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venerdì 26 giugno 2015

L’esperto delle carceri

La decisione del Ministro di Grazia e Giustizia di invitare  Sofri a partecipare ai lavori dei “18 tavoli tematici per gli Stati Generali sull’esecuzione penale”, è stata travolta da una valanga di reazioni indignate che hanno costretto sia il Ministro sia Sofri a fare marcia indietro. Sofri è colpevole perché è stato ritenuto il mandante dell’omicidio del commissario Calabrese da una sentenza definitiva e lui stesso, pur negando un qualsiasi suo ruolo in quell’omicidio, riconosce di essere stato un cattivo maestro. Non ci sono perciò dubbi sulle sue responsabilità, penali o morali che siano, mentre ci sono molti dubbi sulla natura e l’opportunità delle reazioni scatenatesi alla notizia dell’incarico affidatogli. Forse che la sua colpevolezza mette in discussione la sua competenza in fatto di carceri? Ha saldato il suo conto con la giustizia scontando una lunga detenzione che gli ha fatto maturare una discreta esperienza su come vanno le cose in carcere, il suo contributo quindi può essere  prezioso e non si presta a sospetti di connivenza con interessi di parte, perché egli non ha mai dato l’impressione di condividere certe mentalità malavitose diffuse in carcere. In carcere anzi è stato sempre distante da certi contesti, non ha dato mai confidenze che non andavano date, anche perché era impegnato in tutt’altre e ben più appaganti frequentazioni intellettuali, dunque non può essere sospettato di favorire i compari rimasti in carcere. E allora qual è Il problema? E’ forse che egli è ritenuto indegno di collaborare con lo Stato, che è definitivamente un appestato che sporca tutto ciò che tocca? Oppure che un uomo simile urta la sensibilità di qualche anima bella che ipocritamente inorridisce di fronte a tanto scandalo? Il dolore dei familiari del commissario Calabresi è sacrosanto e comprensibili sono le loro proteste. E’ comprensibile che un dolore così cocente abbia la meglio sul perdono e, senza volere scomodare i sentimenti, abbia la meglio sulla ragionevolezza. Chi può dunque criticare le parole di dissenso, peraltro espresse in maniera composta, dalla moglie e dal figlio della vittima? Nei confronti dei familiari perciò il massimo rispetto, nei confronti di quanti invece approfittano  dell’occasione impropriamente e senza avvertire il senso della decenza, per straparlare, tutte le riserve di questo mondo. Salvini che fa dell’ironia confondendo Sofri con Schettino dovrebbe una buona volta imparare a coniugare la sobrietà con le sue ambizioni di statista. Per quanto riguarda poi i sindacati di polizia penitenziaria che vanno oltre l’ironia di Salvini trascendendo in un sarcasmo di pessimo gusto quando dicono:  “ Meno male che ci hanno risparmiato Totò Riina, che magari avrebbe potuto parlare di una revisione del regime penitenziario duro del 41 bis”, che dire. Comprendiamo che da secondini i quali sfogano le loro frustrazioni gestendo in maniera disumana la vita dei detenuti, non ci si può aspettare di meglio, ma il troppo è troppo e questi signori, ai quali ricordiamo che il loro compito non è quello di comportarsi da aguzzini ma da uomini impiegati dallo Stato per tenere al sicuro chi ha sbagliato ma anche per favorirne il recupero, dovrebbero evitare cadute di stile nei confronti di un autentico dramma quale è quello della carcerazione. Un dramma reso ancora più pesante dalle inaccettabili condizioni in cui viene vissuto e la cui causa, alla luce di certi sprezzanti atteggiamenti, è facilmente individuabile.

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