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sabato 17 gennaio 2015

La libertà d’espressione del Papa


Bisogna dirlo, Papa Francesco non finisce mai di stupirci. Non c’è giorno in cui egli non soddisfi le attese dei cronisti che ormai lo leggono come un uomo di spettacolo dal quale aspettarsi la battuta di turno. Il fatto però è che il Papa non è un qualsiasi Dieudonné e se possiamo sorridere con divertita indulgenza per certe sue licenze quando inventa termini innocenti come “giocattolizzare”, ridiamo di meno quando afferma, a proposito delle vignette di Charlie Hebdo, che non si può offendere la religione altrui senza aspettarsi una reazione, perché è come se “il dottor Gasparri dicesse una parolaccia contro la mia mamma, e in quel caso lo aspetta un pugno”. In verità il pugno allo stomaco lo prendiamo tutti noi spiazzati da affermazioni sorprendenti che non provengono dalla vena in libertà di un qualsiasi guitto ma dall’autorevolezza di una fonte che ha ben altre responsabilità. La legge del taglione, le donne sottomesse agli uomini sono il denominatore comune della Bibbia e del Corano, ma i cristiani, grazie alla loro ragione si sono evoluti dalla intransigenza della Bibbia, al contrario dell’Islam che non si è flessa agli aggiornamenti della storia. Dire, come ha detto il Papa, che bisogna rispondere all’offesa portata alla madre con un pugno, sostenere che “ciascuno di noi ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui lo concepisce, che, se sceglie il male perché è sicuro che da esso deriverà del bene, dall’alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate, che noi non possiamo dire di più perché non sappiamo di più”, significa abbandonarsi all’arbitrarietà della nostra coscienza e abdicare ai principi certi della nostra fede oltre che alle conquiste della nostra ragione. Che significa che noi non possiamo dire perché non sappiamo di più? Dunque non sappiamo che Dio ci ha dotato dei dieci comandamenti, che l’incitamento a cercare il bene non può risiedere nella arbitrarietà della nostra coscienza (abbiamo visto quali conseguenze drammatiche hanno procurato all’umanità certe coscienze sinistramente teleologiche), ma nella universalità e oggettività della legge naturale e della legge di Dio, che, secondo gli insegnamenti di Kant, un essere razionale, se vuole cercare il bene, non può in nessun modo pensare i propri principi soggettivamente, non può “vendicarsi di ogni offesa che riceve” perché in quel caso si fermerà solo ad una massima che varrà solo per lui e non attingerà gli imperativi categorici che ubbidiscono a leggi universali? Come si concilia l’evangelico “porgi l’altra guancia” con le parole del Papa? Il Papa condanna la violenza perpetrata a Parigi e però sostiene che ad una offesa è legittimo rispondere con un pugno? Confesso che sono confuso.

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