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domenica 21 giugno 2015

A proposito di solidarietà

Il noto filosofo francese Bernard Henri Levy, rappresentante della nouvelle philosophie e paladino dei diritti umani sparsi per il mondo e Papa Francesco sono, uno in chiave laica, l’altro in chiave religiosa, la più eloquente testimonianza di come molto spesso la nobiltà d’animo incespichi su se stessa. Pochi giorni fa il Pontefice ha chiesto perdono a Dio per coloro che non accolgono i migranti e Salvini gli ha fatto pronta eco affermando risentito che non ha bisogno di essere perdonato. Tra i due non c’è partita. E’ scontato dissentire da Salvini che è visto come il becero intestatario di una battaglia di retroguardia contro i migranti, mentre va da sé schierarsi a fianco del Pontefice per il peso morale che egli ha e perché parla di carità, un tema che non si può non condividere. Quando però si parla di Salvini, bisogna rifuggire dai toni sprezzantemente liquidatori, perché egli intercetta pur sempre lo stato d’animo di una parte dell’opinione pubblica rispettabile sia per le sue dimensioni che per le opinioni che esprime. E’ gente che si oppone all’accoglienza dei migranti perché è spaventata dal nuovo e dal diverso, che è preoccupata dal timore che venga portata una nuova competizione alla propria miseria e si aggiunga criminalità a criminalità, che ha bisogno di essere capita e guidata e non merita di essere strumentalizzata da Salvini, né tanto meno demonizzata dai partigiani dell’accoglienza. La cultura dell’accoglienza obbedisce ai migliori istinti dell’uomo, ma quando essa è praticata senza se e senza ma, può produrre delle conseguenze che vanno al di là delle buone intenzioni. L’amore cristiano per il prossimo che ciascuno avverte dentro di sé rischia di diventare un mero esercizio moralisteggiante quando non ha soluzioni concrete, e l’innocente solidarietà dei puri fatta di dedizione gratuita a servizio di chi ha bisogno, di cui l’Italia ha lo straordinario primato, rischia di trasformarsi in un guscio vuoto quando è cavalcata dalla demagogia di quanti fanno roboanti professioni di principio agitando impraticabili proclami disancorati dalla realtà. Il problema di una migrazione epocale, le cui conseguenze stiamo vivendo sulla nostra pelle tutti noi e in misura ancora maggiore i migranti, merita una riflessione più meditata rispetto ai toni accesi o al facile solidarismo che mette a posto la nostra coscienza. Nessuno, di fronte ad un problema così complesso, può ritenere di avere la ricetta giusta e tutte le parti in causa devono avere la necessaria umiltà per affrontarlo senza pregiudizi, senza l’inganno di una promessa di accoglienza che, se non è adeguatamente regolamentata e gestita, non possiamo permetterci (nel nostro interesse e in quello degli ospiti) e senza arroganti arroccamenti, avendo presenti pochi ineludibili capisaldi, la difesa della dignità delle persone ospitate e il rispetto dell’ identità, delle leggi e degli equilibri del Paese che ospita. E’ questo lo spirito con cui va affrontato il problema e nessuno, tanto meno Salvini, ha il diritto di cavalcare la protesta della gente strumentalizzando un dramma di queste dimensioni, invece di indicare soluzioni costruttive, come nessuno ha il diritto di invocare facili scorciatoie solidali. E’ in quest’ottica che il Papa dovrebbe, a mio avviso, mitigare la passione che il Suo spirito evangelico gli suggerisce e risparmiarci moniti, sacrosanti in linea di principio ma che si scontrano con enormi difficoltà di attuazione. Eviterebbe di farci sentire più colpevoli di quanto già non siamo. Quanto a Bernard Henri Levy, le conseguenze delle sue imprese sono sotto gli occhi di tutti. Egli imperversa in ogni angolo del mondo in cui c’è bisogno di issare la bandiera dei diritti civili. Il suo capolavoro lo ha compiuto in Libia dove si è intestata la crociata per l’affrancamento del popolo libico dai ceppi del tiranno Gheddafi, e i risultati si sono visti. I profughi che fuggono dall’inferno esploso in quella zona, bussano alle porte della Francia e ne sono respinti senza che il bardo dei diritti levi un cenno di protesta. In Libia non c’era certo bisogno di apprendisti stregoni ma di maggior pragmatismo e in Ucraina, un’altra contrada bazzicata dal nostro profeta, bisognava compiere meno errori. Alla Francia dobbiamo molto ma non tanto da dover pagare il conto salato della saccenteria del signor Henri Levy.

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