere la miseria dei reietti ai
margini della società, scendere in mezzo a loro e maneggiare lo
schifo che la nostra opulenta società ha prodotto. E invece questi
signori dall’aria ispirata, schizzinosi e più o meno consapevoli
sacerdoti del pensiero unico, allevati a caviale e champagne, si
ritraggono schifati, hanno il terrore della miseria, strillano come
delle mammolette impazzite se appena il loro benessere è scalfito, e
in più ci rifilano l’insulto della loro spocchia morale e ideale,
senza provare alcuna vergogna!
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