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martedì 10 maggio 2016

Il valore delle regole

Succede che nel mondo dell’intransigenza morale le regole molto spesso vengano sospese e venga stabilito cosa è giusto o ingiusto a seconda dei criteri dettati dal monopolio dell’etica. E’ ispirandosi a questa logica che appare giusto gettare gli inquisiti in pasto alla macelleria mediatica se appena trapela la notizia di un avviso di garanzia e trasformare quello che dovrebbe essere un elemento a tutela del cittadino in uno strumento di tortura. L’avvocato Ingroia ha puntato il dito contro la “crocifissione mediatica” subita dal suo assistito Maniaci a seguito delle “rivelazioni di segreto d’ufficio”, quella stessa crocifissione che gli inquisiti subivano quando il magistrato Ingroia svolgeva la funzione di procuratore aggiunto presso la Procura del Tribunale di Palermo e gli spifferi sui segreti d’ufficio erano una consuetudine anche allora. Accogliamo con soddisfazione la distinzione che egli fa tra l’aspetto giuridico e quello etico delle condotte del suo assistito, producendosi in una netta inversione di tendenza rispetto alle sue precedenti convinzioni declinate quando sosteneva il primato dell’etica rispetto al diritto. E’ vero, un conto è l’etica, un conto sono le responsabilità penali e l’etica disinvolta del signor Maniaci, poiché non travalica nell’illecito, non merita di essere sanzionata penalmente, ma merita, eccome, di essere censurata alla luce di ciò che trapela dalla intercettazioni. Secondo quanto riportato dalla stampa infatti, egli considerava il suo impegno antimafioso una specie di bancomat con cui acquisire prestigio pregustando i vantaggi che gliene sarebbero derivati (“mi danno la scorta, sono una potenza”), irrideva i protagonisti dell’antimafia onesta e i servitori dello Stato trattando da allocchi coloro che credevano in lui e con lui solidarizzavano, fino al punto da definire str….il Presidente del Consiglio, spacciava per intimidazioni mafiose episodi delittuosi maturati nel contesto di uno squallido conflitto pecoreccio, insomma si cuciva addosso panni troppo larghi taroccando il suo impegno di icona antimafia per finalità strumentali. Il signor Maniaci ha tentato di farcela credere, urlando la sua intransigenza farlocca nella quale ha finito per restare impigliato egli stesso. Adesso è arrivato il suo turno di finire sulla graticola, la sua testa di tribuno antimafia sta rotolando nella polvere e sul piano penale sta pagando un conto che, bisogna dirlo, non merita, mascariato com’è dal suo indebito inserimento nello stesso provvedimento che ha portato all’arresto di nove mafiosi. Accusato di avere estorto pochi miserabili euro, subisce la legge del contrappasso, vittima della corsa a chi è più intollerante alla quale egli stesso ha partecipato. L’avvocato Ingroia a sua volta atterra tra i comuni mortali e si ritrova intruppato tra quanti combattono ogni giorno la dura battaglia per far valere uno straccio di diritto, piuttosto che impegnato, come faceva un tempo, in crociate moralistiche che “fanno precipitare le società nel dispotismo etico” (Luciano Violante). Scopriamo un Ingroia nell’inedita veste di garantista che non le manda a dire ai suoi ex colleghi. Meglio tardi che mai, solo che il nostro si accorgerà presto che nelle sue nuove vesti non avrà vita facile, saprà quanto costa promuovere il rispetto delle regole, se vorrà, potrà assaporare il gusto della buona battaglia in nome dell’etica dei principi piuttosto che dei privilegi e magari, chi lo sa, ci risparmierà i toni di chi cade dal pero, scandalizzato per il giustizialismo con il quale adesso è lui come avvocato a dover fare i conti e che era nelle sue corde in un’altra stagione, quando i conti dovevano farli gli altri .  

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