Il noto filosofo francese Bernard Henri
Levy, rappresentante della nouvelle philosophie e paladino dei
diritti umani sparsi per il mondo e Papa Francesco sono, uno in
chiave laica, l’altro in chiave religiosa, la più eloquente
testimonianza di come molto spesso la nobiltà d’animo incespichi
su se stessa. Pochi giorni fa il Pontefice ha chiesto perdono a Dio
per coloro che non accolgono i migranti e Salvini gli ha fatto pronta
eco affermando risentito che non ha bisogno di essere perdonato. Tra
i due non c’è partita. E’ scontato dissentire da Salvini che è
visto come il becero intestatario di una battaglia di retroguardia
contro i migranti, mentre va da sé schierarsi a fianco del Pontefice
per il peso morale che egli ha e perché parla di carità, un tema
che non si può non condividere. Quando però si parla di Salvini,
bisogna rifuggire dai toni sprezzantemente liquidatori, perché egli
intercetta pur sempre lo stato d’animo di una parte dell’opinione
pubblica rispettabile sia per le sue dimensioni che per le opinioni
che esprime. E’ gente che si oppone all’accoglienza dei migranti
perché è spaventata dal nuovo e dal diverso, che è preoccupata dal
timore che venga portata una nuova competizione alla propria miseria
e si aggiunga criminalità a criminalità, che ha bisogno di essere
capita e guidata e non merita di essere strumentalizzata da Salvini,
né tanto meno demonizzata dai partigiani dell’accoglienza. La
cultura dell’accoglienza obbedisce ai migliori istinti dell’uomo,
ma quando essa è praticata senza se e senza ma, può produrre delle
conseguenze che vanno al di là delle buone intenzioni. L’amore
cristiano per il prossimo che ciascuno avverte dentro di sé rischia
di diventare un mero esercizio moralisteggiante quando non ha
soluzioni concrete, e l’innocente solidarietà dei puri fatta di
dedizione gratuita a servizio di chi ha bisogno, di cui l’Italia
ha lo straordinario primato, rischia di trasformarsi in un guscio
vuoto quando è cavalcata dalla demagogia di quanti fanno roboanti
professioni di principio agitando impraticabili proclami disancorati
dalla realtà. Il problema di una migrazione epocale, le cui
conseguenze stiamo vivendo sulla nostra pelle tutti noi e in misura
ancora maggiore i migranti, merita una riflessione più meditata
rispetto ai toni accesi o al facile solidarismo che mette a posto la
nostra coscienza. Nessuno, di fronte ad un problema così complesso,
può ritenere di avere la ricetta giusta e tutte le parti in causa
devono avere la necessaria umiltà per affrontarlo senza pregiudizi,
senza l’inganno di una promessa di accoglienza che, se non è
adeguatamente regolamentata e gestita, non possiamo permetterci (nel
nostro interesse e in quello degli ospiti) e senza arroganti
arroccamenti, avendo presenti pochi ineludibili capisaldi, la difesa
della dignità delle persone ospitate e il rispetto dell’ identità,
delle leggi e degli equilibri del Paese che ospita. E’ questo lo
spirito con cui va affrontato il problema e nessuno, tanto meno
Salvini, ha il diritto di cavalcare la protesta della gente
strumentalizzando un dramma di queste dimensioni, invece di indicare
soluzioni costruttive, come nessuno ha il diritto di invocare facili
scorciatoie solidali. E’ in quest’ottica che il Papa dovrebbe, a
mio avviso, mitigare la passione che il Suo spirito evangelico gli
suggerisce e risparmiarci moniti, sacrosanti in linea di principio ma
che si scontrano con enormi difficoltà di attuazione. Eviterebbe di
farci sentire più colpevoli di quanto già non siamo.
Quanto a Bernard Henri Levy, le conseguenze delle sue imprese sono
sotto gli occhi di tutti. Egli imperversa in ogni angolo del mondo in
cui c’è bisogno di issare la bandiera dei diritti civili. Il suo
capolavoro lo ha compiuto in Libia dove si è intestata la crociata
per l’affrancamento del popolo libico dai ceppi del tiranno
Gheddafi, e i risultati si sono visti. I profughi che fuggono
dall’inferno esploso in quella zona, bussano alle porte della
Francia e ne sono respinti senza che il bardo dei diritti levi un
cenno di protesta. In Libia non c’era certo bisogno di apprendisti
stregoni ma di maggior pragmatismo e in Ucraina, un’altra contrada
bazzicata dal nostro profeta, bisognava compiere meno errori. Alla
Francia dobbiamo molto ma non tanto da dover pagare il conto salato
della saccenteria del signor Henri Levy.
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