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venerdì 5 giugno 2015

Gli impresentabili

La questione morale usurpata dalla consorteria dei puri e trasformata in giustizialismo, ha fatto ancora una volta le sue vittime. La lista di proscrizione redatta dall’on. Bindi e presentata nella imminenza delle elezioni, ha probabilmente condizionato il risultato delle urne ed è sicuramente entrata a gamba tesa sul principio della presunzione di innocenza. Non si può mettere all’indice un cittadino sulla base di una presunzione di colpevolezza che nasce da una vicenda giudiziaria non ancora conclusasi. Dando patenti di impresentabilità, la commissione parlamentare Antimafia ha recitato un ruolo che evoca epoche sinistre dell’integralismo religioso ed ha sconfinato dalla sua competenza agitando il pericolo di reati che non hanno connotazioni mafiose. Anche perché dell’opacità di chi si candida a ricoprire ruoli nella pubblica amministrazione, c’è già chi si occupa. Se ne occupa la legge Severino che spinge la propria intransigenza fino a sanzionare un reato che, all’epoca della sua consumazione, non era reato (Berlusconi ne sa qualcosa) e colpisce reati che, come ha scritto qualcuno, hanno lo stesso valore di una infrazione stradale punibile con una multa. E’ una legge discutibile quanto si vuole (e in effetti andrebbe ridiscussa) ma è la legge e va rispettata sempre, non secondo calcoli di convenienza. Essa stabilisce quali sono i requisiti che un candidato deve avere per esercitare il mandato conferitogli dagli elettori e per il candidato eletto in mancanza dei requisiti, prevede la sospensione. Amen! Di che cosa dovremmo preoccuparci e perché dovremmo ricorrere alla damnatio dell’antimafia? Certo qualche pasticcio (vedi Campania) è stato fatto e sono curioso di vedere come il Presidente del Consiglio riuscirà a venirne a capo sfidando quella stessa legge con cui il suo partito ha estromesso Berlusconi dal Parlamento. Ma questo è un problema di Renzi, non del diritto che rimane salvo. Per quanto riguarda poi la morale, i partiti si sono dati un codice di autoregolamentazione che è stato votato all’unanimità. Secondo questo codice è compito dei partiti (anche se qualche partito ha fatto il tifo per l’iniziativa della Bindi) fare uno screening valutando, nel momento in cui scelgono i candidati, la dignità e la moralità (articoli 48 e 54 della Costituzione) di chi è destinato a ricoprire un ufficio pubblico elettivo. Se il candidato, pur avendo superato l’esame dei partiti, non supera l’esame dell’elettore, potrà essere da questi bocciato. Come si vede dunque, la legge, la buona politica e l’elettore esercitano un controllo ferreo a presidio del rispetto della norma e della moralità. Non si sente certo il bisogno che la commissione parlamentare Antimafia si appalti la competenza su una materia già sufficientemente monitorata, con il rischio, come fa giustamente notare Michele Ainis, che la questione morale si trasformi in questione strumentale. Purtroppo una certa politica ha equivocato sul senso della sua funzione, ha reagito all’invasione di campo della giustizia competendo con essa in una gara a chi è più intransigente, e ha brandito allo scopo l’arma dell’uso giudiziario della politica. E’ una competizione che non ha niente a che vedere con la dialettica democratica e che, al contrario, nuoce alla democrazia.

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