Ai termini dell’art. 358 del cod. di
proc. pen. Il pubblico ministero ha il dovere dell’ imparzialità
esattamente come il magistrato giudicante. Egli ha infatti l’obbligo
di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore delle
persone sottoposte a indagini, concetto che è stato ribadito dalla
Corte di Cassazione con sentenza nr. 106 del 26 febbraio 1999. In
buona sostanza il pubblico ministero ha il compito di accertare la
verità, anche se la verità è a favore dell’imputato. Nei fatti è
così? L’argomento torna d’attualità tutte le volte che si
dibatte su separazione delle carriere si, separazione delle carriere
no, e chi sostiene che non è opportuno separare le carriere, lo fa
affermando che col sistema attuale si ha una maggiore tutela dei
diritti degli imputati oltre che naturalmente delle parti offese. Il
pubblico ministero infatti, proprio perché è un magistrato
imparziale e ha l’obbligo di sostenere l’innocenza dell’imputato
quando accerta elementi a sua discolpa, è una risorsa in più a
garanzia del buon funzionamento della giustizia, risorsa che viene
meno nel momento in cui il P.M. veste i panni del magistrato di parte
che così diventa un vero e proprio avvocato dell’accusa con la
funzione di limitarsi a cercare elementi a carico dell’imputato.
Ricordo che in tal senso si sono espressi l’on. Fassino quando era
ministro di grazia e giustizia e più recentemente il dottore
Spataro, procuratore della Repubblica di Torino. Purtroppo quella che
teoricamente è una bella favola è smentita dal modo in cui certi
pubblici ministeri la interpretano. Lo dico a ragion veduta perché
sono stato vittima di qualche “svista” durante i miei processi.
Un pubblico ministero per esempio, sicuramente per distrazione e in
perfetta buona fede, dimenticò di acquisire agli atti le
dichiarazioni che un collaboratore di giustizia aveva rilasciato a
mio favore. E, ne sono convinto, sempre per distrazione, in altra
occasione, una intercettazione dalla quale appariva evidente la mia
estraneità ai reati dei quali venivo accusato, non approdò in aula
se non dopo che l’episodio venne alla luce grazie alla rivelazione
di un pentito e il pubblico ministero fu invitato dal presidente
della corte a produrre il testo dell’intercettazione. Distrazioni,
sicuramente, ma guarda caso sempre a danno dell’imputato che
dovrebbe essere garantito dall’imparzialità del pubblico
ministero. Viene il sospetto che il magistrato inquirente che ha il
compito di costruire l’impianto accusatorio, si affezioni alla sua
creatura e la difenda anche sfidando i richiami della sua coscienza e
le prescrizioni del codice. O che si senta investito del compito di
redimere la società e obbedisca all’impulso del giustiziere
manipolando la verità invece di accertarla. La natura umana, come si
sa, ha le sue debolezze e forse è il caso di darle una mano
assegnandole compiti chiari che non la sottopongano a tentazioni.
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