Il referendum sulle trivelle di domani
ha acceso un dibattito, non tanto sul merito, quanto sulla
legittimità di astenersi o meno dal voto. La Costituzione
all’articolo 48 recita che votare è un dovere civico e il
presidente della Consulta, forte del dettato costituzionale, sostiene
che votare esprime la pienezza della cittadinanza. Chi si schiera per
la partecipazione al voto arriva ad affermare che l’astensione è
una deriva ingannevole e sleale perché sabota il referendum sommando
gli indifferenti ai contrari, mentre chi vota resta solo col suo si:
un espediente bello e buono (Ainis ). Altri ( Panebianco ) sostengono
che l’astensione è una espressione legittima quanto quella di
votare perché, se è previsto il raggiungimento del quorum come
condizione perché passi il referendum, significa che l’astensione
non è un espediente ma un diritto previsto come il si e il no. Se
parliamo del merito, tutte le posizioni sono rispettabili ma pare che
questo dibattito sul referendum più che parlare di merito si sposti
sul piano dell’etica, visto che parecchi sostenitori del si,
invece di spiegarci la bontà delle loro ragioni, denunciano la
mancanza di senso civico degli astensionisti. Naturalmente sorvolano
sull’espediente al quale ricorrono anche essi quando, issando la
bandiera del senso civico, si disinteressano del quesito e utilizzano
il referendum quale strumento di lotta contro il governo, in questo,
bisogna dirlo, incoraggiati dalle esternazioni di Renzi. Su cosa i
signori del si fondano la presunzione dell’ etica del voto, lo
abbiamo visto. La fondano sul dettato costituzionale che parla di
dovere civico. Ma la nostra Costituzione, anche se è “la più
bella del mondo”, è emendabile e l’articolo 48 lo è ancora di
più, perché non è accettabile che un sacrosanto diritto al voto,
che ciascuno può esercitare o no senza alcuna implicazione di
carattere morale, venga spacciato per un dovere che ricorda tanto
l’obbligo al voto imposto nei Paesi dove, guarda caso, l’affluenza
al voto è del 100%.
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