La questione morale usurpata dalla
consorteria dei puri e trasformata in giustizialismo, ha fatto ancora
una volta le sue vittime. La lista di proscrizione redatta dall’on.
Bindi e presentata nella imminenza delle elezioni, ha probabilmente
condizionato il risultato delle urne ed è sicuramente entrata a
gamba tesa sul principio della presunzione di innocenza. Non si può
mettere all’indice un cittadino sulla base di una presunzione di
colpevolezza che nasce da una vicenda giudiziaria non ancora
conclusasi. Dando patenti di impresentabilità, la commissione
parlamentare Antimafia ha recitato un ruolo che evoca epoche sinistre
dell’integralismo religioso ed ha sconfinato dalla sua competenza
agitando il pericolo di reati che non hanno connotazioni mafiose.
Anche perché dell’opacità di chi si candida a ricoprire ruoli
nella pubblica amministrazione, c’è già chi si occupa. Se ne
occupa la legge Severino che spinge la propria intransigenza fino a
sanzionare un reato che, all’epoca della sua consumazione, non era
reato (Berlusconi ne sa qualcosa) e colpisce reati che, come ha
scritto qualcuno, hanno lo stesso valore di una infrazione stradale
punibile con una multa. E’ una legge discutibile quanto si vuole (e
in effetti andrebbe ridiscussa) ma è la legge e va rispettata
sempre, non secondo calcoli di convenienza. Essa stabilisce quali
sono i requisiti che un candidato deve avere per esercitare il
mandato conferitogli dagli elettori e per il candidato eletto in
mancanza dei requisiti, prevede la sospensione. Amen! Di che cosa
dovremmo preoccuparci e perché dovremmo ricorrere alla damnatio
dell’antimafia? Certo qualche pasticcio (vedi Campania) è stato
fatto e sono curioso di vedere come il Presidente del Consiglio
riuscirà a venirne a capo sfidando quella stessa legge con cui il
suo partito ha estromesso Berlusconi dal Parlamento. Ma questo è un
problema di Renzi, non del diritto che rimane salvo. Per quanto
riguarda poi la morale, i partiti si sono dati un codice di
autoregolamentazione che è stato votato all’unanimità. Secondo
questo codice è compito dei partiti (anche se qualche partito ha
fatto il tifo per l’iniziativa della Bindi) fare uno screening
valutando, nel momento in cui scelgono i candidati, la dignità e la
moralità (articoli 48 e 54 della Costituzione) di chi è destinato a
ricoprire un ufficio pubblico elettivo. Se il candidato, pur avendo
superato l’esame dei partiti, non supera l’esame dell’elettore,
potrà essere da questi bocciato. Come si vede dunque, la legge, la
buona politica e l’elettore esercitano un controllo ferreo a
presidio del rispetto della norma e della moralità. Non si sente
certo il bisogno che la commissione parlamentare Antimafia si appalti
la competenza su una materia già sufficientemente monitorata, con il
rischio, come fa giustamente notare Michele Ainis, che la questione
morale si trasformi in questione strumentale. Purtroppo una certa
politica ha equivocato sul senso della sua funzione, ha reagito
all’invasione di campo della giustizia competendo con essa in una
gara a chi è più intransigente, e ha brandito allo scopo l’arma
dell’uso giudiziario della politica. E’ una competizione che non
ha niente a che vedere con la dialettica democratica e che, al
contrario, nuoce alla democrazia.
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