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martedì 12 aprile 2016

Romanzi imbarazzanti

Non sono solito leggere “la Repubblica” e dunque intervengo solo adesso su una notizia che ho appreso in ritardo. Ho appreso cioè che su “la Repubblica” di domenica 10 aprile è apparso un servizio con tanto di foto del sottoscritto, a proposito dell’ospitalità concessa dalla Fonderia Oretea alla presentazione del mio romanzo “La vita di un uomo”. L’articolo è calato nell’ambito della vicenda che ha visto Salvo Riina ospite di Bruno Vespa su “Porta a porta” e fa un accostamento tra le due ospitate assolutamente infelice. Quale è infatti l’attinenza tra la presentazione del mio libro e l’intervista a Riina? Questi nell’intervista ha fatto dichiarazioni che palesano una chiara forma di assoggettamento ai disvalori mafiosi disponendo di una platea di dimensioni nazionali che ne ha dilatato l’eco. Per inciso sono convinto che il solo a uscire con le ossa rotte dall’intervista è stato proprio il signor Riina messo in ridicolo dalle sue stesse improbabili dichiarazioni e subissato da una valanga di critiche feroci. La società, grazie a Dio, possiede gli anticorpi necessari a isolare certi virus e il signor Riina è rimasto solo, terribilmente solo tra le macerie del suo mondo sconfitto. Ma, tornando al punto, io che c’entro con tutto questo, quale è l’accostamento? Non c’è confronto con la modesta dimensione della platea in cui si è svolta la presentazione del mio romanzo e, cosa fondamentale, alla Fonderia Oretea non si è colta l’occasione per esprimere condivisioni mafiose. Peraltro la Fonderia è una struttura che il Comune mette a disposizione per eventi culturali e artistici e il mio romanzo ha le carte in regola per accedere al diritto di usufruire di quella struttura. E’ stato scritto, è vero, da un condannato per mafia, ma chi lo ha letto sa che il romanzo ha un suo valore letterario che non può offrirsi a nessun equivoco, non fa l’apologia della mafia, anzi, contiene un messaggio che parla di un percorso di riscatto rispetto al mondo mafioso e, in occasione della presentazione, non è stato utilizzato per messaggi criptici o per flirtare con la mafia. Alla Fonderia si è parlato solo di lettere, di sofferenza, di dolore e di lacrime. Bisognerebbe leggere il libro, solo che se ne fa a meno e si va per le spicce, utilizzando la scorciatoia che nega a un condannato per mafia il diritto di pensare, anche se pensa cose positive, e di guadagnarsi lo spazio in cui esprimere quello che pensa, perché ad un condannato per mafia nulla è dovuto, tranne il disprezzo. Il merito non conta, non vale la pena di fare una valutazione intrinseca del valore del libro, meglio circondarlo col silenzio riservato ai reprobi, come nei fatti è puntualmente accaduto, salvo tirarlo fuori dal cilindro quando serve per sparare a zero contro lo sfrontato che si permette di sfidare l’opinione pubblica con la pretesa di alzare la testa. Meglio andare sul sicuro e ribadire ciò che è politicamente corretto: un“mafioso” non ha diritto di pensiero e di parola e tanto meno ha diritto ad essere ospitato in una struttura pubblica. Signora Nicolosi, che facciamo, mettiamo al rogo i libri e le opere di personaggi discussi come Celine e Caravaggio facendo finta di dimenticare che la Santa Inquisizione ha fatto il suo tempo e dopo di essa sull’Europa si è abbattuto uno tsunami conosciuto sotto il nome di illuminismo?

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