Non sono solito leggere “la
Repubblica” e dunque intervengo solo adesso su una notizia che ho
appreso in ritardo. Ho appreso cioè che su “la Repubblica” di
domenica 10 aprile è apparso un servizio con tanto di foto del
sottoscritto, a proposito dell’ospitalità concessa dalla Fonderia
Oretea alla presentazione del mio romanzo “La vita di un uomo”.
L’articolo è calato nell’ambito della vicenda che ha visto Salvo
Riina ospite di Bruno Vespa su “Porta a porta” e fa un
accostamento tra le due ospitate assolutamente infelice. Quale è
infatti l’attinenza tra la presentazione del mio libro e
l’intervista a Riina? Questi nell’intervista ha fatto
dichiarazioni che palesano una chiara forma di assoggettamento ai
disvalori mafiosi disponendo di una platea di dimensioni nazionali
che ne ha dilatato l’eco. Per inciso sono convinto che il solo a
uscire con le ossa rotte dall’intervista è stato proprio il signor
Riina messo in ridicolo dalle sue stesse improbabili dichiarazioni e
subissato da una valanga di critiche feroci. La società, grazie a
Dio, possiede gli anticorpi necessari a isolare certi virus e il
signor Riina è rimasto solo, terribilmente solo tra le macerie del
suo mondo sconfitto. Ma, tornando al punto, io che c’entro con
tutto questo, quale è l’accostamento? Non c’è confronto con la
modesta dimensione della platea in cui si è svolta la presentazione
del mio romanzo e, cosa fondamentale, alla Fonderia Oretea non si è
colta l’occasione per esprimere condivisioni mafiose. Peraltro la
Fonderia è una struttura che il Comune mette a disposizione per
eventi culturali e artistici e il mio romanzo ha le carte in regola
per accedere al diritto di usufruire di quella struttura. E’ stato
scritto, è vero, da un condannato per mafia, ma chi lo ha letto sa
che il romanzo ha un suo valore letterario che non può offrirsi a
nessun equivoco, non fa l’apologia della mafia, anzi, contiene un
messaggio che parla di un percorso di riscatto rispetto al mondo
mafioso e, in occasione della presentazione, non è stato utilizzato
per messaggi criptici o per flirtare con la mafia. Alla Fonderia si è
parlato solo di lettere, di sofferenza, di dolore e di lacrime.
Bisognerebbe leggere il libro, solo che se ne fa a meno e si va per
le spicce, utilizzando la scorciatoia che nega a un condannato per
mafia il diritto di pensare, anche se pensa cose positive, e di
guadagnarsi lo spazio in cui esprimere quello che pensa, perché ad
un condannato per mafia nulla è dovuto, tranne il disprezzo. Il
merito non conta, non vale la pena di fare una valutazione intrinseca
del valore del libro, meglio circondarlo col silenzio riservato ai
reprobi, come nei fatti è puntualmente accaduto, salvo tirarlo fuori
dal cilindro quando serve per sparare a zero contro lo sfrontato che
si permette di sfidare l’opinione pubblica con la pretesa di alzare
la testa. Meglio andare sul sicuro e ribadire ciò che è
politicamente corretto: un“mafioso” non ha diritto di pensiero e
di parola e tanto meno ha diritto ad essere ospitato in una struttura
pubblica. Signora Nicolosi, che facciamo, mettiamo al rogo i libri e
le opere di personaggi discussi come Celine e Caravaggio facendo
finta di dimenticare che la Santa Inquisizione ha fatto il suo tempo
e dopo di essa sull’Europa si è abbattuto uno tsunami conosciuto
sotto il nome di illuminismo?
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