In questi giorni sui giornali è
apparsa la notizia di una indagine per estorsione che sarebbe in
corso nei confronti di Pino Maniaci direttore dell’emittente
televisiva Telejato, protagonista di tante inchieste e denunce specie
contro la mafia. La reazione di Maniaci non si è fatta attendere.
Egli infatti è andato all’attacco sostenendo senza tante perifrasi
che l’indagine nei suoi confronti è una ritorsione della Procura
per avere egli osato attaccare un santuario della magistratura,
allorché ha scoperchiato la pentola dei presunti illeciti nella
gestione dei beni confiscati da parte dei giudici della sezione
misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Maniaci che in
passato non ha avuto dubbi sulla correttezza dell’operato dei
giudici quando l’obiettivo erano altri, non ha parimenti dubbi
sulla faziosità degli stessi adesso che l’obiettivo è lui. A sua
volta Maniaci è stato bacchettato da coloro che, non avendo anche
essi dubbi, gli hanno ricordato che la fiducia nel lavoro dei
magistrati e nella magistratura non deve mai essere messa in
discussione. Io che invece sono pieno di dubbi, qualche pensiero me
lo faccio, sia sul dogma dell’infallibilità della magistratura che
sulla buona fede di tanti manettari. Quando si parla di magistratura
non si può negare il suo ruolo di baluardo in difesa della società
purché essa abbia come unica bussola l’applicazione della legge.
La magistratura è una istituzione insostituibile e la sua
indipendenza è sacrosanta come la presunzione della sua onestà. I
dubbi sorgono quando alcuni magistrati scambiano la severità per
intolleranza e le categorie della legge per categorie morali e
trasformano lo spirito di servizio in arroganza con cui invece di
servire la legge, la inventano promuovendo crociate che pretendono di
redimere la società. Si seggono sul pulpito e ci impartiscono
lezioni di superiorità morale mettendo all’indice gli indagati
prima ancora di pronunciarsi sulla loro colpevolezza in un’aula di
tribunale. La sortita del dottore Davigo contro i politici definiti
ladroni per antonomasia che per giunta non si vergognano, è un
esempio fra i tanti. Questo accade perché purtroppo il nostro non è
un Paese normale. Non è normale infatti un Paese incapace di
produrre, nella maggior parte dei casi, autentici servitori dello
Stato, paladini solitari e sobri della legge, ma capacissimo di
produrre uomini che equivocano sul ruolo del potere al quale
appartengono e lo trasformano in casta. Che cosa è infatti se non
casta un potere che, godendo di una assoluta indipendenza rispetto ad
altri poteri e avendo l’obbligo morale di autogestire questa
indipendenza con una severità nei confronti di se stesso maggiore di
quella usata nei confronti di altri, si comporta da organismo al di
sopra della legge? Hanno forse pagato i giudici che perseguitarono
ingiustamente e disonestamente Enzo Tortora? No, anzi sono stati
promossi? E il carcere preventivo tanto abusato nei confronti dei
comuni mortali, perché non è inflitto con lo stesso zelo a quei
giudici su cui gravano gravi indizi di colpevolezza? Di che cosa si
lamenta Maniaci e di che cosa si lamenteranno domani altri cronisti
giudiziari che vanno a nozze con i teoremi dell’accusa, quando sarà
il loro turno di finire nella macelleria delle colpe sospette e non
provate ma date ugualmente per certe? Quanti sono i galantuomini, tra
i giornalisti che sbattono il mostro in prima pagina, capaci di
chiedere scusa ai mostri innocenti come fecero Pannella e Bonino
quando inviarono al Presidente Leone una lettera rammaricandosi per
averlo accusato ingiustamente di essere implicato nell’affare
Lockheed? Lo Stato di diritto può essere una parola vuota se non è
tutelato dalla coscienza onesta di quanti hanno un ruolo pubblico,
siano essi magistrati e giornalisti, ma anche dei cittadini comuni
che dovrebbero evitare di inveire contro il presunto reo alla stregua
delle popolane che tumultuavano ai piedi della ghigliottina all’epoca
della rivoluzione francese.
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