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domenica 13 dicembre 2015

Il nuovo Cuffaro


Qualcuno dice che non dobbiamo più chiamarlo Totò, nome inghiottito dal primo capitolo  di una vita finita dietro le sbarre. Non ho mai conosciuto il Totò dei fasti ma conosco bene il Cuffaro smagrito di Rebibbia, ne ravviso il volto scavato e lo sguardo consapevole di chi ha visitato l’inferno e scoperto se stesso. 
Lo riconosco quando tributa il suo amore per i compagni e declina la fierezza umile di una ritrovata condizione. Mi rivedo in lui quando scrive: “Scrivo e riprendo i miei pensieri che, altrimenti, condannati a rimanere sconosciuti, si perderebbero per sempre”, parole che echeggiano il contenuto della nota d’autore del mio romanzo in cui scrivo: “I personaggi che incrociavo, i fatti che attraversavano la mia vita in carcere, le emozioni per gli episodi e gli affetti che via via mi andavano coinvolgendo, presero il sopravvento e con essi la voglia di fissarli come a custodire un bene prezioso che sentivo di dovere salvare………. che mettevo su carta freneticamente nel timore che qualcosa andasse perduto…..”. In queste parole c’è l’angoscia per la propria condizione, c’è l’ansia di aggrapparsi alla zattera della scrittura e di ghermire i pensieri che scorrono veloci, il timore di non riuscirci e di dover convivere col vuoto della mente, c’è il linguaggio che accomuna nella medesima accezione tragica coloro che hanno vissuto l’esperienza del carcere, ne descrivono la sofferenza e ne sono ambasciatori, c’è lo strumento di chi attraverso i Cuffaro e i Mandalà comunica al mondo il proprio dolore, c’è il resoconto della intimità ritrovata dopo l’insulto inflitto ad essa da una vita banale, c’è il diario della libertà conquistata tra le mura del carcere che ti fa librare oltre le sbarre, c’è la scelta che ti fa imboccare la via della resurrezione quando devi decidere se vivere o morire.  
 Lo immagino Cuffaro mentre, a contatto con l’inferno dei primi giorni, decide di resistere e di combattere e volare alto verso vette mai prima raggiunte. Al nuovo Cuffaro che esce dal carcere auguro di possedere gli anticorpi necessari ad affrontare il ritorno al mondo civile.

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