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“La vita di un uomo”, il romanzo che
ho concepito in carcere, ha visto finalmente la luce. E’ stato un
parto travagliato perché trovare un editore che non si ritraesse
scandalizzato al cospetto di un condannato per mafia, non è stato
facile. Nicola Macaione, l’editore che ha accettato di pubblicarlo,
pur con la comprensibilissima cautela nei confronti della mia vicenda
giudiziaria, non si è fatto condizionare dal pregiudizio, non mi ha
respinto come hanno fatto i tanti attestati sulla certezza di ciò
che appariva, ha creduto nel valore del romanzo e, pur mettendo nel
conto il rischio delle indignazioni strumentali che avrebbe
suscitato, non ha esitato ad offrire al lettore un’opera della
quale, a suo avviso, non bisognava privarlo. Non solo, ma, oltre che
al lettore, ha offerto una chance anche a me e di ciò non gli sarò
mai abbastanza riconoscente. Grazie a lui sto incassando con gli
interessi il risarcimento per i colpi che il destino mi ha inferto,
grazie a lui ho l’opportunità di offrire uno spaccato che
scompagina le consuete e abusate categorie criminali con le quali
sono stato sbrigativamente liquidato. Come ha scritto su di me
Roberto Puglisi con la sua abituale onestà: “Vale la pena di
ricamare un pensiero sui pensieri, senza che si sappia se provengono
da un demonio o da una persona? Forse si ma è un rischio grave, con
l’abisso a un centimetro”. Ecco, se il mio romanzo susciterà dei
dubbi sugli irriducibili, se farà chiedere a qualcuno: “Ma chi è
veramente Nino Mandalà?”, ma, soprattutto, se riuscirà a
commuovere, avrà raggiunto il suo scopo. Senza contare poi
l’emozione dell’autore che vede battezzata la propria creatura in
un contesto che, per una volta, non lo mette sul banco dell’imputato
ma gli fa vivere la sensazione di un riscatto, e l’ebbrezza
ubriacante della facile euforia che, con i suoi inganni, gli fa
credere di avere conquistato la gloria letteraria. Da qui in avanti
nulla sarà più come prima.“
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