Il Papa ha spopolato in America
proponendo quel suo modo semplice di declinare temi forti che
scuotono le coscienze. La finanza selvaggia che soffoca i più
deboli, i profughi visti come vittime delle colpe dei grandi della
terra che non hanno saputo disinnescare le cause dell’esodo, il
traffico d’armi, la pena di morte, la povertà, sono tutti temi su
cui il Papa si è pronunciato con toni accorati sollecitando
soluzioni. Purtroppo le esortazioni del Santo Padre, a parte quella
sull’abolizione della pena di morte, sono destinate a restare
lettera morta, ci sono mali antichi come l’uomo che neanche il
sacrificio di Cristo è riuscito a sconfiggere. E tuttavia il Papa
non può rinunciare alla sua missione profetica che gli deriva
dall’essere l’erede di Cristo e non può arrestarsi dentro i
confini imposti dalla limitatezza umana, gli è proprio “un grado
superiore di saggezza” che si ostina a predicare misericordia anche
dove la misericordia troverà difficilmente proseliti. E’ la logica
della sua missione che ha bisogno di allargare continuamente i suoi
orizzonti e che però non sempre riesce a stare al passo con
sofferenze nuove che si affacciano alla soglia della sua misericordia
e del suo spirito evangelico. Su questo riflettevo mentre leggevo
l’ultima lettera di mio figlio detenuto in regime di 41 bis in cui
mi descrive la sua vita in carcere. Ho già scritto su come la penso
a proposito della stupidità e gratuita cattiveria della carcerazione
dura e su come l’amministrazione penitenziaria ne esasperi ancora
di più le condizioni andando oltre le regole già di per sé dure,
come fa quando perpetra abusi giungendo persino a non rispettare le
sentenze della magistratura o rispettandole dopo che le conseguenze
dell’abuso si sono consumate. In proposito ho cercato di attirare
l’attenzione dell’opinione pubblica lanciando appelli che, ahimè,
sono caduti nel vuoto. Ne ho ricavato soltanto improperi e sarcasmo.
Stavolta mi rivolgo al Papa e gli chiedo se conosce la realtà di
questi suoi figli alla mercé di uno sceriffo con la stella della
legge appuntata sul petto che ha sempre la meglio nel duello contro
l’ avversario munito di un’arma scarica. Se conosce la realtà di
un universo in cui si consuma la violazione dei diritti fondamentali
senza che nulla trapeli all’esterno, in un clima di omertà che
coinvolge le istituzioni e la cosiddetta società civile, pronta a
indignarsi sull’abbandono dei cani ma non altrettanto pronta a
indignarsi sulla vergogna di una enclave di inciviltà incuneata nel
bel mezzo della nostra civilissima Italia. Come è possibile che
accada tutto questo senza che nessuno, e tanto meno il Papa, levi una
qualsiasi protesta? Forse perché i detenuti in regime di 41 bis sono
lontani dai cuori di chi si esercita alla pietà su soliti drammi
scontati, forse perché creano imbarazzo con le loro storie truci e
sono rimossi dall’ipocrisia di chi fiuta l’impopolarità di una
battaglia lontana dal conformismo ideologico, forse perché sono
mafiosi e, secondo l’anatema del Papa, scomunicati e dunque fuori
dal perimetro della Chiesa, forse perché sono gli ultimi tra gli
ultimi e non meritano neanche il perdono di Cristo? Come diceva
Flaubert, il buon Dio è nei dettagli e il Papa, impegnato in giro
per il pianeta a condividere la sorte degli “scarti” disseminati
nel mondo, dovrebbe trovare il tempo e la voglia di condividere anche
la sorte degli “scarti” vessati nella Guantanamo di casa nostra.
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